Rivolta di Milano del 1853
Rivolta di Milano del 6 Febbraio 1853
Successivamente agli eventi delle “Cinque giornate” del 1848, quando una insurrezione popolare aveva temporaneamente liberato Milano dall’occupazione austriaca prima di essere repressa dal generale Radetzky dopo soli 5 mesi, Mazzini aveva continuato a incitare alla rivolta nonostante si trovasse in esilio a Londra. Nel Regno Lombardo-Veneto la propaganda mazziniana trovava molto seguito e all’inizio degli anni 50 dell’800 si era già formata una nuova rete cospirativa con l’obiettivo di far scoppiare un’insurrezione anti-austriaca. Il 6 Febbraio, un gruppo composto da un migliaio di uomini, in maggioranza operai e artigiani, assaltarono le caserme austriache sperando di incassare l’appoggio e il supporto della popolazione milanese. A differenza però delle “Cinque giornate” la rivolta fallì; gli insorti non erano ben armati, non disponevano di armi da fuoco, non erano ben organizzati e soprattutto non vennero appoggiati dalla popolazione, nello specifico la classe borghese non partecipò, a differenza della rivolta del 1848. Un altro importante fattore che contribuì al fallimento fu la divisione interna e la non partecipazione dei mazziniani milanesi contrari alle motivazioni politiche socialiste della classe operaia che intraprese invece l’insurrezione. La polizia austriaca represse la rivoluzione arrestando centinaia di partecipanti di cui 16 vennero poi condannati a morte nei giorni seguenti. Conseguentemente all’esito fallimentare della rivolta, le idee rivoluzionarie di Mazzini vennero criticate: la critica più illustre fu proprio mossa da Karl Marx l’8 Marzo sul New York Daily Tribune. Il filosofo tedesco rimproverò a Mazzini l’eccessiva confidenza nelle rivoluzioni spontanee, ritenute poco efficaci in quanto prive di organizzazione rendendo vano l’eroismo dei partecipanti milanesi.
Bibliografia di riferimento
di Andrea Calzetta