PERTINI SANDRO

Sandro Pertini (25 settembre 1896-24 febbraio 1990)

Nasce a Stella, Savona, il 25 settembre 1896. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze politiche e sociali, si avvicina ben presto al Partito Socialista.

Partecipa alla Prima Guerra mondiale, distinguendosi per il proprio valore. Nel dopoguerra intraprende la professione forense e inizia un’intensa attività politica nelle file del socialismo e dell’antifascismo, cui consegue una serie di processi: la sua prima condanna è a otto mesi, mentre nel 1926 gli vengono inflitti cinque anni di confino. Sottrattosi alla cattura, si rifugia a Milano e partecipa all’organizzazione della fuga di Filippo Turati in Francia, dove rimane, tra Parigi e Nizza, svolgendo i più svariati mestieri, dal muratore al tassista. Tornato in Italia nel 1929, viene arrestato, nuovamente processato dal Tribunale speciale e condannato a 11 anni di reclusione. Scontati i primi sette, viene assegnato al confino per altri otto: sua madre firma una domanda di grazia. Lui rifiuta.

Tornato libero nell’agosto 1943, entra a far parte del primo esecutivo del Partito Socialista. L’8 settembre combatte contro i tedeschi a Roma a Porta San Paolo accanto ai militari e ai cittadini. Partecipa all’organizzazione delle prime formazioni della resistenza romana. Catturato unitamente a Giuseppe Saragat dalle SS è condannato a morte. Evade dal carcere di Regina Coeli nel gennaio del ’44 e riprende la lotta contro i nazifascisti fino alla liberazione di Roma (4 giugno ’44). Riprende la lotta e partecipa alla liberazione di Firenze nell’agosto del ’44.

Attraversa la Francia: scala il Monte Bianco, raggiunge l’Italia occupata e da Milano organizza unitamente a Leo Valiani ed Emilio Sereni l’insurrezione generale del 25 aprile del ’45. Per il suo contributo alla Resistenza, viene insignito della Medaglia d’Oro al valor militare.

Dopo la Liberazione, viene eletto Segretario del Partito Socialista Italiano di Unità proletaria nel 1945 e Deputato all’Assemblea Costituente. Direttore dell’Avanti! dal 1945 al 1946 e dal 1950 al 1952, nel 1947 assume la direzione del genovese Il Lavoro. Senatore nel 1948, sarà poi deputato fino al 1978. Nel 1963 è Vice-Presidente della Camera, e nel 1968 ne diviene Presidente. Viene eletto Presidente della Repubblica l’8 luglio 1978. Trascorso il settennato, nel 1985 diviene Senatore a vita.

Il 24 febbraio 1990 muore a Roma.

La FIAP e il Comune di Milano hanno dedicato una mostra a Sandro Pertini.

Inaugurata nel settembre 2004 a Palazzo della Ragione, in via Mercanti nel centro di Milano, la mostra è oggi conservata dalla FIAP che ne promuove la diffusione.

Per informazioni fiap.presidenza@gmail.com

Di seguito si riportano gli interventi dei relatori intervenuti a Palazzo Marino al convegno inaugurale del 27 settembre 2004.

27 SETTEMBRE 2004 SANDRO PERTINI: ANTIFASCISTA, PARTIGIANO, PRESIDENTE

“soltanto raccontando la storia del passato possiamo proteggere l’avvenire”

Aldo Aniasi:

Signor Sindaco, onorevoli Parlamentari, Autorità, Signore e Signori,

grazie per essere intervenuti. La loro presenza è un segno di attenzione che apprezziamo e che ci incoraggia.

Grazie al Comune di Milano e agli sponsor che con i loro generosi interventi hanno consentito alla Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane di realizzare questo incontro e la mostra SANDRO PERTINI: UN SECOLO DI STORIA ITALIANA che inaugureremo più tardi.

Grazie a coloro che partecipano a questa tavola rotonda, ad Antonio Maccanico che quale Segretario Generale è stato accanto a Pertini alla Presidenza della Repubblica, al Prof. Maurizio Punzo storico e curatore scientifico della mostra, all’Assessore Salvatore Carrubba e agli uffici e servizi del Comune che hanno con impegno sostenuto la nostra iniziativa.

La nostra iniziativa non vuole essere una celebrazione rituale. Onorando la memoria di Sandro Pertini, eroico combattente nella guerra di Liberazione, convinto assertore dei più alti valori della libertà, vogliamo anche ripercorrere avvenimenti che costituiscono il nostro patrimonio storico.

La F.I.A.P., le associazioni di ex partigiani, hanno un debito nei confronti delle giovani generazioni: quello di non aver ottenuto che la storia del novecento fosse insegnata, fatta conoscere. Questo per impedire che le tragedie umane che l’Europa e il mondo intero hanno vissuto si ripetano a causa della diffusione di ideologie totalitarie che, valendosi della violenza, instaurando dittature, coltivando sogni paranoici di dominio, possano far rivivere i drammi che la nostra generazione ha conosciuto.

Ricordiamo le parole di Primo Levi, che avvertì: “è avvenuto; può accadere” e di Elia Wiesel, premio Nobel, “soltanto raccontando la storia del passato possiamo proteggere l’avvenire”.

A sessant’anni dalla Liberazione della nostra Patria, dalla vittoria contro il nazifascismo, dobbiamo constatare che purtroppo si sta invece diffondendo la cultura dell’oblio.

In questa Europa che faticosamente si sta costruendo, in questa Europa che ha vissuto sessant’anni in pace dopo esser stata dilaniata per secoli da guerre fratricide, si stanno diffondendo i germi di ideologie di violenza, di barbaro dominio sugli uomini. Ci sono pericoli che tentano di aggredirci: il terrorismo spietato, barbaro, inumano che non è fondato su sentimenti di cultura religiosa ma sulla volontà di dominio sull’uomo, negando quelle libertà che sono alla base del vivere civile.

Il nostro pensiero non può non andare al dramma, in particolare, vissuto da due famiglie , e da tutto il nostro paese, che attende con fiducia, con speranza la liberazione delle due giovani cooperanti.

La scuola, non per esclusiva responsabilità degli insegnanti, non ha assolto al dovere di contribuire alla conoscenza del passato e per ragioni di apparente imparzialità è stata spesso reticente; non ha dato un contributo alla conoscenza delle vere cause che sono alle origini dei pericoli che incombono sui popoli e sull’umanità.

Ecco perché la F.I.A.P., con l’adesione delle altre Associazioni della Resistenza, ha ritenuto di dare un contributo volto a richiamare l’attenzione sulla importanza della libertà, di tutte le libertà come antidoto al diffondersi di ideologie criminali ed al ripetersi degli orrori vissuti nei sei anni di una guerra che ha sconvolto il mondo.

Il dovere della nostra generazione, di noi vecchi partigiani, affermava Pertini, è di testimoniare le tragedie, gli orrori vissuti dall’umanità a causa delle dittature: fascista e nazista.

Queste le motivazioni della nostra iniziativa: una mostra non didattica, non biografica, ma di comunicazione; che si propone di far riflettere sul senso delle vicende drammatiche del secolo scorso e sull’impegno per la rinascita e la ricostruzione.

Raccontare la vita di Pertini ci consente di ripercorrere gli avvenimenti vissuti dal nostro Paese, per invitare a riflettere senza l’enfasi di precostituite ragioni ideologiche ma con la convinzione che solo l’amore per la libertà ed il rifiuto della violenza prevaricatrice ci può mettere al riparo dal ripetersi della violenza di stato e delle sue conseguenze.

Sandro Pertini, quindi assunto a simbolo e a filo conduttore per raccontare la cronaca di decenni di vita politica e sociale: i momenti difficili e drammatici, le violenze fisiche e morali, i lutti ma anche l’eroismo di un popolo attore del proprio riscatto e del proprio destino; quel riscatto che a prezzo di sacrifici e di sangue ha portato alla rinascita materiale, morale e civile di una nazione intera.

