La persona che incarna la figura di grande italiano e che andrebbe portato come esempio per i giovani di oggi per il coraggio e la sua determinatezza contro le sopraffazioni, è Ferruccio Parri. Nato a Pinerolo in Piemonte il 19 gennaio 1890 egli appartiene ad una famiglia colta e moderatamente agiata, originaria di Mercatello sul Metauro, un paese nei pressi di Urbino. La madre Maria Marsili, di famiglia nobile, educa i suoi tre figli al senso del dovere e del sacrificio. Il padre Fedele, legato all’epopea del Risorgimento, in gioventù è   segretario del patriota Alberto Mario e ha un carteggio con Aurelio Saffi; pubblica in età avanzata. Il pensiero sociale ed economico di Giuseppe Mazzini.  Il giovane Ferruccio   dopo aver completato gli studi liceali si iscrive nell’autunno del 1908 alla facoltà torinese di lettere e filosofia.   Da studente legge le riviste La Voce di Giuseppe Prezzolini e L’Unità di Gaetano Salvemini. Stringe una duratura amicizia con Roberto Longhi, futuro critico d’arte. Il 13 dicembre del 1913 Ferruccio Parri si laurea col massimo dei voti. Frequenta il corso di allievi ufficiali a Genova dove, nel frattempo, si è trasferita la sua famiglia.  Il sottotenente Parri il 6 maggio 1915 parte per il fronte. Ne tornerà fortemente trasformato.  Ferruccio Parri per meriti di guerra raggiunge i massimi traguardi consentiti ad un ufficiale di complemento. Da sottotenente a capitano. Per i postumi di un congelamento ai piedi in trincea Ferruccio Parri rischia l’amputazione dei piedi. Al concorso per ufficiali di Stato maggiore risulta primo classificato.  Entra nell’Ufficio Operazioni al Comando del colonnello Ugo Cavallero. Nell’agosto del 1918 Parri viene incaricato di preparare una sintesi dei progetti di attacco che tutte le armate hanno formulato. Il suo rapporto si concluderà con la proposta di concentrare le forze sulla direttrice Conegliano-Vittorio Veneto in modo da prendere il nemico alle spalle. Il contributo di Parri è determinante per il successo della battaglia di Vittorio Veneto grazie al suo intuito e abilità di cartografo. Il 17 giugno 1919 il maggiore Parri viene congedato dall’esercito ricevendo tre medaglie d’argento e una Croce di guerra francese, cavaliere dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro. Tra le alte decorazioni manca l’Ordine Militare di Savoia, il riconoscimento supremo. Le ragioni secondo il figlio Giorgio sono da attribuire ad un episodio. Parri dovrebbe comandare un plotone per la fucilazione di un gruppo di soldati disertori ma ordina il dietrofront. Rischia la corte marziale e perde l’onorificenza. Ma dimostra la sua grandezza d’animo. Nel dopoguerra Parri diventa collaboratore dell’Opera Nazionale dei combattenti ma se ne allontana per la presenza dei fascisti nell’associazione. Riprende l’insegnamento alla Scuola Tecnica Maurizio di Roma. Nel Gennaio del 1922 viene assunto al Corriere della Sera come redattore. Si trasferisce a Milano e ottiene il cambiamento di sede scolastica. In via Solferino il suo capo redattore è Alberto Tarchiani. Al mattino Parri insegna alla scuola tecnica Fusi, poi dal 1° ottobre 1923 è professore al ginnasio del Liceo Parini. Nel pomeriggio esercita come giornalista. Si occupa di cronaca interna e scrive servizi di argomento militare. Alla sera la moglie Ester Verrua viene a prenderlo in via Solferino per cenare e tornare alla casa di via Moscova 70. Parri è un appassionato di musica classica e frequenta la Scala. Stringe amicizia con Mario Borsa e Riccardo Bauer. Partecipa alle riunioni con Piero Gobetti in una pasticceria di Via Manzoni vicino al museo Poldi Pezzoli. Il gruppo milanese aderisce a Rivoluzione Liberale la rivista torinese che pubblica dal 12 febbraio 1922. A partire dal ’24 Bauer e Gobetti stanno progettando un’altra rivista allo scopo di diffondere le idee antifasciste a un pubblico più numeroso.  Il nome è   il Caffè sul solco illuminista dei fratelli Verri e di Cesare Beccaria. Al progetto preliminare partecipano  oltre ai suddetti, Giovanni Mira, Tommaso Gallarati Scotti, Filippo Sacchi e altri. Il rapimento e l’omicidio di Stato di Giacomo Matteotti accelera l’uscita del primo numero nel giugno del 1924.  