9 settembre 1943: all’alba il Re, a bordo di una Fiat 2800 con stemma reale, lascia la capitale

All’alba il Re, a bordo di una Fiat 2800 con stemma reale, lascia la capitale. Con lui e la sua famiglia il capo del Governo, alcuni ministri e il capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Roatta.

Nelle prime ore del mattino un dispaccio radio dello Stato Maggiore generale ordina di “reagire immediatamente ed energicamente et senza speciali ordini at ogni violenza armata germanica”. Ma anche che non si doveva prendere l’iniziativa di atti ostili contro i germanici. Ordina inoltre che le truppe nella capitale siano fatte ripiegare a Tivoli. I comandanti della “Piave” e della “Ariete” si rifiutano di dare corso all’ordine.

Nel pomeriggio, il Maresciallo Caviglia, ricevendo una delegazione di antifascisti a Palazzo dei Marescialli, fa loro sapere che non era necessario chiamare i cittadini romani alla lotta, in quanto i tedeschi si sarebbero ritirati al nord. Roma non avrebbe quindi corso alcun pericolo!

Nei combattimenti al Ponte della Magliana cade alla testa dei Carabinieri della IVa Compagnia Orlando De Tommaso.[1] Cadono anche il carabiniere Antonio Colagrossi (Medaglia d’Argento al Valor Militare) e l’allievo carabiniere Alfeo Beresini. Al Laurentino prendono parte ai combattimenti anche civili, guidati dal parroco don Pietro Occelli. A Porta san Paolo cade il capitano di fanteria Vincenzo Pandolfo.[2] All’alba i tedeschi attaccano di sorpresa Velletri, Genzano, Ariccia, Albano. I combattimenti contro i soldati italiani non durano a lungo anche perché gli italiani sono privi di qualsiasi direttiva e organizzazione. Costretti ad arrendersi dopo aver comunque inflitto perdite ai tedeschi. Ad Albano, contro i militari della Divisione “Piacenza”, i fascisti si schierano con i paracadutisti tedeschi, guidati dall’ex segretario politico del fascio, Leonardo Bellagamba.

Tra Anzio e Nettuno gruppi di civili e di militari sbandati si oppongono ai tedeschi in combattimenti che dureranno fino al 12 settembre. Sono sostenuti ed incitati dagli antifascisti Carlo Casaldi, Pietro Comastri e Marvito Vecchiarelli.

A Frascati Kesselring, vista la tenace resistenza opposta ai tedeschi, teme una sconfitta e la cattura dell’intero suo comando.[3]

Combattimenti si hanno  anche a Monterotondo, dove un reparto di paracadutisti tedeschi, 800 uomini,  attacca reparti delle divisioni “Piave” e “Re”, nonché centinaia di civili armati. Il III° Reggimento Granatieri e la popolazione insorta bloccano i nazisti che solo dopo alcuni giorni riusciranno a raggiungere Roma. Dopo aver subito pesanti perdite i tedeschi sono fatti prigionieri. Viene ferito più volte Vittorio Premoli[4] durante i combattimenti.

A Bracciano, nella zona di Monterosi, la divisione Ariete combatte contro la Terza Divisione Panzergranadieren che viene fatta ripiegare con pesanti perdite. Muore eroicamente in combattimento Udino Bombieri.[5]

Si combatte contro i tedeschi anche a Tivoli, a Manziana, Ardea e a Velletri.  Nel pomeriggio proiettili di cannone cadono in città, in piazza Cola di Rienzo, in via Cavour e intorno alla stazione Termini. Combattimenti in città anche alla Garbatella.

Di prima mattina, ignari della fuga del Re, Bruno Buozzi[6][7], Giovanni Roveda, Oreste Lizzardi cercano invano di poter incontrare il Capo del Governo, Pietro Badoglio. Solo Meuccio Ruini[8] e Ivanoe Bonomi erano stati informati dalla Presidenza del Consiglio della urgente partenza del Re. La loro richiesta di armare la popolazione viene respinta dal ministro dell’Interno Ricci, perché è meglio non irritare i tedeschi. In Piazza Colonna, intanto, Giorgio Amendola tiene un comizio volante parlando ai cittadini che si sono spontaneamente radunati, incitandoli a farsi dare dalle caserme le armi per difendere la città dai tedeschi e dai fascisti.

Nel pomeriggio, alle 14.30, in via Carlo Poma[9] si riunisce il Comitato delle opposizioni, cui partecipano, tra gli altri,  Pietro Nenni per il PSIUP,[10] Giorgio Amendola per il PCI, Ugo La Malfa per il Partito d’Azione[11], Alcide De Gasperi per la Democrazia Cristiana, Meuccio Ruini per Democrazia del Lavoro e Alessandro

Casati per i liberali.