Pertini è al centro, ma non è solo. Attorno a questo grande italiano si muovono e interagiscono tanti altri personaggi, tutti animati da un comune sentire: l’amore per la giustizia e per la libertà, quei valori che hanno dato un importante contributo alla rinascita della nostra Patria.

Raccontando la vita di Pertini ripercorriamo le vicende della nostra Patria, gli anni della dittatura fascista, dei suoi misfatti e dei suoi crimini.

Pertini si iscrisse al P.S.I. dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti. Con Parri, Rosselli ed altri coraggiosi democratici organizzò la fuga di Filippo Turati, l’esponente dei socialisti riformisti che considerava il suo maestro.

Per sfuggire alla persecuzione, Sandro si rifugiò in Francia e lui avvocato, con due lauree, per sopravvivere fece l’operaio, il muratore, il lavatore di taxi.

Rientrato in Italia per organizzare l’opposizione alla dittatura, fu condannato a 10 anni e 9 mesi di duro carcere, poi a 5 anni di confino, subendo un trattamento disumano.

La sua vita in quegli anni fu incredibilmente avventurosa.

Accanto ai militari, l’8settembre ’43 a Roma Porta San Paolo combatté contro i tedeschi, poi partecipò all’organizzazione della resistenza armata.

Arrestato dalle SS unitamente a Giuseppe Saragat ed altri compagni, venne condannato a morte.

Fatto evadere dal carcere di Regina Coeli, riprese ad organizzare le formazioni partigiane; partecipò poi alla liberazione di Firenze, infine attraversò la Francia, valicò il Monte Bianco, giunse nell’Italia occupata e partecipò alla direzione del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia.

Il 25 aprile, a Milano, proclamò unitamente a Leo Valiani ed Emilio Sereni l’insurrezione generale per la liberazione nazionale.

La Medaglia d’Oro al Valor Militare fu il significativo riconoscimento di uno straordinario, eroico impegno, nel coerente proseguimento di quel suo lontano passato quando lui, pacifista convinto, avversario di tutte le guerre, partecipò come valoroso combattente alla prima guerra mondiale.

Egli è stato, fra gli italiani, uno degli uomini politici più amati per le sue doti di umanità, di bontà, per la sua coerenza, per aver servito con umiltà le Istituzioni, per aver esercitato il mandato politico e parlamentare nell’esclusivo interesse del bene pubblico.

Sandro Pertini è un esempio di coerenza, di intransigenza, di eroismo ma anche di umanità; una umanità sempre coltivata con ideali di solidarietà.

Sempre fu sostenitore di tutte le libertà, di pensiero di espressione; anche della libertà dei suoi avversari politici, e per quella libertà era pronto a battersi.

Non ebbe mai tentennamenti nei confronti di regimi autoritari di destra o di sinistra. Superando ogni remora protocollare condannò capi di Stato – Pinochet, i generali argentini – non mostrò mai debolezze nei confronti dell’Unione Sovietica.

Uomo di parte, affermò nel discorso del giuramento da neo Presidente della Repubblica: “da questo momento cesso di essere uomo di parte e sarò fratello di tutti gli italiani”.

Tenne fede a quella dichiarazione.

Ricordo ancora oggi con grande commozione quella seduta del 10 luglio del 1978 quando fu eletto Presidente della Repubblica con un numero di voti largamente superiore ad ogni suo predecessore. L’assemblea esplose in un caloroso, prolungato applauso; una ovazione che sottolineava grande consenso, grande affetto.

In quella occasione rese omaggio ad Aldo Moro affermando che se non fosse stato assassinato sarebbe spettato a lui quel posto in quel momento.

Da Presidente operò per l’unità del paese, per rafforzare le istituzioni. Ne onorava i simboli, primo fra tutti la bandiera tricolore.

Seppe riconciliare il popolo con le istituzioni in un momento di grave crisi del paese e delle istituzioni che onorava e serviva in sintonia con i sentimenti della gente, interpretandone i sentimenti popolari, i bisogni, gli ideali.

Parlava insomma al cuore della gente.

Fu il suo un settennato tormentato: stragi, violenza mafiosa, scandali politici, ma anche calamità naturali come il terremoto dell’Irpinia. Furono anni in cui il paese ebbe bisogno di figure di riferimento che l’aiutassero a superare i momenti più duri rimanendo unito.

Presente nei momenti di grande crisi, intransigente con il terrorismo, sferzante contro i disonesti, sosteneva la indissolubilità fra vita pubblica e privata.

Denunciava ogni ingiustizia, ogni corruzione, rimproverava anche le inefficienze dello Stato.

Un esempio clamoroso: i mancati soccorsi all’Irpinia.

Fu il più conosciuto dai capi di Stato di tutto il mondo, rispettato, onorato, rappresentò l’Italia migliore.

Ma partecipò anche ai più semplici entusiasmi popolari – come fece esultando da tifoso per la vittoria italiana dei campionati del mondo di calcio.

La nostra iniziativa ha accolto il messaggio che ci ha lasciato.

Con queste sue parole si apre la nostra: perché i giovani sappiano e i vecchi ricordino.

