Sante Garibaldi
Sante Garibaldi ha patito per la sua opposizione al regime nazifascista, in coerenza con gli ideali di libertà della migliore e autentica tradizione garibaldina. Quest’uomo con il suo prestigioso cognome, all’ombra del regime di Mussolini, avrebbe potuto trarre enormi vantaggi e vivere tranquillamente; invece dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti si è opposto al fascismo tanto da essere costretto con mille difficoltà ad espatriare in Francia. Qui ha contribuito ad organizzare la resistenza alla dittatura fascista e purtroppo con l’occupazione nazista venne arrestato e così iniziò il suo calvario, di carcere in carcere, di campo in campo di sterminio, fino a Dacau. Al momento dell’arresto pesava 87 chili, quando fortunosamente, con l’arrivo degli alleati, usci dal campo pesava 52 chili. Non spetta a me raccontare qui la disumana vita trascorsa a Dacau. Le sofferenze subite fiaccarono la sua salute tanto che dopo pochi mesi dalla liberazione morì.
L’altro sentimento, di rabbia, è stato invece provocato dal fatto che mentre Sante Garibaldi in Francia ha ricevuto post-mortem la Croce di Commandeur de la Legion d’Honneur, nell’Italia democratica la sua eroica figura è stata completamente ignorata. Non un segnale di riconoscimento dalla repubblica nata dalla Resistenza. Il suo carattere schivo e sobrio non avrebbe certamento richiesto onori e prebende, ma siamo noi, che ci richiamiamo alla tradizione di Giustizia e Libertà, che siamo indignati. Eppure questo grande patriota con il suo sacrificio ha contribuito a restituire dignità e rispetto all’Italia prostrata dal fascismo.
– VITTORIO CIMIOTTA –
Il 25 aprile 1945 è un’alba grigia e fredda sul campo di Dacau. Da diversi giorni regna un’animazione inconsueta. Arrivano persone, famiglie, scortate da imponenti manipoli di SS. Eppure sono spesso vecchi, bambini, persone dall’aspetto borghese, ecclesiastici. Non si immaginano a scavalcare i reticolati per darsi alla fuga. Ridotti alla fame, gli ospiti ordinari del campo, nelle loro divise a righe, che si levano solo per la doccia gelata all’aria aperta, guardano e tacciono. Sono quelli del reparto ” politici”, NN ” Notte e Nebbia”, coloro ai quali è negato ogni contatto con il mondo esterno, quelli che hanno un grado, un nome, che un giorno potranno servire a qualcosa. Tra questi Sante Garibaldi,
E’ venuta l’ora di usarli, nel disfacimento del Reich. La Baviera è vicina all’Italia. Il Generale Wolff ha trasportato a Bolzano il suo Stato Maggiore. Il Generale Wolff è persona di grande intelligenza. Pensa, come pochi gerarchi nazisti ma come diversi fascisti, che vinta la guerra dagli Alleati, americani e inglesi vorranno sbarazzarsi dei russi, ed allora stringeranno alleanza con gli ambienti moderati del Fascismo e del Nazismo. Non è il solo a muoversi su queste posizioni. Anche gli inglesi allestiscono, già dal 1943 nel Sud dell’Italia, campi detti di concentramento, che ovviamente non hanno nulla da vedere con le prigioni naziste, per accogliere i rappresentanti di ambienti compromessi con il Fascismo che potrebbero nel futuro essere utili per mantenere in Italia un equilibrio politico che la Resistenza potrebbe compromettere. Gli inglesi puntano sulla antica aristocrazia italiana ma non solo. La particolarità del ragionamento del Generale Wolff è di pensare all’Esercito tedesco superstite come una sorta di punta di diamante degli eserciti anglosassoni contro l’Armata russa, un ribaltamento delle alleanze per salvare la Germania e l’Europa Centrale dall’invasione sovietica. Wolff non valuta che nessuno può permettersi, nell’Europa dell’aprile 1945, di ignorare il debito che gli alleati occidentali hanno verso l’Unione Sovietica. Le Resistenze in Europa hanno una forte componente comunista, la Francia, guidata dal Generale De Gaulle, non è certo dimentica di Jean Moulin. Coloro che hanno partecipato alla Resistenza non si alleeranno mai con i nazisti contro i compagni di lotta.
Eppure, il disegno del Generale Wolff è di circondarsi di elementi moderati, rappresentativi della resistenza al Nazismo ma patrioti, personalità e non movimenti. Pensa di avere ancora credibilità, di potere ancora negoziare. Fa concentrare a Dacau quelli che crede potergli essere utili e all’alba del 25 aprile, una serie di camion non meglio identificabili imbarcano circa 120 persone. Il gruppo è composto all’inizio dai ” prigionieri di sangue”, che sono i famigliari dei gerarchi tedeschi che hanno attentato alla vita di Hitler, i Von Hassel ed altri: fallito il putsch, sono stati fucilati e le famiglie imprigionate. A questa strana compagnia vengono però aggiunte personalità non discutibili, forse come ostaggi: il socialista francese Leon Blum, il cancelliere austriaco Kurt Von Schussnigg, prelati scomodi come Mgr Piguet, vescovo di Clermont-Ferrand, Sante Garibaldi e il colonnello Ferrero, che fu suo collaboratore, come Romano Cocchi, fedelissimo compagno di lotte che proveniva dalle file del PC in Francia, morto a Buchenwald. Oltre a questi ed ai prigionieri di sangue, un insieme di personalità francesi, belghe, olandesi, inglesi, che si caratterizzano tutti per la loro assenza di cedimenti al Nazismo.
