MEDICO DEI POVERI – SCIENZIATO
CREATORE DEL SOCIALISMO DEMOCRATICO.
testimonianza di Giovanni Ferro
Le foci dei grandi fiumi italiani il Po e l’Adige avevano favorito la concentrazione dei lavoratori della terra nel Polesine, rappresentato dalle province di Adria e di Rovigo. L’eventualità delle alluvioni erano pertanto ricorrenti in quelle località.
L’alluvione del 1878 aveva favorito il formarsi di un movimento di protesta per le condizioni di vita riservate ai lavoratori da parte dei proprietari.
Quel movimento passò alla storia col nome del suo grido di minaccia: «La boje!» riferito al fenomeno dell’acqua portata ad ebollizione per l’alta temperatura. Questa avversione tendeva a farsi più minacciosa con l’incitamento politico degli anarchici che predicavano la rivolta.
Il 30 agosto 1879 il giornale «La Plebe» di Lodi pubblicò la famosa «Lettera ai compagni di Romagna» di Andrea Costa che affiancato dalla sua meravigliosa compagna russa Anna Kuliscioff annunciava il suo distacco dalle fila del socialismo anarchico per aderire a quelle del socialismo democratico.
Nel 1878 era approdato nel Comune di Trecenta, in provincia di Rovigo, in qualità di medico condotto, Nicola Badaloni di Recanati, avendo vinto il relativo concorso. Il suo codice di comportamento era quello comunemente seguito dai medici condotti dell’epoca fra. le popolazioni dei contadini poveri, ignoranti ed afflitti da malattie endemiche.
Essi dedicavano le loro cure ai loro corpi martoriati dalla fatica e dalla denutrizione e alle loro anime esacerbate, avvilite e sofferenti. Si erano anche assunti il ruolo di curatori d’anime, un tempo riservato esclusivamente ai preti, ora distratti da obiettivi terreni, come il potere temporale della Chiesa minacciato di estinzione e la conservazione dei beni ecclesiastici in corso di espropriazione da parte del nuovo stato.
Badaloni, medico dal vasto orizzonte politico e sociale, si rese conto che la sua attività limitatamente professionale sarebbe stata insufficiente a risolvere i numerosi problemi che affliggevano quelle popolazioni affidate alla sua assistenza professionale.
Le istituzioni nuove, di origine popolare, come le Leghe di resistenza, le Camere del Lavoro, le Cooperative, le Università Popolari, facevano la loro prima apparizione nel panorama civile e Badaloni le considerò utili per conseguire un miglior livello politico che consentisse loro di sottrarsi dal mito della violenza redentrice, orientandoli invece verso il socialismo riformista e umanitario.
Nel 1889 il Congresso dell’Internazionale, riunitosi a Parigi, deliberò che il 1° Maggio d’ogni anno doveva diventare la festa del lavoro per tutti i lavoratori del mondo.
Nel 1892 il Partito Socialista Italiano fu costituito a Genova e Badaloni si unì ad Andrea Costa per aderirvi.
Il 23 giugno 1897 Badaloni pronunciò alla Camera un grande discorso dal titolo: «La salute pubblica e la necessità delle riforme sociali», seguito con attenzione ammirata da tutta l’assemblea.
Era solito rivolgersi ai suoi colleghi che professavano la propria fede religiosa con una certa ostentazione rivolgendo loro il quesito: «Voi vi dite cristiani; vivete Voi come tali?». Era assai rispettoso delle opinioni altrui, ma preferiva affiancarsi a personalità come quelle di Guglielmo Ferrero, Don Romolo Murri, Edmondo De Amicis e ai grandi esponenti popolari: Gregorio Agnini di Modena, Giuseppe Massarenti di Molinella e il grande assertore del movimento delle cooperative: Nullo Baldini.
Il ricorso alla satira politica, come mezzo per demolire il prestigio degli avversari, dimostrando la fervida fantasia della parte progressista della popolazione polesana, malgrado non disponesse di personalità letterarie del calibro dei Giusti, dei Belli, dei Porta, fondò ad Adria «Il Birichino» e a Rovigo il giornale «El Diga» e il settimanale «L’Adigetto».
Nel 1894 Badaloni fu invitato a Milano per una conferenza sul tema «Genio e Lavoro». L’invito era stato formulato da Anna Kuliscioff, da Filippo Turati e da Costantino Lazzari.
Per iniziativa di Remigio Piva, il 15 novembre 1896 fu inaugurato a Rovigo il monumento a Giuseppe Garibaldi, opera dello scultore repubblicano e Gran Maestro della Massoneria, Ettore Ferrari. Il discorso inaugurale fu pronunciato dal poeta Enrico Panzacchi. Presenziavano le più illustri personalità cittadine: la celebre vedova di Alberto Mario, Jessie White Mario, il generale garibaldino Domenico Piva, il Sindaco di Rovigo l’On. Amos Bernini, il deputato repubblicano Italo Pozzato.
Si diceva che quel monumento per il suo alto valore artistico fosse stato destinato a più illustre sede, ma relegato alla modesta sede di Rovigo perché sotto le staffe del popolare condottiero era stata raffigurata la corona monarchica. Una nota di particolare rilevanza culturale si poteva leggere nella rivista «Critica Sociale» del 1897.