Intervento di Pier Ferdinando Casini

Presidente della Camera dei Deputati

Sono assai lieto di rivolgere il mio saluto al Presidente della Federazione Italiana Associazioni Partigiane Aldo Aniasi, che voglio ringraziare per il rigore, la serietà ed il senso dello Stato con cui ha sempre condotto il suo impegno parlamentare, imprimendo un segno incancellabile nella memoria dell’Istituzione che ho l’onore di presiedere. Saluto con lui Gabriele Albertini, sindaco di Milano, la città che vide Pertini entrare tra i liberatori, alla testa dei partigiani dell’Alta Italia, il 25 aprile 1945. Il mio saluto va ovviamente a Carla Pertini, Giulio Andreotti, Carlo Tognoli ai partecipanti alla tavola rotonda odierna, che riunisce alcune delle personalità più autorevoli che furono vicine a Sandro Pertini nelle diverse fasi della sua parabola politica ed umana – come Antonio Maccanico – alle altre autorità presenti ed a tutti gli intervenuti. Iscritto al Partito Socialista dall’età di diciotto anni, combattente nella prima guerra mondiale, martire antifascista, capo partigiano, quindi deputato alla Costituente ed uomo delle istituzioni nelle cariche di Presidente della Camera e di Presidente della Repubblica, Sandro Pertini è stato forse il politico più popolare dell’Italia repubblicana. In ogni esperienza della sua tumultuosa vita, egli ha sempre messo in gioco tutto se stesso, schierandosi costantemente in prima linea e subordinando ogni interesse personale all’affermazione degli alti ideali professati sin dalla prima giovinezza. E’ stata questa la chiave che ha aperto a Pertini il cuore degli italiani. Essi hanno corrisposto sin da subito in maniera sincera alla sua immediata comunicativa, al suo assoluto porsi al servizio della collettività, alla sua intransigenza morale e politica, unita ad una straordinaria carica umana. Queste stesse doti furono del resto decisive all’atto della sua elezione a Presidente della Repubblica nel luglio 1978, quando il Paese, reduce dalla tragedia del sequestro Moro e dalle dimissioni del Presidente Leone, si trovava ad attraversare una delle fasi più drammatiche della sua storia. In quell’ora drammatica, la Repubblica “giusta ed incorrotta, forte e umana” – che egli invocò nel suo discorso di insediamento – apparve nuovamente agli italiani come la casa comune da tutelare contro la minaccia terroristica, in nome di quell’unità nazionale che si era materializzata proprio nell’elezione di un vecchio partigiano, il cui cuore era però ancora giovane e palpitante. Grandi furono il coraggio e la speranza che, nei difficili anni della sua Presidenza, Pertini seppe infondere agli italiani – anche grazie ad un rapporto veramente speciale con il “Papa venuto da lontano”, chiamato al soglio di Pietro pochi mesi dopo la sua elezione. E lo fece scegliendo la via del dialogo franco e diretto con i cittadini, che recuperarono fiducia nella politica e nelle Istituzioni grazie all’esempio di moralità e senso dello Stato che veniva loro dalla più alta magistratura repubblicana. Una credibilità, del resto, costruita sui fatti e sulle idee, che veniva da una vita vissuta affrontando in prima persona i rischi legati alla sua scelta di libertà contro la dittatura e contro l’occupazione, ma anche dalla nobiltà della sua fede politica, formatasi alla scuola di Filippo Turati e vivificata nella Resistenza e nella Costituente. Una fede che, nella salda convinzione dell’indissolubile binomio tra libertà e giustizia sociale, lo mantenne sempre all’interno della casa socialista, senza tentennamenti verso l’opzione comunista, che pure esercitò tanto fascino su molti suoi compagni di partito. Gli anni di Sandro Pertini al Quirinale sono oggi parte integrante della memoria storica del nostro Paese. A quegli anni torna ancora il ricordo commosso di tutti gli italiani ogniqualvolta la sua figura viene evocata, quasi che, agli occhi dei cittadini, il suo percorso politico ed umano abbia trovato nella carica di Presidente della Repubblica il suo compimento più coerente e, in qualche misura, necessario. E’ un sentimento che non desta meraviglia. Come Presidente della Repubblica, Pertini, in una delle più tormentate fasi della nostra storia recente, riuscì infatti nella difficile opera di riconciliare il Paese reale con il Paese legale, adempiendo in tal modo alla funzione più profonda della carica da lui ricoperta: quella di garantire la continuità del sistema costituzionale attraverso il richiamo – continuo, inflessibile, anche severo, se necessario ai suoi valori fondanti ed unificanti. Si tratta di una lezione concreta, di grande forza, che dimostra il ruolo essenziale che le Istituzioni di garanzia rivestono nell’ambito di un ordine costituzionale che possa dirsi equilibrato, funzionante, compiuto: una lezione che sono certo sarà colta e messa a frutto nel processo di riforma costituzionale su cui il Parlamento è impegnato proprio in questi giorni. Credo tuttavia che sarebbe ingeneroso non ricordare la sua lunga ed apprezzata attività in seno all’Istituzione parlamentare, prima come Vicepresidente e quindi come Presidente della Camera dei Deputati per due legislature, in anni non meno tempestosi di quelli che poi lo videro Capo dello Stato. Pertini aveva sperimentato personalmente cosa significasse la scomparsa delle istituzioni rappresentative sotto la dittatura fascista. Credo che anche per questa ragione egli fu sempre uno strenuo difensore del ruolo del Parlamento e si impegnò con convinzione ed entusiasmo perché esso diventasse una “casa di cristallo”, in cui tutti i cittadini potessero rispecchiarsi. “Senza un libero Parlamento” – ebbe ad affermare in occasione della sua prima elezione alla Presidenza della Camera – “non si potrà mai avere una vera democrazia”. Sono parole semplici, ma di grande efficacia e di grande nobiltà, che costituiscono per me, come per tutti i parlamentari, un monito ancora attuale: in esse vive l’essenza più intima della rappresentanza politica al servizio della collettività e, dunque, il senso stesso del nostro impegno quotidiano nella ricerca del bene comune. Da Presidente della Camera, Pertini legò il suo nome alla prima grande riforma regolamentare, quella del 1971, che diede una risposta alle critiche di scarsa funzionalità di cui il Parlamento veniva fatto segno da più parti. Importanti strumenti che oggi utilizziamo, come il metodo della programmazione dei lavori, risalgono a quella stagione, in cui Sandro Pertini diede prova di grande equilibrio ed imparzialità nel condurre l’Assemblea di Montecitorio lungo percorsi difficili e tormentati, come quelli dell’attuazione dell’ordinamento regionale e dell’introduzione del divorzio. Ma il vento dell’entusiasmo di Pertini per la vita e per il cambiamento si manifestò a Montecitorio anche in una forma speciale. Penso all’uso di incontrare le scolaresche, che egli inaugurò alla Camera dei Deputati e che portò quindi con sé anche al Quirinale. Per migliaia di bambini e di ragazzi è stata quella la prima esperienza a contatto con le Istituzioni: un’esperienza di altissimo significato, in cui essi – grazie alla personalità straordinaria di Pertini – hanno avuto l’opportunità di prendere parte ad un confronto libero ed aperto sul loro futuro, e non certo ad una lezione cattedratica. Lo spirito che ha animato Sandro Pertini nella ricerca costante del dialogo con le giovani generazioni è oggi per chi riveste responsabilità politiche un punto di riferimento ineludibile, una lezione su cui meditare con grande rispetto ed attenzione. In nome dei suoi ideali politici, Pertini aveva sacrificato i suoi anni migliori nel carcere e nel contino fascista. Dunque l’entusiasmo giovanile fu sempre per lui un fattore positivo, un indice di dinamismo, una manifestazione di vitalità con cui confrontarsi e con cui dialogare: ricordiamo, ad esempio, quanto profondamente egli sentì l’esigenza di sottrarsi allo scontro generazionale e di comprendere le ragioni della contestazione del Sessantotto. Tuttavia, non possiamo dimenticare come, a suo avviso, la contestazione, per essere valida e legittima, dovesse essere “animata e sorretta” cito le sue stesse parole – “da una nobile idea, da una vigorosa fede politica”, perché ai giovani, in quanto futura classe dirigente, spetta il compito di rinnovare, non di distruggere. E questo non fu mai un ammonimento puramente retorico o astratto: Sandro Pertini lo professò con coraggio negli anni in cui il terrorismo stava portando il suo attacco più duro alle Istituzioni democratiche della Repubblica, traducendolo nello struggente appello a non armare la mano, ma piuttosto l’animo, ed assumendo a suo motto l’esortazione a non consentire mai alla libertà di uccidere la libertà. La fermezza con cui egli condannò, da subito e senza appello, la degenerazione del terrorismo ritorna ancora oggi alla nostra mente in tutta la sua forza. E ritorna soprattutto nella sua ribellione viscerale a coloro che, quando la logica del terrore tentava di spingere il Paese nel baratro del caos, affermavano di non stare “né con le BR né contro le BR”: un atteggiamento ipocrita ed agnostico, che gli ricordava quello di tanti italiani nel tempo buio del fascismo. Oggi, nel momento in cui la minaccia del terrorismo ha assunto una dimensione planetaria ed in cui nessuno può sentirsi al riparo dai suoi barbari assalti, la scelta di campo di Sandro Pertini – chiara, netta, senza riserve o tentennamenti – ci indica la via da seguire per affrontare con successo la sfida dell’odio e della disgregazione. Una sfida che si può vincere solo ne segno dell’unità del Paese e, della comunità internazionale, mettendo da parte l’illusione fragile e autolesionista di poter venire a patti con chi offende brutalmente le dignità dell’uomo ed i diritti che vi si radicano e liberandosi una volta per tutte dalle logiche di parte. Negli ultimi giorni, tra le forze politiche del nostro Paese sono emersi segnali positivi in questa direzione, che è indispensabile non disperdere ed anzi valorizzare, impegnandosi perché possano prevalere – in ore così difficili per l’Italia – il senso di responsabilità e la concordia nazionale. Per chi riveste responsabilità pubbliche, è un dovere ben preciso dimostrarsi all’altezza di quella saldezza morale del popolo italiano in cui Sandro Pertini nutriva una fiducia profonda e sincera. E’ proprio questa fiducia nell’Italia e negli italiani l’elemento che lega più di ogni altro la figura di Sandro Pertini all’ultimo secolo della nostra storia nazionale, secondo la felice intuizione espressa dal titolo della mostra che andremo a breve ad inaugurare. Sta a tutti noi lavorare quotidianamente perché quella nobile ispirazione continui a sostenere il cammino del nostro Paese lungo la via della democrazia, della libertà, della solidarietà e della pace. La Repubblica non deve sostanziarsi soltanto di libertà e giustizia ma anche e soprattutto di onestà e umanità.