Viene costituito il Comitato di Liberazione nazionale (CLN) il cui primo compito consiste nel chiamare gli italiani alla lotta ed alla resistenza. Per il riscatto dell’onore nazionale, per la libertà e per la pace. Non aderisce al CLN il Partito Repubblicano Italiano che non accetta la rinuncia del CLN a porre la questione istituzionale. Non aderisce anche Bandiera Rossa.[12]

Il CLN è composto da: Mauro Scoccimarro, Giorgio Amendola e Giovanni Roveda per il PCI; Alcide De Gasperi, Giovanni Gronchi e Giuseppe Spataro per la Democrazia Cristiana; Pietro Nenni, Giuseppe Romita e Sandro Pertini per il Partito Socialista di Unità Proletaria; Riccardo Bauer, Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea per il Partito d’Azione; Manlio Brosio, Alessandro Casati e Leone Cattani per il Partito Liberale; Meuccio Ruini e Giovanni Persico per il Partito Democratico del Lavoro.[13] Nenni fa sapere a Milano dell’avvenuta costituzione del CLN. Il giorno dopo, a nome del CLN offre il comando delle formazioni a Ferruccio Parri, che per il momento rifiuta.

Si formerà in seguito il Fronte Clandestino Militare della Resistenza.(FCMR).[14]

La sera, un soldato tedesco uccide con un colpo di fucile Domenica Cecchinelli[15], di 64 anni, che  cercava di soccorrere Edgardo Zambon,  un carrista della Ariete, presso la Montagnola. Al Laurentino vengono trucidate barbaramente diverse donne[16]. Due anziani coniugi sono colpiti a morte mentre cercano di soccorrere alcuni soldati italiani feriti.[17]

In piazza Tuscolo una squadra Matteotti, comandata dal tenente colonnello Enrico Di Pietro, attacca i tedeschi mettendo in fuga una pattuglia nazista e uccidendone il comandante.  Soldati e tranvieri dell’Atag si scontrano con i tedeschi presso S. Croce in Gerusalemme.

Ancora la squadra del tenente colonnello Di Pietro, mentre trasporta armi, si scontra con militari tedeschi mettendoli in fuga.

Sulla via Salaria, all’altezza dell’Osteria del Grillo, militari della divisione “Re” e popolani hanno la meglio sui tedeschi.

A Porta Portese, squadre Matteotti impediscono lo smantellamento dell’ospizio Umberto I, scontrandosi con i soldati tedeschi.  7 le vittime tedesche e, tra i partigiani, feriti Luigi Ceci e Vladimiro Ciccolunghi.

A Borgata Gordiani i tedeschi vengono attaccati dalla squadra Matteotti al comando di Nicola Conte, che viene catturato e poi liberato grazie ad una donna sconosciuta. Squadre Matteotti combattono alle Capannelle, Alberone, via Appia Nuova e a San Giovanni.

Le squadre di Gioacchino Basilotta e Giovanni Bellelli combattono contro i militari tedeschi rientrando in possesso della bandiera del II° Reggimento dei Granatieri di Sardegna.

A Prato Smeraldo, sulla Ardeatina, Nunzio Incannamorte[18] tiene bloccati per tutta la giornata, con una batteria semovente, i tedeschi che cercavano di impossessarsi della stazione radio. Cade colpito alla fronte da una raffica di mitragliatrice.

Delle Forze armate italiane, solo i soldati della divisione “Centauro II” ex divisione di Camicie Nere “M” non partecipano in alcun modo ai combattimenti contro i tedeschi. Il loro comandante aveva dichiarato che la sua divisione era: “impiegabile contro i comunisti e gli inglesi[…] contro i tedeschi mai”.[19]

Aldo Pavia

(nella foto Re Vittorio Emanuele III nella sua Fiat 2800)

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[1] Orlando De Tommaso (1897-1943). Capitano dei Carabinieri. Medaglia d’Oro al Valor Militare.

[2] Medaglia d’Oro al Valor Militare.

[3] Eugen Dolmann, nelle sue memorie.

[4] Vittorio Premoli, nato nel 1917.  All’annuncio dell’armistizio si trovava nella zona di Ponte Grillo (Monterotondo). Durante l’attacco dei tedeschi viene ferito 4 volte ma continua a combattere. Deceduto a Priverno (Latina) dopo la guerra. Medaglia d’Oro al Valor Militare.

[5] Udino Bombieri. Capo carro e vicecomandante di plotone semoventi del 10° Reggimento Lancieri “Vittorio Emanuele II”. Medaglia d’Oro al Valor Militare.

[6] Bruno Buozzi (1881-1944). Iniziò a lavorare come operaio alla Marelli di Milano. Nel Partito Socialista Italiano dal 1905.

