La democrazia in Italia è in crisi? Il paradigma antifascista, che è alla base della nostra Costituzione ed è alla radice del nostro vivere civile, oggi è sentito ancora come un valore? In quest’ottica, il 25 aprile e la Liberazione dal nazifascismo quale senso assumono? È opportuno chiederselo perché, ormai da anni, sembra che nella società (non solo italiana) si faccia molta fatica a capire che il tempo ha più dimensioni e che ignorare il passato, da un lato, non fa comprendere come si è arrivati al presente e, dall’altro, rende molto difficile progettare un futuro possibile nella libertà.

Durante gli anni Novanta, dopo aver pubblicato nel 1991 la sua autobiografia Il Cavallo e la Torre, Vittorio Foa (nelle carceri fasciste per 8 anni e 3 mesi, protagonista della Resistenza nelle file del Partito d’Azione, deputato dell’Assemblea Costituente) aveva continuato a riflettere e a scrivere dando alle stampe nel 2000 Passaggi, una sorta d’integrazione all’autobiografia, in una ricchissima stagione della vita in cui aveva pubblicato altri libri di straordinaria rilevanza che, insieme, guardavano alla storia, al presente e al futuro. Non sfuggiva a Foa che il mondo stava cambiando molto rapidamente e che proprio la crescente difficoltà di uscire dal presente, oggi potremmo dire dall’attimo, era già allora un grande ostacolo per sviluppare il senso critico, uno strumento insostituibile per acquisire la coscienza della realtà, necessaria per imparare a scegliere e per non farsi guidare dal conformismo contro cui aveva sempre combattuto. Foa non amava la retorica, fino alla fine tentò di capire per costruire, anche nelle ultime ore della sua lunga vita. Amava progettare senza ricorrere a slogan e annunci, tanto roboanti quanto sterili. Comprendeva bene che il passato, anche quello più nobile e sentito dalla sua generazione, era destinato a offuscarsi e a “sciogliersi” se non si fosse partiti dal presente per rinnovarne il senso, lo scrisse nel 1996 con parole semplici: “Anche la migliore tradizione si serve solo rinnovandola”. È una frase contenuta proprio in Passaggi. Forse, facendo parlare Foa attraverso qualche frammento di quel libro, senza ricorrere a nient’altro, si può festeggiare la Liberazione in modo un po’ diverso, pensando alla crisi della democrazia e della politica in rapporto alla percezione del tempo, riflettendo sul cambiamento possibile per combattere il diffuso e inquietante senso di spaesamento di fronte al quale, e Foa ne è stato un esempio, non ci si deve arrendere.

Non riusciamo ad arrivare alla politica, cioè a dare un senso al presente pensando al futuro. Siamo inchiodati alla piattezza dell’infrapolitica, al giorno per giorno, oppure partiamo per la tangente dell’ultrapolitica, cioè verso una rappresentazione del futuro che lo separa dal presente. I due errori, quello dell’appiattimento e quello della fuga, si succedono fra loro nel tempo lasciandoci a bocca asciutta (1995).

Se si vuole cambiare qualcosa bisogna partire da quello che c’è. Se si parte da quello che non c’è non si riesce a cambiare nulla. Il realismo è volontà di mutamento arricchendo e non appiattendo il passato (1995).

Quando la democrazia è in crisi il solo modo di difenderla è quello di darsi da fare per cambiarla (1997).

Non è solo la politica che ci inchioda tristemente nel presente e non ci consente orizzonti. Il presente domina ovunque, siamo presentecratici. Le nostre decisioni, le stesse nostre riflessioni sul futuro non si staccano dal qui e dall’oggi […]. Il cambiamento è così rapido che i criteri fondativi della vita collettiva nel 2020 saranno diversi da quelli di oggi. Dobbiamo cambiare il modo di pensare (1994).

Il 2020 è già passato da due anni, sarà bene non distrarsi. Il futuro spaventa, ma potrebbe riservare sorprese positive e non solo paure crescenti. Un vecchio ragazzo, protagonista della Liberazione, lo ha dimostrato fino alla fine. Il suo approccio alla vita e la sua voglia di futuro ci servono anche oggi, 25 aprile 2022.         

di Andrea Ricciardi

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