Intevento di Gabriele Albertini

Questa mostra dedicata a Sandro Pertini ripercorre anche un lungo periodo della nostra storia nazionale: la grande guerra, gli anni del fascismo durante i quali subì il carcere e il confino, la Resistenza, la liberazione poi la ricostruzione delle istituzioni democratiche e della vita e sociale del Paese.

La sua è una biografia così movimentata e impetuosa, così ricca di eventi straordinari da indurci a considerarlo come l’ultimo grande personaggio risorgimentale. Un uomo che ha riversato nella battaglia politica e poi nella guerra di liberazione tutta la sua forza, la sua passione, il suo ostinato ed estremo impegno per la libertà.

Credo che dei tanti avvenimenti della sua vita quello per lui più inaspettato e incredibile fu di divenire Presidente della Repubblica, fino a quel momento era riuscito a far convivere la politica con il suo carattere schietto ed esuberante.

Del resto le sue idee, il suo entusiasmo per la causa del socialismo si manifestarono in anni cruciali per il nostro Paese quando fare politica significava agire, essere in prima linea, esporsi, prendere decisioni che avrebbero anche potuto mettere a repentaglio la vita; il suo piglio risoluto si addiceva anche al ruolo svolto negli anni seguenti al suo forte impegno alla vita politica italiana.

Ma l’elezione a Presidente della Repubblica costituiva una vera e propria svolta.

Leggo le parole che Pertini pronunciò nel messaggio al Parlamento in occasione della sua elezione: “Nella mia tormentata vita mi sono trovato più volte di fronte a situazioni difficili e le ho sempre affrontate con animo sereno perché sapevo che sarei stato io a pagare solo con la mia fede politica e con la mia coscienza. Adesso invece so che le conseguenze di ogni mio atto si rifletteranno sullo Stato, sulla Nazione intera”.

Voleva sottolineare il suo fermo proposito di osservare scrupolosamente il giuramento di fedeltà alla Costituzione e tutto ciò che ne conseguiva anche dal punto di vista del contegno di uno stile che per forza doveva esprimere equilibrio, riserbo, dignità. Paradossalmente nonostante quello che lui stesso percepiva come un contrasto tra la sua straordinaria schiettezza e l’ufficialità del suo ruolo istituzionale proprio come Presidente della Repubblica che lasciò negli italiani un ricordo vivido e indelebile.

Fu Capo dello Stato in un periodo difficile per le sorti della democrazia nel nostro Paese: erano gli anni del terrorismo, della P2, dell’offensiva mafiosa e dell’inflazione galoppante.

Lui li affrontò facendo appello al rigore morale e al senso di unità della Nazione, ebbe la capacità di anticipare i tempi intuendo il bisogno di onestà e rettitudine che percorreva il nostro Paese. Seppe accorciare le distanze tra i cittadini e la più alta carica dello Stato. Riuscì a essere se stesso, spontaneo, genuino anche in un ruolo in cui finora il protocollo era stato precetto fondamentale.

Il ruolo politico e istituzionale svolto da Pertini fu molto importante, ricordo ad esempio che nel corso del suo mandato conferì l’incarico al primo presidente del Consiglio laico Giovanni Spadolini. Ma ciò che emerse fu soprattutto la sua personalità: riuscì a ridestare negli italiani la fiducia nelle istituzioni, contribuì con la sua netta denuncia a isolare il terrorismo facendola percepire come un corpo estraneo e avverso, conobbe anche all’estero una grande popolarità e con lui migliorò l’immagine dell’Italia nel mondo.

E ora permettetemi di citare le parole di un grande giornalista maestro nei ritratti delle più rilevanti personalità politiche – parlo naturalmente di Indro Montanelli – la sua è una testimonianza critica mai retorica mai celebrativa, una testimonianza preziosa.

Montanelli scrisse di Pertini: “Non ho mai conosciuto nessuno che sapesse come lui fiutare gli umori popolari e adeguarvisi con altrettanta prontezza. Tutto quello che si poteva e si doveva fare per strappare a una platea melodrammatica come quella italiana l’applauso a scena aperta lo ha puntualmente fatto. E con ciò la missione l’ha assolta.

E’ entrato in un Quirinale screditato e maleodorante, lo lascia circondato di rispetto e di affetto in un buon profumo di bucato. Siamo sicuri di non sbagliare pronosticando che ne uscirà su un tappeto di fiori tra due ali di folla plaudente già trasfigurato nel monumento di se stesso, perché ci sono degli uomini che quando se ne vanno lasciano un vuoto più grande del posto che occupavano, e Pertini è di questi”.

Pertini ha cambiato il modo di essere Presidente della Repubblica cogliendo l’aspirazione alla giustizia e alla modernità degli italiani: ha fatto scuola e dopo di lui nessun altro Capo di Stato in Italia ha potuto trascurare la sua lezione.

Il nostro Paese gli deve molto compreso il ricordo di alcune emozioni che ancora ci commuovono.

Sono lieto di questa mostra e del riconoscimento e dell’affetto che Milano mi testimonia e sono lieto dell’importanza che la nostra città ancora una volta attribuisce all’analisi storica che lo riguarda.

Intervento di Salvatore Carrubba

Innanzitutto un ringraziamento ad Aldo Aniasi e alla F.I.A.P. per aver voluto che Milano potesse avere questa occasione di ricordo per Sandro Pertini.

Il sindaco Albertini e il sindaco Aniasi hanno già sottolineato a sufficienza l’importanza della sua figura, voglio soltanto sottolineare il fatto che Milano da diversi anni sta ricordando con sempre maggiore frequenza grandi figure di politici e grandi tradizioni politiche come in questo caso il socialismo. Lo fa con titolazione di strade, con convegni, con mostre, lo fa la città perché profondamente consapevole della sua natura che è autenticamente pluralista.

Milano è una città che ha dato vita e dà ospitalità a tante famiglie politiche, le più importanti famiglie politiche del nostro Paese. Non è mai stata una città di un solo colore ma è stata una città in cui tante tradizioni politiche hanno convissuto e hanno dato il meglio delle loro tradizioni al progresso della nostra città.

Di questo pluralismo sicuramente la famiglia socialista è una delle famiglie più importanti; è uno degli elementi dell’identità culturale e politica della città più forte e più radicata, soprattutto nella versione del socialismo democratico, del socialismo riformista che a Milano ha svolto un ruolo così importante e così significativo a partire proprio da quella figura di Filippo Turati che, come ricordava il Presidente Aniasi, lo stesso Pertini aveva contribuito a mettere in salvo.

Ricordava Giovanni Spadolini, come si debba proprio a Pertini e a Nenni – aggiungeva – il fatto che la figura di Turati non fosse rimasta appannaggio di altre tradizioni politiche Era merito, diceva Spadolini, proprio di Pertini e di Nenni.

In questa componente del socialismo democratico e riformista Pertini svolge una funzione importante, una funzione essenziale. La svolgerà in tutta la sua lunghissima carriera politica e la svolge anche nella nostra città o a partire dalla nostra città. A partire da quei momenti esaltanti e straordinari come la liberazione della città nel 1945 – l’anno prossimo la città si appresta a ricordare con solennità questo sessantesimo anniversario della Liberazione – che lo vede protagonista a Milano e lo vede – ne è testimonianza la fotografia famosa che vedremo tra poco alla mostra di Palazzo Ragione – salutare la folla nel primo comizio libero che si svolge a Piazza del Duomo.

Da allora inizia questa carriera politica che è già stata più volte ricordata, quindi non mi soffermo su questa. Voglio soltanto sottolineare come questa carriera politica offra dei motivi di riflessione e degli spunti di approfondimento anche a chi non ha avuto la fortuna, come ha avuto Antonio Maccanico per lunghi anni suo collaboratore, di condividere con lui tanti anni di servizio alle Istituzioni.

Vorrei ricordare tre di questi elementi che a me sono venuti alla mente.