Quei camion su i quali caricano i prigionieri sono spesso preposti a portarli sul luogo della fucilazione. Vi sale anche Sante Garibaldi, e scriverà nei mesi successivi, con il ritegno che lo caratterizzano nel parlare dei propri sentimenti: ” non dico che in quel momento non abbia pensato a mia moglie, a mia figlia, alla patria”. E’ la preghiera del laico, rimasto tale nei mesi di Dacau anche se ha prestato la sua opera, in quel campo affollato di sacerdoti, per distribuire l’ostia, un pezzo di pane consacrato di nascosto, nel corso delle sua mansioni di distributore di una malsana brodaglia ai prigionieri, al rischio della propria vita. Altro non poteva fare se non scavare le fosse comuni e trascinarvi dentro i morti quotidiani.
L’episodio, raccontato da Mgr Piguet, vescovo di Clermont-Ferrand, anche lui prigioniero, merita di essere ricordato come esempio della tolleranza insita nella tradizione garibaldina. Sante riceverà, pochi mesi dopo, funerali strettamente laici, per sua volontà.
Sante è figlio di Ricciotti Garibaldi. Occupa nella famiglia una posizione particolare, essendo stato sempre coerentemente contrario alla dittatura, assieme al fratello Menotti che, essendo ufficiale dell’Esercito, deve però contenere i suoi sentimenti e considerarsi pago di essere solo relegato a Massaua. Sante, nato nel 1885, ha studiato come i suoi fratelli nelle scuole industriali, ed a 18 anni il padre gli ha imposto il tirocinio in emigrazione. E’ andato in Egitto dove si è dato un mestiere, quello dell’imprenditore edile, oltre a quello del cartografo: in due anni, ha stabilito la prima cartografia delle foci del Nilo Blu, poco più che ventenne. Quando arriva in Grecia nel 1911, al richiamo del padre per partecipare alla guerra greco-turca, si sente più l’animo del ” costruttore”, come scriverà lui stesso, che del soldato, e considera che guadagnarsi la vita con il proprio lavoro è la chiave della libertà anche politica. Partecipa alla dura campagna delle Argonne con i fratelli, alla guerre sul Marmolada, e smobilitato nel 1919 con il grado di Maggiore dell’Esercito, vorrebbe ridarsi alla sua attività imprenditoriale in Italia. La morte del padre Ricciotti nel 1924, l’avvento del Fascismo nel quale sono diversamente compromessi i suoi fratelli, le minacce a lui, ai suoi operai, lo costringono ad allontanarsi. Riprende la sua attività in Francia, tormentato ancora dalle mene del fratello Ricciotti, il quale è espulso nel 1927, e dalle manifestazioni ufficiali franco-italiane che sbandierano Ezio Garibaldi. Sante si tiene lontano dalla politica fino al 1936, ma da quel momento inizia ad organizzare una Legione in Francia. La Legione vorrebbe essere chiamata a combattere contro i nazisti, e politicamente a rappresentare l’Italia democratica a fianco degli Alleati. Sante ha sostenuto la necessità della non-belligeranza, le ragioni dell’amicizia franco-italiana., ma l’Italia è entrata in guerra. Interviene l’armistizio. Da allora, si affianca con molti dei suoi alla Resistenza in Francia, tenendosi però lontano dai partiti di cui considera che dividono l’opinione antifascista. Non può più dirigere la sua impresa perché straniero. Deve fuggire in zona libera, perché raggiunto da un primo mandato d’arresto italiano per le posizione prese al momento dell’invasione della Provenza da parte fascista, ma davanti all’evolvere negativo della situazione a Vichy, decide di tornare a casa, a Bordeaux, dov’è arrestato. Da lì comincia il suo calvario: Angers, Compiègne, Sarrebrucken, Orianenburg, Colonia, Buckenwald, Dacau
L’ultima avventura è quella del camion, poi un treno, degli ostaggi. Appena libero, a Bolzano, contrariamente ai prigionieri di sangue tedeschi che temono i partigiani, lui li raggiunge, partecipa a qualche colpo di mano. Ma la salute lo tradisce, e comincia l’altro calvario: muore a Bordeaux, con vicine la moglie e la figlia, il 4 luglio 1946, conscio abbastanza per salutare l’avvento della Repubblica. Riposa nella tomba dei Garibaldi al Verano, a Roma. Alle decorazioni avute per le guerre del 1914-1918, il Governo francese ha aggiunto post-mortem la Croce di Commandeur de la Legion d’Honneur. Dall’Italia ufficiale, il silenzio, ma il ricordo dei suoi pari, che stanno nell’Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini, in Giustizia e Libertà, tra coloro che ancora oggi sanno quello che significa dittatura, e quello che significa libertà.
(pubblicato su www.giustiziaeliberta.net il 15/03/2004)