In teoria la rivista non dovrebbe circolare. Tutti i suoi numeri saranno sequestrati dalla polizia eppure la sua diffusione non viene meno grazie alla furbizia dei tipografi e ad una rete clandestina di amici che distribuisce il foglio clandestino facendo impazzire la censura fascista. Parri e Bauer vengono minacciati dal prefetto Vincenzo Pericoli ma non mollano. La forza repressiva poliziesca e l’indifferenza dei giornalisti lombardi portano nel maggio del 1925 alla definitiva soppressione del foglio antifascista. Con l’inizio della dittatura la libertà di stampa è abolita. Negli ultimi mesi del ’25 Alberto e Luigi Albertini sono costretti a vendere ai fratelli Crespi le loro quote di proprietà e a rinunciare alla direzione del Corriere della Sera. Il 15 novembre di quell’anno Parri si dimette dl giornale di Via Solferino. Lasciano il Corriere anche Luigi Einaudi, Alberto Tarchiani, Guglielmo Emanuel, Carlo Sforza, Augusto Monti, Ernesto Vercesi e Mario Borsa. Ferruccio Parri e Riccardo Bauer si adoperano per   l’espatrio clandestino di Eugenio Chiesa. Parri conosce bene le montagne al confine con la Svizzera e con la sua organizzazione fa scappare anche Claudio Treves, Pietro Nenni e Giuseppe Saragat. Egli organizza poi la fuga di Filippo Turati a Parigi con Sandro Pertini e Carlo Rosselli.  Adriano Olivetti fa da autista. Con una piccola imbarcazione noleggiata da Pertini in Liguria la fuga di Turati avviene via mare fino alla Corsica: una beffa per il regime. Al ritorno Parri, Carlo Rosselli e i suoi compagni vengono arrestati e processati. Durante il corso dell’istruttoria Parri deve scontare cinque anni di confino a Ustica al fine di impedirgli la difesa. Parri e Rosselli concordano due lettere da spedire al giudice istruttore e si adoperano perché la magistratura giudichi secondo equità. Il tribunale di Savona, accogliendo la motivazione dello stato di pericolo di Filippo Turati in Italia, tuttavia condanna gli imputati a 10 mesi di detenzione. Privato della libertà Ferruccio ritrova i compagni Bauer, Carlo e Nello Rosselli. Trasferito a Lipari nel settembre nel 1928 viene raggiunto dalla moglie Ester e dal figlio, il piccolo Giorgio. Tra i confinati c’è anche Emilio Lussu che con Carlo Rosselli e Nitti riuscirà a scappare a Tunisi a bordo di una imbarcazione. Rientrato dal confino con la famiglia a Milano Ferruccio Parri ha perso da anni la cattedra di professore al Liceo Parini ed è un sorvegliato speciale del regime. Tuttavia grazie al professore Giorgio Mortara entra alla Montedison nel 1933 inizialmente come collaboratore esterno e poi è assunto nel 1934 come impiegato all’Ufficio Studi della società di Foro Bonaparte. Con la moglie va ad abitare in via Buonarroti 40. Alla Edison Parri si occupa di studi di economia mondiale. Un laboratorio di alto profilo come l’Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana del banchiere umanista Raffaele Mattioli, condotto da Antonello Gerbi e poi da Ugo La Malfa. Nel 1937 viene promosso dirigente della sezione economica. Nel 1941 caldeggia con Ugo La Malfa e Adolfo Tino la fondazione del Partito d’Azione, come quello di Mazzini e di Garibaldi. In clandestinità nasce nel giugno del 1942 dopo il partito antifascista con Antonio Zanotti, Giuliano Pischel, Riccardo Lombardi, Mario Vinciguerra, Mario Andreis e altri. Parri è assente giustificato, lo hanno arrestato. Nel novembre del 1942 il tribunale speciale incrimina oltre a lui, Guido Bersellini, Luigi Santucci, Luciano Bolis, Gilberto Rossa e Pierluigi Tumiati. Il tribunale speciale assolve Parri, che ha scontato sei mesi di carcere preventivo, e condanna gli altri con pene da uno a sei anni di carcere. L’attività clandestina prosegue alla Edison nonostante l’invasione tedesca dopo l’8 settembre del 1943. Parri passa alla clandestinità ed è subito il comandante segreto della Resistenza, punto di riferimento di tutti i gruppi resistenti a partire dalla battaglia di  Monte San Martino guidata dal tenente colonnello Carlo Croce. Ecco una testimonianza  di quei giorni del suo vice Giulio Alonzi: “Non c’è che da battersi, costi quello che costi”. La Resistenza si estende  nella zona occupata dai nazisti la cosiddetta repubblica di Salò. Parri col nome di battaglia Maurizio diventa capo del Comitato di Liberazione dell’Alta Italia e favorisce le formazioni antifasciste di tutti i colori dai monarchici ai comunisti e cerca di integrare i militari che non si arrendono al fascismo. Solo con l’unità si vince. Parri