La prima questione – scusatemi la deformazione professionale – il suo attaccamento alla professione giornalistica.

Pertini non fu soltanto oggetto dell’attenzione dei giornali e dei giornalisti ma fu lui stesso un grande giornalista e fu un grande direttore, un profondo conoscitore dei meccanismi di quella che oggi chiamiamo “comunicazione” e che probabilmente sarebbe poi tornata nel corso della sua carriera: lo fece sul campo come direttore dell’Avanti dal 1945 al ’46 e dal 1950 al ’52, del quotidiano genovese Lavoro nel 1947, Paolo Murialdi ricorda quanto sia stata importante questa direzione di Pertini al Lavoro che condusse con grande successo anche imprenditoriale.

Vorrei ricordare con le sue stesse parole questo attaccamento che Pertini ebbe alla professione giornalistica, alla sua testata, all’Avanti. Ricorda Pertini quando nel ’44 viene mandato a Firenze e la prima cosa, liberata la città di cui Pertini si occuperà, sarà proprio la diffusione dell’Avanti; ricorda con le sue parole “Il nostro fu il primo partito a pubblicare un manifesto rivolto alla cittadinanza e pensammo di far uscire immediatamente l’Avanti sotto la direzione del compagno Albertoni”. Poi prosegue: “Ricordo un vecchio operaio – quando cominciò la distribuzione del giornale che venne distribuito a partire dalla sede del Partito – mi venne incontro con le braccia tese chiedendomi con voce tremante un Avanti. Il suo volto splendente di una luce che si irradiava dal suo animo sembrava improvvisamente ringiovanire. Preso l’Avanti se lo portò alla bocca baciò la testata piangendo come un fanciullo, sembrava un figlio che dopo anni di forzata lontananza ritrova la madre”.

Qui ritroviamo quei toni che avremmo ben conosciuto tutti noi cittadini italiani nei messaggi presidenziali del Presidente della Repubblica un tono che sicuramente non possiamo definire e non deve essere considerato retorico perché è anche un tono profondamente partecipe del sentimento anche di una persona umile che ritrova un simbolo della sua identità politica e culturale.

Da questo deriva, credo, quella capacità cui hanno fatto cenno il sindaco Albertini e il presidente Aniasi di parlare alla gente, di parlare al popolo, di parlare all’opinione pubblica. Che esercitò al massimo nella sua funzione di Presidente della Repubblica queste doti che gli vennero riconosciute da tutti e che a un certo punto cominciarono anche a preoccupare qualcuno perché sembrava che la popolarità che la presidenza della Repubblica assumeva in quegli anni, potesse andare a scapito della popolarità di altre istituzioni che non manifestavano la stessa capacità.

Ed è questa una dote di saper parlare alla gente, di capire l’umore della gente che egli espresse ma che ebbe un riflesso politico molto importante se pensiamo a quel clima sociale, culturale, politico ed economico di cui pure c’è stato fatta memoria, che era certamente un clima se non tragico, drammatico. Questa capacità di sentire l’umore dell’opinione pubblica è una caratteristica di Pertini molto radicata nella sua preparazione, nel suo animo.

Voglio ricordare, soprattutto al presente Maccanico cioè un autorevole uomo politico nazionale me lo consente, un verbale che ho ritrovato in un bel libro di Enzo Piscitello di una riunione storica del Comitato Centrale di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia che si svolge il 7 maggio 1945 a Roma, e in questo verbale vengono riportate le parole di Pertini a proposito del clima che egli trova a Roma nel ’45. Il verbale sostiene: “Pertini dichiara con franchezza che qui a Roma tutto muore. La fede anche la più ardente e vigorosa qui si spegne perché il clima è da corridoio dei passi perduti”.

Credo che anche da questo atteggiamento di Pertini così attento a quella che poi si sarebbe definita la divaricazione tra paese legale e paese reale sia derivato quello stile che certo rese anche discusse alcune sue scelte durante la presidenza della Repubblica ma che rese sempre animato da un profondo rispetto delle istituzioni e da uno sforzo di avvicinare alle istituzioni l’opinione pubblica che caratterizzò la sua presidenza. Presidenza che del resto non va ricordata soltanto per questa capacità di comunicare, non dimentichiamo che durante la sua presidenza assunse anche delle scelte politiche importanti delicate e decisive per gli equilibri politici del nostro Paese, a partire dalla designazione del primo Presidente del Consiglio laico, Giovanni Spadolini, che poi portò al governo del primo socialista, cioè Bettino Craxi quindi scelte politiche importanti che hanno lasciato la traccia nella storia del nostro Paese.

L’ultima annotazione parte da un ricordo personale; qui ci sono testimoni importanti che Pertini hanno conosciuto bene e collaborato con lui ma anch’io posso vantarmi di aver avuto un contatto sia pure fugace con Sandro Pertini. Era il 1977, facevo parte della direzione della Gioventù Liberale, avevamo organizzato una manifestazione mi sembra a favore dell’aborto e dovevamo distribuire dei volantini. Mi tocca dare il volantino a Pertini il quale anziché buttarlo via mi chiese subito chi fossimo e quando gli rispondo la Gioventù Liberale comincia a dire: “Ah! Gioventù Liberale, Gobetti” e mi attacca un ricordo molto affettuoso su Piero Gobetti.

Rimasi colpito naturalmente da questa sua manifestazione di affetto verso una tradizione culturale così minoritaria ma col senno di poi non mi stupisce questo suo segno di affezione del resto ricorda Norberto Bobbio che lo stesso Pertini avrebbe ricordato Piero Gobetti in occasione di un convegno a Parigi con parole molto eloquenti, definendo Gobetti: “Una testimonianza e simbolo tra i più puri e perenni per la precoce lucidità dell’analisi teorica, per la consequenzialità della conclusioni politiche, per la generosità dell’impegno spinto sino all’estremo sacrificio”.

In questa attenzione è riconoscibile quella profonda fiducia che Pertini non trascurò mai di manifestare per la libertà. Un’impronta che rimane ferma nel suo pensiero, nella sua tradizione politica e che ritroviamo poi nel famoso messaggio già più volte citato – ma anch’io voglio ricordare alcune parole di questo messaggio – con il quale si rivolge la mia azione dopo la sua elezione a Presidente della Repubblica.

In questo messaggio Pertini sostiene, dopo aver invocato attenzione per la necessità di dare avvio o di proseguire nella strada delle riforme, dice: “Ma se a me socialista da sempre offrissero la più radicale delle riforme sociali a prezzo della libertà io la rifiuterei perché la libertà non può mai essere barattata”.

Questo vostro applauso mi fa piacere perché stavo andando a dire che il verbale stenografico della Camera a questo punto segna “vivissimi generali applausi”. Nello stesso messaggio di Pertini si chiude, invocando le figure capitali della sua tradizione politica alle quali si rifà “Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola e Piero Gobetti, Carlo Rosselli, Don Minzoni e Antonio Gramsci mio indimenticabile compagno di carcere”.

Quindi questa fiducia nella libertà è un tratto fondamentale del patrimonio anche politico dell’insegnamento di Pertini che qui voglio sottolineare.

Non credo che Pertini detto questo avrebbe apprezzato di essere considerato un socialista liberale; credo che Pertini fosse profondamente fiero anzi, sono sicuro come tutti voi che Pertini fosse profondamente fiero di essere un socialista vero un socialista all’italiana, di quel socialismo italiano profondamente imbevuto di valori libertari e umanistici che fanno la tradizione più nobile del socialismo italiano, e sicuramente una delle tradizioni più vitali del socialismo europeo. E lo dimostra questo suo attaccamento anche nelle sue scelte politiche, delle scelte politiche difficili per esempio quando si oppone fermamente a prezzo anche di uno scontro duro – alcuni sospettano anche quasi fisico – con Pietro Nenni a proposito del fronte unico e soprattutto delle liste uniche fra Partito Socialista e Partito Comunista alle quali liste uniche egli si oppone fermamente cercando di spiegare a Nenni che egli sottovaluta questo problema. E’ un problema invece grave e importante che sarà dimostrato dal fatto che nel Partito Socialista quasi metà dei parlamentari aderiranno al nuovo Partito Socialdemocratico di Saragat.

