Carlo Galante Garrone (Vercelli 1910- Torino 1997)
Carlo nasce a Vercelli il 2 dicembre 1910, in una famiglia legata alla tradizione del Risorgimento e dell’interventismo democratico: il padre Luigi Galante, è un noto latinista e la madre Margherita Garrone è sorella di Eugenio e Giuseppe Garrone, medaglie d’oro al valor militare nella prima guerra mondiale. Rimasto orfano di padre alla fine del 1925, Carlo si trasferisce con la famiglia a Torino nel 1928, dove si laurea in giurisprudenza, entrando, poi, nel 1935 in Magistratura, diventando giudice del Tribunale di Torino. Sin dalla fine degli anni Trenta è vicino al gruppo torinese che, riunito intorno ad Ada Gobetti, si richiama ai valori di “Giustizia e Libertà”, il movimento fondato da Carlo Rosselli. Con il fratello Alessandro e Giorgio Agosti, al quale è legato fin dagli anni dell’università, dal 1940 stringe rapporti sempre più stretti con Dante Livio Bianco, entrando a far parte del partito d’Azione torinese sorto nel 1942. È del 1940, inoltre, una gustosa antologia di scritti intitolata Viva il capomastro in cui, sotto lo pseudonimo di Isidoro Pagnotta, raccoglie detti di Mussolini che vengono fatti circolare clandestinamente, facendo uso dell’ironia e della satira come arma per ridicolizzare il regime fascista.
Dopo l’8 settembre 1943, partecipa attivamente alla Resistenza, organizzando presso la sede del tribunale di Torino un deposito di stampa clandestina del partito che smista per la distribuzione e nell’autunno del 1944 svolge attività di collegamento con le formazioni Giustizia e Libertà del Cuneese, dove milita il fratello Alessandro. Nel febbraio del ’45, viene arrestato dai fascisti durante un’udienza, ma riesce fortunosamente a fuggire – passando tra scale e stanze del Palazzo di Giustizia – e raggiunge la I° Divisione Alpina G.L. con la quale prenderà parte alla liberazione di Cuneo . Nell’ottobre del 1945, il Cln piemontese lo nomina prefetto politico di Alessandria, in sostituzione di Livio Pivano (divenuto membro della Consulta),carica che ricopre fino al 1° marzo 1946, quando ritorna alla professione di giudice. Come molti altri suoi compagni azionisti prosegue in ambito culturale l’impegno politico, collaborando con varie riviste tra cui “Il ponte” di Piero Calamandrei e “Il mondo”, adoperandosi in particolare per la difesa della resistenza e denunciando con forza la fallita epurazione dei crimini fascisti, in seguito all’applicazione estensiva dell’’”Amnistia Togliatti”. Nel settembre del 1953, due mesi dopo la morte improvvisa di Dante Livio Bianco, con il quale Carlo collaborava, ne rileverà lo studio lasciando così la magistratura per intraprendere la carriera di avvocato. In questa veste, negli anni successivi, prenderà parte alla difesa di Ferruccio Parri, calunniato dai giornali neofascisti, e a quella di Sandro Pertini, Giorgio Amendola, Franco Calamandrei, Rosario Bentivegna, Carlo Salinari, Carla Capponi, e Riccardo Bauer, nel processo legato all’attentato di via Rasella avviato da alcun parenti delle vittime della strage delle Fosse Ardeatine.
Si dedica, intanto, anche all’attività politica: su sollecitazione di Parri, accetta di candidarsi alle elezioni politiche del 1968, e viene eletto senatore, come indipendente di sinistra nelle liste del Pci-Psiup, quindi deputato per una legislatura, dal 1979 al 1983. Presiede, inoltre, la Commissione sull’inchiesta Sifar- De Lorenzo e sul fallito golpe del 1964; come parlamentare si batte in particolare per l’introduzione del divorzio, per la riforma del codice penale e dell’ordinamento penitenziario, contro la Legge Reale del 1975 e nella denuncia dello scandalo Lockheed.
Conclusa l’esperienza parlamentare, si candida alle lezioni amministrative del 1985 nelle liste del Pci, entrando a far parte del consiglio comunale di Torino nel quale rimane sino al 1991.
Si spegne a Torino nel 1997.
Fonti: Anpi e Archos