«Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste, le parole sono importanti», diceva Michele Apicella (alias Nanni Moretti) nel celebre film Palombella Rossa, del 1989. Riprendendo il messaggio contenuto in questa semplice frase, si può e si deve dire che oggi in Italia non c’è il fascismo al potere semplicemente perché siamo in una democrazia, ancorché imperfetta. Perché le istituzioni della Repubblica non sono gestite da un dittatore sanguinario che si serve di milizie armate, dipendenti da un partito unico, che non rispondono alle leggi proprie di uno Stato di diritto. Perché la magistratura non è asservita al potere esecutivo. Perché il pluralismo (politico, sindacale, dell’informazione) è garantito, sebbene qualcuno non mostri grande interesse per questo autentico “privilegio” considerato che, guardando ad ampie aree del mondo, soprattutto in Africa e in Asia, la democrazia neanche si può nominare. Perché qui esistono le opposizioni (non sempre incisive) al governo in carica, che non è eletto dal popolo (come erroneamente sostengono in troppi) ma che rimane al suo posto fino a quando ha la fiducia del Parlamento. Eletto (questo sì) dalle cittadine e dai cittadini, purtroppo sempre meno, che esercitano il diritto di voto sia pure dovendo confrontarsi con un’offerta politica poco allettante e talvolta persino deprimente, sul piano culturale come su quello delle competenze “tecniche”. E, per ricordare che in Italia non c’è un regime fascista, si potrebbe andare avanti ripartendo, per esempio, dalla nostra Costituzione, in realtà non sempre applicata (quando non negata). Ma non è il caso di dilungarsi su questo punto.

Questo brevissimo quadro, tuttavia, non dimostra che la democrazia italiana sia in piena salute né che l’estrema destra al potere dal 2022 (destra sovranista alleata dei movimenti e dei partiti più retrivi nel Parlamento europeo e convinta sostenitrice dei reazionari e dei cattolici tradizionalisti di mezzo mondo tra cui Trump e Bolsonaro) sia antifascista. Cosa che, in realtà, dovrebbe essere assolutamente naturale per ogni maggioranza chiamata a governare una grande democrazia, per giunta proprio nel paese in cui si affermò il primo regime totalitario del Novecento, il fascismo appunto, rivelatosi antisemita e razzista anche verso i neri. La distanza dall’antifascismo è evidente non soltanto se si tiene conto delle urticanti dichiarazioni (e dei silenzi) di Ignazio La Russa (seconda carica dello Stato), di Giorgia Meloni, di vari ministri e dirigenti di partito della coalizione di governo in cui il centro (e cioè Forza Italia) è sostanzialmente ininfluente rispetto a Fratelli d’Italia e Lega, ma anche se si considera ciò che avviene da anni a livello locale. Qualcuno ricorderà il caso del mausoleo intitolato al fascista Rodolfo Graziani, uno dei più grandi criminali di guerra nostrani le cui gesta “patriottiche” si ricordano ancora in Africa, dove ordinò il massacro di migliaia di civili inermi, e in Italia, dove fu al fianco dei nazisti fino alla fine ordinando rappresaglie e perseguitando con ferocia i partigiani.   

L’ultimo caso, clamoroso, di anti-antifascismo si è verificato nel consiglio comunale di Lucca. Qui la coalizione di destra-centro ha negato l’intitolazione di una strada a Sandro Pertini, com’è noto (non proprio a tutti) antifascista socialista, per questo incarcerato dal regime di Mussolini, costretto all’esilio politico in Francia, dirigente della Resistenza e del PSI, poi Presidente della Camera (1968-76) e, nei delicati anni 1978-1985, Presidente della Repubblica. Un consigliere dell’opposizione di centro-sinistra, Daniele Bianucci, aveva presentato una mozione, respinta il 17 ottobre scorso con 17 voti contrari a 12, che chiedeva l’ovvio, cioè un omaggio a un padre della patria sulla cui onestà (intellettuale e materiale) neanche i suoi avversari politici di un tempo manifestarono dubbi.

E allora, perché questa decisione? Che cosa dimostra questa scelta difesa dal sindaco Mario Pardini, con argomenti curiosi, e caldeggiata con particolare enfasi dal consigliere Fabio Barsanti, proveniente da Casapound, che ancora nel 2023 si dichiara apertamente fascista? Senza entrare nel merito delle grottesche e per vari aspetti sguaiate dichiarazioni degli amministratori di Lucca, tutt’altro che moderati, viene da chiedersi cosa essi sappiano della storia del nostro paese e se davvero pensino prima di parlare, ricoprendo funzioni e ruoli così importanti per la collettività che necessiterebbero pacatezza e coscienza civile. Qual è il reale senso dei loro messaggi? Come inquadrare la “narrazione”, a ben vedere non esattamente nuova, proposta dalla destra di lotta e di governo?   

Forse è inutile sforzarsi, si potrebbe semplicemente affermare che, se il fascismo non è al potere in Italia, nella nostra Repubblica democratica, nata dalla Resistenza e dalla guerra condotta dagli Alleati contro il nazifascismo, occupano posizioni di rilievo (non solo a Lucca) figure inquietanti che si possono (e si devono) tranquillamente definire fasciste. Forse, se non lo facessimo, addirittura mancheremmo loro di rispetto e, cosa certamente molto più importante, ci dimenticheremmo che la democrazia e i valori di libertà che ne sono il fondamento mai possono essere dati per scontati. Meglio non distrarsi, a tratti si respira un’aria un po’ pesante. Pertini non c’è più, ma i neofascisti sono orgogliosamente presenti nell’agone politico. L’anti-antifascismo, che cresce grazie all’indifferenza di molti, di troppi, rappresenta un pericolo concreto per la convivenza civile di tutti.

di Andrea Ricciardi

Loading...