Del resto questo attaccamento alla tradizione socialista lo dimostra quando viceversa partecipa ai lavori di Palazzo Barberini; i lavori che diedero vita alla scissione socialdemocratica tanto da far suscitare l’impressione che volesse aderire alla scissione di Saragat, salvo poi dimostrare che erano andato lì per ottenere il risultato contrario: quello di rimanere, di mantenere unito il Partito Socialista e di rispettare all’interno del Partito Socialista le differenze delle componenti, delle tradizioni e delle culture. E questo fu sicuramente uno dei grandi crucci di Sandro Pertini di non essere riuscito a evitare questa scissione.

Probabilmente in questo attaccamento, questa volontà di evitare questa rottura pesava anche il ricordo della frattura che ci era stata negli anni precedenti fra socialisti e comunisti. In una intervista è Pertini stesso a dire: “Da parte comunista gli insulti contro di noi erano intollerabili. Parlerà il fascista Nenni essi scrivevano sui muri quando c’era un nostro comizio. La qualifica più garbata che ci rivolgevano era di avanzi del fascismo o dei socialtraditori”.

E in questa intervista ricorda la presentazione che fa di se stesso ad Antonio Gramsci quando lo incontra nel carcere di Turi: “Sono il socialfascista Pertini condannato a dieci anni”. E da lì nasce una grande amicizia con Gramsci.

Ecco, credo che questi elementi siano alcuni spunti che possiamo ricavare da questa mostra, alcuni spunti che ricavano persone come me che appartengono a una generazione che certo ha vissuto sotto Pertini ed è stata lì ……… come Presidente della Repubblica, ma che non hanno partecipato a questo clima fervido, generoso, eroico della Resistenza che molti di voi a partire dal Presidente Aniasi ha vissuto e di cui ci lasciate memoria e insegnamento.

Credo quindi che anche per noi e per chi viene dopo di noi questa mostra in questo momento sia un momento importante.

Intervento di Antonio Maccanico

Desidero innanzitutto esprimere la mia gratitudine alla F.I.A.P. e all’amico Aliazzi per l’invito che mi è stato fatto a partecipare a questa cerimonia, che direi cerimonia non è perché a quattordici anni dalla morte di Sandro Pertini io credo che bisognerebbe fare uno sforzo di valutazione anche critica di ciò che è stato Pertini nella vita italiana.

Al di là di quella che è l’immagine geografica Sandro Pertini è stato uno dei protagonisti della vita italiana, è stato uno dei fondatori della Repubblica ed è stato un grande uomo di Stato.

Ho avuto il privilegio di stare accanto a lui durante il periodo della presidenza della Repubblica, e quello è stato anche per me il momento più alto della mia vita non solo professionale ma ideale e politica.

Ho conosciuto Sandro Pertini ancora giovanissimo quando sono entrato alla Camera vincendo il concorso all’epoca dell’Assemblea Costituente – eravamo nel ’47 – e ciò che mi colpiva di Pertini, uomo già circondato dalla leggenda, il grande combattente antifascista, l’uomo che in sedici anni era stato in carcere e in confino, che aveva sacrificato la sua giovinezza nella lotta per la libertà, quello che mi colpiva in particolare in quegli anni era il suo disinteresse a occupare posizioni di Governo.

Cercavo di capire perché un uomo così rappresentativo così importate che aveva avuto quel ruolo nella lotta al fascismo e nella costruzione della Repubblica per quale ragione sfuggiva. E lui mi raccontò un episodio, mi disse che all’epoca dei governi di liberazione nazionale a un certo punto Nenni pensò a Sandro Pertini come Ministro dell’Interno.

Lui ne fu informato e subito organizzò un grande comizio al Teatro Brancaccio a Roma in cui accentuò enormemente le sue posizioni, si manifestò estremista tale al punto tale per cui nessuno più pensò che potesse essere Ministro dell’Interno, e fu nominato Romita.

Perché Pertini non voleva essere l’uomo di Governo, uomo che presiedesse una struttura burocratica e governasse?

Penso che lui che era stato uomo di parte e che essendo uomo di parte aveva pagato prezzi altissimi per la sua fede e per le sue convinzioni, credo che una volta costituita la Repubblica pensava per sé a un ruolo diverso, a un ruolo un po’ super partes, a un ruolo di costruzione di una democrazia inclusiva, di una democrazia che prendesse tutti e non separasse. Sentiva una vocazione per il ruolo istituzionale, infatti fu Vice Presidente della Camera e nel 1968 divenne Presidente della Camera.

Allora ero vice segretario generale e ho potuto seguire quella presidenza molto tormentata.

Ricordiamoci che cos’era il ’68, lui divenne Presidente della Camera nel ’68, e all’inizio degli anni ’70 cominciavano gli autunni caldi, le manifestazioni studentesche, la crisi petrolifera.

Fu un periodo molto difficile e Pertini Presidente della Camera fu la personificazione dell’imparzialità e della funzione di garanzia.

Ricordo episodi vari, per esempio quando ci fu un ostruzionismo fatto dalla destra, dal MSI; per una certa riforma della RAI da sinistra gli venivano suggerimenti – allora ero accanto a lui – per cercare scorciatoie e per evitare l’ostruzionismo Pertini era di un rigore assoluto e disse: “Io non farò nulla che non sia conforme ai regolamenti e alle prassi parlamentari”.

Ricordo quando fu ucciso un giovane di sinistra da parte di formazioni oltranziste di destra. Dibattito parlamentare drammatico. A un certo punto chiede la parola il rappresentante del Movimento Sociale Italiano tutta la sinistra insorge perché voleva impedirgli di parlare e Pertini con la sua autorità disse: “Finché io sono Presidente della Camera ogni deputato rappresenta la Nazione” e impose che potesse parlare.

Questo era l’uomo Pertini, era l’uomo delle istituzioni e si sentiva tale, ed è giusto che nel momento più grave della vita italiana e di quel periodo egli fosse chiamato alla suprema responsabilità della Repubblica. Dopo il rapimento e l’uccisione di Moro quando il terrorismo dilagava, quando i problemi del Paese erano particolarmente acuti egli ebbe la carica di Presidente della Repubblica e il suo programma fu molto chiaro: primo ridare prestigio alle istituzioni a partire dall’istituzione di Presidente della Repubblica che allora era abbastanza scossa perché c’erano state le dimissioni del Presidente Leone. Oggi a distanza di tempo possiamo dire che ci furono elementi di ingiustizia nei confronti del Presidente Leone ma allora l’istituto era indebolito.

Il secondo obiettivo che egli si pose era la resistenza di fronte all’offensiva terroristica; voi ricorderete che non c’era giorno non c’era settimana in cui non c’era un caduto fra le Forze dell’Ordine e fra i Magistrati, e Pertini che era l’uomo della Resistenza l’uomo dell’antifascismo l’uomo della Repubblica chiamava il Paese a resistere a questa barbarie.

E infine un punto che è stato quasi sempre dimenticato nell’attività di Pertini che erano saltati gli equilibri di Governo: era finita l’epoca del centrosinistra e si era esaurita l’epoca della solidarietà nazionale quindi uno dei compiti che Pertini si trovò davanti era quello di costruire equilibri di Governo.

Questo è un aspetto della vita di Pertini che anche la storiografia contemporanea non ha molto approfondito.

Ricordo le ore angosciose quando Pertini diede l’incarico a La Malfa pensando di trovare il modo per conservare almeno un minimo di solidarietà fra tutte le forse politiche maggiori.