tesse i rapporti con i vertici delle Forze armate alleate e si reca clandestinamente in Svizzera per incontrare i capi militari anglo-americani. Leo Valiani è testimone dell’incontro a Certenago sopra Lugano con John McCaffery e Allen Dulles. E’ la sera del 3 novembre del ‘43. “Lo ammirai quando disse agli anglo-americani che avremmo fatto tutto il fattibile, ma puntavamo su una guerra del popolo italiano condotta da un esercito del popolo: quello partigiano. Chiesi a Parri da dove avesse preso l’idea della guerra di popolo. Mi rispose: da Mazzini”. Parri con Alfredo Pizzoni, Edgardo Sogno e Giancarlo Pajetta, in un incontro segreto successivo in una località liberata, ottiene dagli Alleati  il riconoscimento al CLN Alta Italia del comando supremo e i soldi   destinati alla sussistenza logistica dei   partigiani. Alla fine del 1944 Ferruccio Parri viene arrestato dalle SS a Milano con la moglie in un appartamento di via Vincenzo Monti.   Picchiato dagli aguzzini non rivela la sua identità. Condotto all’Albergo Regina sede delle SS dopo aver saputo che la moglie è stata rilasciata e che il figlio Giorgio è in salvo, svela la sua identità di capo della Resistenza fingendo di collaborare. Alfredo Pizzoni informa i comandi alleati dell’arresto di Parri. Edgardo Sogno con un gruppo di partigiani tenta di liberarlo ma viene arrestato e torturato. Parri viene trasferito a Verona. I tedeschi stanno già trattando la resa con gli anglo-americani e Parri diventa un ostaggio prezioso. Il 7 marzo 1945 Parri è libero. Rientra dalla Svizzera alla vigilia della Liberazione tra i suoi partigiani per celebrare la Vittoria. Caduto il governo Bonomi il 14 giugno del 1945 Ferruccio Parri diventa il primo presidente del Consiglio della Liberazione. “Governo che nasce dal popolo e deve governare per la nuova Costituzione” – sottolinea in un radio messaggio il nuovo presidente del Consiglio. Tra i primi provvedimenti c’è l’abolizione del titolo di eccellenza conferito al primo ministro. Il governo dura sei mesi ma rappresenta l’emblema della virtù, della modestia e dell’onestà lasciando al mondo intero l’esempio di rettitudine di cui fece tesoro il   suo  successore  Alcide De Gasperi con il suo discorso a Parigi durante la Conferenza di pace. Il governo Parri cade  soprattutto    per le contrapposizioni tra i tre partiti maggiori.  Dopo avere partecipato alla Costituente nel 1946  Parri fonda con altri compagni di lotta soprattutto del Partito d’Azione e Repubblicano (Ugo La Malfa, Riccardo Bauer, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi e  Leo Valiani), l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (oggi Istituto Parri)  e la Fiap Federazione italiana delle associazioni partigiane (dai liberali agli anarchici)   dopo il doloroso strappo (nel 1946) con l’Anpi nel clima del Fronte Popolare e della Guerra Fredda.  Non trascura la battaglia politica democratica e l’anelito   della realizzazione e i principi fondamentali della Costituzione repubblicana. Nel 1953 si batte con   Piero Calamandrei contro la Legge truffa. Nel 1963 è nominato senatore a vita dal presidente della   Repubblica Antonio Segni.  Nel 1969 Parri fonda con Leo Valiani e altri amici Lettere ai Compagni, organo della Fiap. Da senatore a vita, nel 1967 lancia un appello per l’Unità delle Sinistre e aderisce al gruppo della Sinistra Indipendente di cui  diventa capogruppo in Senato. Parri Non si è limitato solamente a coltivare la memoria resistenziale, ma è stato sulla breccia fino all’ultimo da quel combattente che era con una longevità politica maggiore di quella di altri esponenti di quel periodo.  Uomo schivo   non ama apparire ma non si tira mai indietro per affermare i valori della democrazia, della giustizia e della libertà. Sui libri di storia bisognerebbe ricordarlo sempre come il maggiore esponente partigiano sulle orme del Risorgimento. Negli ultimi anni   egli partecipa alla battaglia delle idee per coltivare la memoria resistenziale  e affermare  una democrazia più avanzata nel contesto della rinata Europa. Muore   a Roma l’8 dicembre 1981 e viene sepolto nella tomba di famiglia (appartenente al padre Fedele)  al Cimitero  Monumentale di Staglieno a Genova. La sua tomba è a pochi passi da quella di Giuseppe Mazzini.

di Filippo Senatore

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