[7] . Nel 1911 Segretario  generale della FIOM, il sindacato degli operai metalmeccanici. Deputato socialista dal 1919, dichiarato decaduto dal fascismo nel 1926. Nel 1927, a Parigi, fonda la Confederazione Generale del Lavoro in Francia. Durante la guerra di Spagna assume l’incarico di organizzare gli aiuti per la Repubblica. Nel 1941, rientrato in Francia, viene arrestato dai nazisti e imprigionato a Tours. Trasferito in Italia, inviato al confino a Montefalco (Perugia). Dopo il 25 luglio 1943 diventa Commissario della Confederazione sindacati d’industria e poi segretario della Confederazione Generale del Lavoro.

[8] Bartolomeo (Meuccio) Ruini (1877-1970). Dapprima socialista, eletto nel 1913 deputato nella lista radicale. Ministro delle Colonie nel governo Nitti. Nel 1924 aderisce all’Unione Nazionale di Giovanni Amendola. Con l’avvento del fascismo costretto ad abbandonare tutte le attività. Nel 1942, con Ivanoe Bonomi, fondatore della Democrazia del Lavoro. Ministro nel governo Bonomi nel 1944. Deputato all’Assemblea Costituente nel 1946. Presidente della Commissione dei 75, incaricata della stesura del testo della Costituzione. Presidente del Senato nel 1953. Nominato Senatore a vita nel 1963.

[9] La riunione si tenne nella casa del banchiere Stefano Siglienti.

[10] Partito Socialista di Unità Proletaria, poi , dal 1947, Partito Socialista Italiano.

[11] Fondato nel 1942.

[12] Bandiera Rossa, nota anche come Movimento Comunista d’Italia, formazione di tendenza comunista trozkista, nata dalla fusione dei gruppi “Scintilla” e “Matteotti”. Tra i suoi fondatori l’ex anarchico Raffaele De Luca, il giornalista Felice Chilanti, Vincenzo Guarniera, Orfeo Mucci, Aladino Govoni, Agostino (Augusto) Raponi, Roberto Guzzo, il tenore Nicola Stame.Non aderisce al CLN perché contraria alla “Svolta di Salerno” voluta da Palmiro Togliatti. Vi confluiranno anche cattolici comunisti e cristiano sociali, anarchici, repubblicani non azionisti e apolitici. Attiva particolarmente nelle periferie proletarie romane, certamente la formazione più numerosa della Resistenza romana.  Aveva anche diramazioni a Genazzano, a Monte Circeo, Latina, Tarquinia, Tuscania, Viterbo, Leonessa e in altre località della provincia di Roma e del Lazio. 1.185 i suoi componenti, uomini e donne,  riconosciuti partigiani combattenti, 187 caduti, almeno 53 tra gli assassinati alle Ardeatine.137 arrestati e deportati. 685 gli ausiliari ufficialmente riconosciuti. Dopo la guerra Bandiera Rossa si scioglie.

[13] Alla riunione non parteciparono Sandro Pertini e Manlio Brosio, sostituiti rispettivamente da Mario Zagari e da Antonio Calvi.

[14] Alla liberazione di Roma, il FCMR conterà 250 caduti, di cui almeno 50 fucilati a Forte Bravetta e a La Storta. 27 le Medaglie d’Oro al Valor Militare, 22 quelle d’Argento, 54 di Bronzo e 158 le Croci di Guerra. Mario Avagliano, Il partigiano Montezemolo. Storia del capo della resistenza militare nell’Italia occupata . Dalai editore 2012.

[15] Domenica Cecchinelli, madre di 5 figli,  abitava in via Praglia, ora non più esistente.

[16] Nei combattimenti alla Montagnola muoiono anche Maria Dieli e Pasqua D’Angelo,. Oggi ricordate nel memoriale di Piazza dei Caduti della Montagnola.

[17] Nei combattimenti si ebbero oltre settecento morti. Più di 400 militari, 200 civili, 17 donne. Rosario Bentivegna, Senza fare di necessità virtù. Memorie di un antifascista. Einaudi 2011. In altre fonti si trovano riferimenti a 1.167 caduti militari e 120 civili, ma senza una precisa indicazione del numero di giorni presi in considerazione. Secondo il computo ufficiale, citato in Dizionario della Resistenza. Storia e geografia della Liberazione. Einaudi 2000, pagina 414, i caduti civili furono 241. In una cronologia della Resistenza romana, l’ANPI indica 703 uccisi, 1800 i feriti. I caduti civili 70 uomini e 51 donne. Di 114 caduti non si sa se erano militari o civili. 88 persone non sono state identificate. I tedeschi avrebbero avuto 109 morti e 500 feriti. www.storiaxxisecolo.it.

[18] Nunzio Incannamorte (1913-1943). Capitano di Artiglieria, in forza al 235° Reggimento della Divisione Ariete. Medaglia d’Oro al Valor Militare.

[19] La “Centauro II” era stata addestrata dai tedeschi.

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