Fallimento del tentativo La Malfa quando un po’ originalmente pensò di fare un Governo, con la presidenza del Presidente Andreotti, di immettere Saragat e La Malfa; addirittura fece una convocazione insieme che era dal punto di vista costituzionale non del tutto ortodosso, però trovammo il modo di farla accettare. Purtroppo Saragat disse di no e si fece il Governo Andreotti, La Malfa, democristiani e repubblicani, e in quel Governo Ugo La Malfa morì dopo pochi mesi e si andò quindi alle elezioni e i tentativi di Pertini di ricostruire un minimo di solidarietà.

A quel punto le varie forze politiche avevano strategie diverse.

I comunisti che avevano abbandonato la solidarietà nazionale si rifugiarono con Berlinguer in questa linea dell’alternativa democratica accentuando la loro caratterizzazione particolare.

La Democrazia Cristiana, si affacciava allora la segreteria De Mita che pensava a un accordo di natura costituzionale, e c’erano i socialisti alla guida poderosa di Craxi che ponevano il problema di una grande riforma, volevano attestarsi al centro dello schieramento politico e fare in modo che nulla si potesse fare senza di loro.

Pertini aveva grande preoccupazione una delle caratteristiche sue era quella di essere estremamente rispettoso dei ruoli dei partiti e delle forze politiche e l’obiettivo, quando si ebbe quel grande scandalo della P2 sotto il Governo Forlani – ricordo che Pertini era allora all’estero nel Messico, aveva fatto un trionfale viaggio nel Sud America – a quel punto Pertini pensò all’incarico a Giovanni Spadolini. Pensò che il nuovo equilibrio politico dovesse essere un equilibrio fra i partiti di democrazia laica tradizionali alleati della Democrazia Cristiana e la Democrazia Cristiana.

Scelse Spadolini per due ragioni, prima perché Spadolini era il segretario del partito più piccolo della coalizione quello che era stato sempre più legato alla Democrazia Cristina; la seconda ragione perché la personalità di Spadolini andava al di là del consenso del suo partito aveva stile su tutto.

Pertini fece un tentativo di creare un equilibrio politico, nuovo, diverso, e il successo del Governo Spadolini fu un successo anche di Pertini, ma dopo l’esperienza Spadolini il contrasto soprattutto fra democristiani e socialisti per la preminenza si affermò e Pertini non ebbe alcuna esitazione dopo l’elezione dell’83 a dare la Presidenza del Consiglio a Bettino Craxi.

Ho voluto ricordare questo perché Pertini fu un eroe. Ricordo che quando fu eletto Presidente della Repubblica i giornalisti a Montecitorio circondarono Saragat e gli chiesero: “Presidente ma chi è Pertini?”. Saragat rispose: “E’ un grande eroe della lotta per la libertà”.

Questa è una delle caratteristiche di Pertini l’amore per la libertà che lui considerava indissolubile dall’ansia della giustizia sociale, e ricordo che nel corso della sua presidenza pare che abbia ricevuto più di 500.000 studenti, ma qual’era il discorso che faceva agli studenti?

Guardate che Pertini era contrario al reclutamento precoce dei giovani, condannava nei partiti la tendenza al reclutamento precoce dei giovani ma dava solo un insegnamento, un insegnamento di libertà. Ripeteva sempre la frase di Voltaire: “Io non condivido nulla di ciò che tu dici ma sono pronto a dare la vita perché tu lo possa dire”. Questo è l’insegnamento che dava ai giovani.

Voglio ricordare un altro aspetto della presidenza Pertini, i grandi trionfi che erano i suoi viaggi all’estero.

Ricordo il viaggio in Germania – ne fece due – il primo impegno fu proprio in Germania e la simpatia che suscitò nel popolo tedesco quando sul Muro di Berlino disse una frase semplicissima: “Vedete quell’uccellino? Può liberamente andare da una parte e dall’altra: agli uomini questo è negato”. Tutta la stampa tedesca riportò questa frase di Sandro Pertini.

Ricordo l’amicizia che si strinse fra lui e Strauss il capo della Democrazia Cristiana bavarese, politicamente le posizioni erano molto distanti come voi immaginate ma divenne un’amicizia fraterna. Strauss volle accompagnare personalmente Pertini nel campo di Flossemburg dove era morto suo fratello; si stabilì un’amicizia molto stretta per cui quando Pertini andava in Alto Adige per la vacanza Strauss immancabilmente andava a trovarlo.

Ricordo che Guido Carli dopo il viaggio di Pertini in Germania che allora era diventato Presidente della Confindustria mi disse: “Pertini ha suscitato tanta simpatia che certi accordi che non eravamo riusciti mai a fare con il padronato tedesco siamo riusciti a farli adesso”.

Ricordo altri viaggi importanti del Presidente, quando andò in Spagna. Arrivò in Spagna e pochi giorni prima si era avuta notizia che nei Paesi baschi avevano bruciato la bandiera spagnola, Pertini appena scende dall’aereo a Madrid in presenza del Re si avvicina e bacia la bandiera spagnola. Questo è qualche cosa che ha commosso profondamente gli spagnoli. E così via.

Credo che sarebbe necessario approfondire il ruolo che Pertini ha avuto, il bene che ha fatto al nostro Paese nella resistenza al terrorismo, nel dare prestigio alle nostre istituzioni e soprattutto la sua idea di etica pubblica.

Mi ripeteva sempre, non mi chiamava Tonino ma mi dava del lei: “Guardi Tonino che quando arrivarono i fascisti e si occuparono di tutte le amministrazioni socialiste cercarono dappertutto di trovare imbrogli, prove di corruzione e non riuscirono mai”.

Questa è la nostra tradizione la tradizione della correttezza.

Penso quindi che i vari motivi di Sandro Pertini era questa sua fede questo senso religioso che aveva della libertà.

Voglio chiudere con un breve cenno al suo rapporto con il Papa Woytila, era veramente qualche cosa di straordinario questo rapporto fra queste due straordinarie personalità.

Ricordo ancora che nell’anniversario della cosiddetta intronizzazione di Papa Woytila arrivò al Quirinale un vescovo il quale chiese di parlare al Presidente in via riservata: il Papa invitava il Presidente della Repubblica a colazione nell’anniversario della sua intronizzazione ma voleva che la cosa fosse ritenuta riservata cioè che nessuno sapesse nulla.

A conoscenza di questo il Presidente mi dette un ordine preciso: “Non dica nulla a nessuno, organizzi tutto e non dica nulla a nessuno”.

Ma dico, nemmeno al Governo Presidente? “Nemmeno al Governo”.

Per la verità non mi attenni a questo e ritenni mio dovere avvertire il Presidente del Consiglio che allora era Cossiga, e dissi: Presidente io mi trovo in questa… però so che tu sei Capo del Governo non puoi non saperlo. E’ un fatto nuovo non è mai successo. Il Presidente della Repubblica va al Vaticano invitato personalmente dal Papa e il Governo non lo sa.

La cosa rimase segreta il giorno che avvenne tutto andò tranquillamente, verso le due del pomeriggio ricevo una telefonata dell’Ambasciatore italiano presso la Santa Sede che era Bruno Bottai il quale mi chiama e mi dice: “Ma che cosa mi state combinando? Il Presidente della Repubblica è a colazione col Papa e io non ne so nulla”. A quel punto ho potuto dire: guarda Bruno che io ho avvertito il Presidente del Consiglio, se il Presidente del Consiglio non ti ha detto nulla non ci posso fare nulla.

Quello fu un fatto di una importanza enorme perché il Presidente rimase non solo a colazione ma un paio d’ore ancora rimasero a conversare, e Pertini mi disse che in quell’occasione egli aveva parlato al Papa di sua madre, la madre che era una fervente cattolica, e sebbene lui avesse lasciato la fede cattolica fosse diventato non credente aveva lasciato nel suo animo un’impronta etica di altissimo rilievo.

Sua Santità ebbe modo di ricordare questo colloquio col Presidente e pubblicamente disse parlando delle madri, delle donne si riferì a questo discorso con Pertini.