Si trattava dell’intervista concessa a Sanremo dove risiedeva per ragioni di salute Alfredo Nobel, l’inventore della dinamite. Questo aveva manifestato la sua predilezione per il socialismo, confermando il suo proposito di orientare le ricerche scientifiche in senso benefico per l’intera umanità istituendo il famoso Premio che porta il suo nome.
All’epoca, in campo nazionale, la personalità che più emergeva per la serietà dei propositi umanitari in Italia era rappresentata da Nicola Badaloni. Proprio il 23 giugno 1897 aveva pronunciato alla Camera dei Deputati il suo grande discorso sul tema: «La salute pubblica e la necessità delle riforme sociali». Infatti proprio seguendo le proposte di Badaloni, il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti realizzò la sua legislazione sociale. Attorniato da una fitta schiera di giovani animati dal suo stesso entusiasmo e dal suo stesso spirito di sacrificio egli continuava a svolgere, quasi clandestinamente, i suoi studi scientifici di cui sono testimonianza le opere di grande valore quali: «Mielopatie cavitarie» – «Studi sul cancro allo stomaco» – «Studi sulla malaria». Nel 1895 aveva conseguito la Libera Docenza in patologia speciale e clinica medica propedeutica all’Università di Perugia e nel 1900 sarà nominato professore di Patologia Speciale all’Università di Napoli. In considerazione del suo generoso apporto in materia di politica sociale Giolitti lo nominerà Senatore a vita.
L’8 marzo 1898 il giornalista della Gazzetta di Venezia, Ferruccio Macola aveva ucciso in duello il bardo della democrazia repubblicana, Felice Cavallotti. Memore dell’atteggiamento amichevole assunto in sua difesa contro il provvedimento di domicilio coatto proposto per lui dal Prefetto di Rovigo, Badaloni pronunciò alla Camera un nobile discorso di grande levatura nel corso del quale seppe dare alla sua figura un’immagine così superba da farlo apparire simbolo della più alta umanità. Nel suo viaggio di ritorno da Montecitorio si fermò nella sua Recanati per manifestare la sua ammirazione al suo illustre conterraneo Giacomo Leopardi.
Il 17 giugno 1898 pronunciò in Parlamento un poderoso discorso di protesta contro le repressioni antioperaie e contro il diritto di associazione calpestato dal Governo per i fatti di Milano.
Una delle virtù più preziose che gli venivano riconosciute, era quella di saper forgiare uomini dotati di tutti i requisiti necessari alla guida delle Comunità. L’esempio più eloquente è rappresentato dall’educazione politica impartita al giovane Giacomo Matteotti di Fratta Polesine.
Riferendosi a lui – dopo il sacrificio della sua vita – Piero Godetti ebbe a dichiarare ch’Egli possedeva una virtù umanamente preziosa ma rara fra gli italiani: il carattere!
Il 20 ottobre 1899 fu convocato a Rovigo il primo Congresso della Federazione Socialista. Fu eletto Segretario il giovane poeta Gino Piva, fratello della poetessa Lidya e figlio della poetessa Carolina Cristofori Piva che aveva ispirato Giosuè Carducci nelle sue «Odi barbare».
Alcuni giorni dopo quel congresso Badaloni, con Gino Piva e Dante Coletti fondarono ad Adria il settimanale «LA LOTTA» sul quale scriverà frequentemente Edmondo De Amicis.
Nei primi mesi del 1930 mi recai in bicicletta da Rovigo a Trecenta per portare a Badaloni la prima copia del giornale clandestino «Giustizia e Libertà», impresa illegale, in quell’epoca, che mi costò l’assegnazione al confino politico di Lipari. Alla vigilia della mia partenza per quella destinazione venne a trovarmi nel carcere di Rovigo mia nonna per l’ultimo saluto. In quell’occasione mi confidò di essere venuta in quello stesso carcere nel 1884 per venire a trovare mio nonno, arrestato per aver partecipato al movimento de «La Boje» malgrado fosse capostazione di Loreo in provincia di Adria.
Prima che potesse varcare la soglia dell’eternità, la sorte volle riservare a Badaloni un’ultima grande emozione. Al proprio capezzale, dove ormai giaceva immobile, ricevette l’estremo saluto dal figlio del suo discepolo prediletto che lo aveva preceduto nella gloria attraverso il martirio: Giacomo Matteotti.
Ecco le parole con le quali Giancarlo Matteotti ci ha lasciato diretta testimonianza di quel fortuito incontro che anche per lui è stato fonte di grande commozione: «Nel correre attraverso il Polesine per prepararci all’arrivo del Fronte di guerra già vicino, nella sua casa di Trecenta, il cui pianterreno era ancora occupato da un feroce Comando di S.S. cieco, quasi morente, nel suo letto mi apparve per la prima ed ultima volta, larva umana, il novantenne Profeta del Socialismo, Nicola Badaloni. L’artiglieria dell’Ottava Armata tuonava ormai all’orizzonte. Fattomi riconoscere, non senza pericolo e fatica, mi rievocò con le mani sugli occhi ormai spenti, la folla dei più dolci ricordi, come un’ultima fiamma spirituale della sua vita e mi salutò in modo definitivo dicendomi di vedere nel buio che ci circondava soltanto una piccola luce lontana. Nel correre attraverso la campagna cupa mi accorsi che la pioggia si confondeva con le lacrime.
Figura ieratica Mosè polesano, lasciò ai suoi contadini le tavole della sua legge di civile convivenza!
Si spense il 21 maggio 1945.