La mia anedottica su Pertini sarebbe infinita io però ringrazio ancora l’amico Aniasi e F.I.A.P. per questa iniziativa e spero veramente che sulla figura di Pertini si riesca……. (gli applausi coprono la voce)

Il telegramma di Ciampi

TELEGRAMMA

ON. DOTT. ALDO ANIASl

PRESIDENTE FEDERAZIONE ITALIANA

DELLE ASSOCIAZIONI PARTIGIANE,

VIA DEL CORSO, 504

00186 ROMA

ESPRIMO IL MIO PIU’ VIVO CONPIACIMENTO ALLA FEDERAZIONE ITALIANA DELLE ASSOCIAZIONI PARTIGIANE PER L’ALTO VALORE STORICO E CIVILE DELLA MOSTRA “SANDRO PERTINI: UN SECOLO DI STORIA ITALIANA” ORGANIZZATA NELL’AMBITO DELLE MANIFESTAZIONI PER IL SESSANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA RESISTENZA.

UOMO FIERO E GIUSTO, VALOROSO UFFICIALE, COMBATTENTE PER LA LIBERTA’, DEPUTATO ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE, SENATORE NEL PRIMO PARLAMENTO ITALIANO, PRESIDENTE DELLA CAMERA, PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, SANDRO PERTINI HA INTRECCIATO LA PROPRIA ESISTENZA CON IL CAMMINO DI CRESCITA DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA.

LA SUA TESTIMONIANZA DI VITA ISPIRATA AD INTEGRITA’, RIGORE E COERENZA E’ UN ESEMPIO COSTANTE E ATTUALE PER RAFFORZARE NELLA NOSTRA PATRIA, IN EUROPA E NEL MONDO, UN COMUNE IMPEGNO E UNA COMUNE RESPONSABILITA’ A FAVORE DEI VALORI DI LIBERTA’ DI GIUSTIZIA SOCIALE E DI SOLIDARIETA’.CON QUESTA CONSAPEVOLEZZA INVIO A LEI ONOREVOLE PRESIDENTE, AGLI ORGANIZZATORI, ALLE AUTORITA’ E A TUTTI I PRESENTI UN SALUTO E UN AUGURIO PARTECIPE.

CARLO AZEGLIO CIAMPI

Telegramma di Aniasi

Carlo Azeglio Ciampi

Presidente della Repubblica

Signor Presidente,

Il pubblico presente nell’affollata Sala Alessi di Palazzo Marino alla tavola rotonda “Sandro Pertini: antifascista, partigiano, presidente” e all’inaugurazione della mostra:

“Sandro Pertini: un secolo di storia italiana” ha vivamente apprezzato la concessione del Suo Alto Patronato e le espressioni di incoraggiamento che ci ha rivolto con il Suo autorevole messaggio.

Mi consenta di esprimerLe la riconoscenza degli ex partigiani e dei resistenti tutti per le costanti Sue iniziative volte a far vivere la memoria della lotta per la libertà e per la Liberazione Nazionale.

Un deferente saluto ed augurio per la Sua alta missione.

Aldo Aniasi

Presidente Nazionale F.I.A.P

Cala il sipario sulla mostra

dedicata a Sandro Pertini

nelle sale del Palazzo della Ragione a Milano.

Cala il sipario ed è tempo di bilanci.Ebbene, i promotori,cioè la Fiap e i suoi dirigenti, affiancati dal comune di Milano, possono dirsi veramente soddisfatti.Si è trattato di un autentico successo, un successo sperato ma superiore alle attese degli ideatori della mostra e di quanti hanno lavorato per l’allestimento di questo importantissimo evento, la prima mostra in Italia dedicata alla figura diSandro Pertini, il “Presidente piùamato dagli italiani” e a quanto egli ha rappresentato nel secolo scorso per l’Italia e la sua rinascita democratica e sociale.Migliaia e migliaia sono stati i visitatori che, nelle tre settimane di mostra, hanno affollato le sale del Palazzo della Ragione, a Milano, per un tuffo emotivo in un passato carico diavvenimenti, di drammi, di passione politica, ma anche di riscatto e di crescita e promozione civile e morale del nostro Paese, riscatto crescita che hanno avuto in Sandro Pertini uno dei protagonisti più determinanti per i diversi ruoli rivestiti negli anni, da giovane intransigente antifascista, partigiano combattente, socialista, uomo delle istituzioni sia come Presidente della Camera sia come Capo dello Stato. Incarichi che egli ha ricoperto e svolto con grande rigore morale e con elevato senso dell’equilibrio esercitando il suo mandato con il distacco necessario a porlo come uomo al di sopra delle parti, nonostante il personaggio sia stato un uomo dichiaratamente di parte. La mostra è stata aperta da una tavola rotonda alla quale ha partecipato il Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini e salutata da un messaggio del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Il Presidente della F.I.A.P. Aldo Aniasi ha detto: “La F.I.A.P., le associazioni di ex partigiani, hanno un debito nei confronti delle giovani generazioni: quello di non aver ottenuto che la storia del novecento fosse insegnata, fatta conoscere. Questo per impedire che le tragedie umane che l’Europa e il mondo intero hanno vissuto si ripetano a causa della diffusione di ideologie totalitarie che, valendosi della violenza, instaurando dittature, coltivando sogni paranoici di dominio, possano far rivivere i drammi che la nostra generazione ha conosciuto”. Sandro Pertini viene unanimemente ricordato come il Presidente della Repubblica che più di ogni altro si è posto sulla stessa lunghezza d’onda dei sentimenti del popolo italiano. Una sintonia emersa soprattutto nei momenti più difficili della vicenda nazionale, vale a dire quando l’Italia, per lunghi, difficili anni, fu percorsa da drammi, tensioni, avvenimenti sanguinosi che ne hanno appesantito il passo. La mostra si è avvalsa di strumenti audiovisivi (filmati, monitor, schermi ecc.) ed ha utilizzato documenti storici ed iconografici attingendo a diverse fonti fra le quali l’Associazione Nazionale Sandro Pertini di Firenze. La mostra è stata realizzata grazie a generosi sponsor e con il contributo del Comune di Milano che ha messo a disposizione la bellissima sede (Palazzo della Ragione) di Piazza Mercanti a due passi dal Duomo. La figura di Pertini, nel contesto del Novecento, è stata rappresentata da documentazioni e raffigurazioni che ripercorrono le tappe più significative della storia italiana con finalità didascaliche e didattiche. La mostra, pur rivolgendosi alla generalità dei cittadini ha avuto come target privilegiato i giovani, le scuole, le Università. Numerose sono state le visite guidate di scolaresche e di gruppi studenteschi. La figura e la vita avventurosa di Pertini (quasi un eroe cinematografico) hanno consentito ai ragazzi, ma anche ai tanti visitatori adulti, a uomini e donne, di ripercorrere alcuni aspetti centrali della storia del secolo scorso. La lettura della vita di Pertini è stata contestualizzata all’interno della politica italiana e alcuni episodi acquistano oggi un valore simbolico: la fuga di Turati a Parigi, i processi contro gli antifascisti, il tribunale speciale, il confino, la guerra di Liberazione, le elezioni del primo dopoguerra, le vicende interne ai partiti politici, le lotte sindacali, l’attività parlamentare. Una mostra quindi su più binari che ha messo in relazione la figura di Pertini con quella di altri protagonisti del nostro secolo. Il dopo liberazione è stato letto anche attraverso episodi molto significativi della storia italiana: la Repubblica, la Costituzione, le battaglie per la libertà, la democrazia, la svolta del centrosinistra, le lotte dei lavoratori, la lotta al terrorismo, la presenza internazionale dell’Italia. Un’ampia sezione della mostra è stata interamente dedicata a Pertini Presidente, prima della Camera e successivamente della Repubblica, e allo straordinario consenso popolare che accompagnò il suo mandato, il tutto documentato e visualizzato attraverso articoli, vignette e manifestazioni pubbliche. Tra le tante iniziative che hanno ruotato attorno alla mostra segnaliamo l’incontro con gli ex partigiani da parte del Presidente Emerito Oscar Luigi Scalfaro.

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