10 settembre 1943: Il quotidiano “Il Lavoro italiano” annuncia la costituzione del CLN e l’appello agli italiani
Prima della fuga, il generale Roatta, Capo di Stato Maggiore, emana un ordine, dimenticandosi di firmarlo, con cui la difesa di Roma doveva cessare per evitare danni.
Ma i combattimenti continuano, in una ridda di ordini e contrordini. Ancora una volta i tedeschi tentano, e ancora con l’inganno di entrare in Roma. Chiedono di poter transitare sul Ponte della Magliana per proseguire verso il Nord. Stabilendo una tregua. Ma non appena i loro primi mezzi passano il ponte aprono di nuovo il fuoco sulle postazioni italiane. Reagiscono con determinazione i Lancieri di Cavalleria “Montebello” e rimane ucciso Romolo Fugazza[1]. A Porta San Paolo cade il capitano del “Genova Cavalleria”, Francesco Vennetti Donini[2], accorso in aiuto dei Lancieri, che perderanno il comandante Camillo Sabatini.[3]
Intanto la popolazione cerca armi. A Testaccio i cittadini fanno ressa intorno ad alcuni automezzi militari. Cencio Baldazzi[4] ed altri antifascisti distribuiscono armi a San Giovanni ed al Colosseo. Nelle vie della città si vedono uomini con a tracolla nastri di mitragliatrici e moschetti. Con loro anche ragazzi armati di bombe a mano. Lungo la via Ostiense, nelle strade intorno ai Mercati Generali, alla Piramide di Caio Cestio, a Porta San Giovanni, lungo la Laurentina[5], sull’Ardeatina, dove cade Vincenzo Fioritto[6], molti cittadini si uniscono ai combattenti, soccorrendo anche i feriti. Alla Montagnola viene costituita una nuova linea di sbarramento comandata dal colonnello Di Pierro, del Primo Reggimento dei Granatieri. I tedeschi chiedono una tregua ai combattimenti, ma calpestando gli accordi attaccano con due autoblindo e alcuni carri armati. Uccidendo alcuni Granatieri[7] e anche alcuni civili che prendono parte ai combattimenti, guidati dal parroco don Pietro Occelli. Cade anche il sottotenente di fanteria Luigi Perna[8]. Da 30 ore i militari italiani stanno combattendo, senza rifornimenti alimentari, fiaccati dal sole, demoralizzati dalla notizia della fuga del Re. Ma resistono nonostante l’affiorare di una profonda sfiducia.[9]
I tramvieri romani bloccani gli ingressi alle Mura a Santa Maria Maggiore e a via Nazionale.
Nel pomeriggio gli ultimi nuclei di resistenza si battono ancora a Testaccio, a Porta San Paolo. Ma anche a San Giovanni, davanti alla Ambasciata tedesca, in piazza dei Cinquecento dove si sono rifugiati centinaia di tedeschi, in buona compagnia di spie e collaboratori. Scontri a fuoco anche a San Saba, alla Passeggiata Archeologica, a via Sannio, a via La Spezia, a largo Brindisi, a Santa Croce in Gerusalemme, in via Cavour, in via Nazionale, in via Gioberti, a Santa Maria Maggiore. In via Induno i trasteverini combattono duramente contro i fascisti del Battaglione “M”. Cade, tra gli italiani e tra i tanti, il giovane intellettuale del Partito d’Azione, Raffaele Persichetti.[10]
Nel pomeriggio, alle 16,30 a Frascati, il generale Giaccone e il generale Siegfried Wesphal[11] firmano l’atto di resa della città[12]. Roma viene riconosciuta dai tedeschi – e sarà un ulteriore inganno da parte tedesca – “città aperta”[13] ma le armi devono essere consegnate all’occupante. Secondo gli accordi i tedeschi avrebbero avuto in città solamente alcuni reparti a presidio della loro Ambasciata, della Radio e della Centrale telefonica. Il generale Calvi di Bergolo, nominato dai tedeschi Governatore di Roma, assume il comando amministrativo e di polizia, avendo la suo comando la divisione “Piave”.
L’ultima battaglia avviene alla stazione Termini e dura 4 ore, dalle 16 alle 20. Ferrovieri, e tra loro il capostazione Italo Campani, chiedono di poter avere armi per combattere. Il maggiore Carlo Benedetti, con 13 militari d’artiglieria e parecchi civili difende il treno di un comando operativo. Nei combattimenti viene ferito Giuseppe Felici[14], allievo ufficiale pilota.
Muoiono 6 militari e 41 civili, dei quali 8 resteranno sconosciuti.
Alle 21 tutto è finito.
Alle 20,30 Radio Berlino aveva annunciato che Roma era stata conquistata, senza aver incontrato una particolare resistenza. E che “le forze armate italiane non esistono più”. Ma nei Balcani e nelle isole greche i soldati italiani si battono ancora contro i tedeschi.
Sono molti i civili che hanno combattuto con i militari italiani e li hanno sostenuti in questi tre giorni d’inferno.
Per tutti ne ricordiamo alcuni: Antonio Calvani, Angelo Caratelli, Francesco Carnevali, Maria Barile in Dieli, Carmine Dieli, Pasqua D’Angelo Ercolani e il cognato Quirino Roscioni[15], Giacomo Fini, Loreto Gianmarini[16], tutti uccisi nei combattimenti. E la suora Caterina D’Angelo[17].
Mentre si combatte e Roma ancora non è caduta, i nazisti già effettuano arresti e rastrellamenti per avere uomini da inviare al lavoro coatto nel Reich. Tra i primi arrestati Vincenzo Di Sante, di cui non si avranno più notizie.
Nella notte i soldati tedeschi si danno subito a rubare quanto di prezioso trovano nelle case in cui fanno irruzione.
Il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo[18], che ha trattato con un gruppo di alti ufficiali la resa con il generale Kesselring, assume la direzione dell’Ufficio Affari Civili del comando di Roma “Città aperta”.
Il quotidiano “Il Lavoro italiano” annuncia la costituzione del CLN e l’appello agli italiani. Sarà l’unico numero pubblicato di questo giornale.
A Nola, militari e civili si scontrano con i tedeschi che il giorno successivo passano per le armi 10 ufficiali del 48° artiglieria. Giuseppe Napolitano, un contadino, viene ucciso a pugnalate e il suo corpo rimane esposto per tre giorni.
Hitler suddivide l’Italia in “territorio occupato” e in “zone operative”. Queste ultime sono l’ “Alpenvorland” (le province di Trento, Bolzano e Belluno), e l’ “Adriatisches Kustenland” (Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Lubiana e Fiume), dipendenti rispettivamente dai commissari del Tirolo e della Carinzia.
Aldo Pavia
(nella foto bandiera del CLN)
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[1] Romolo Fugazza (1913-1943), capitano del Reggimento. Medaglia d’Oro al Valor Militare.
[2] Medaglia d’Oro al Valor Militare.
[3] Camillo Sabatini (1914-1943). Comandante del 5° Squadrone semoventi, di stanza a Roma. Medaglia d’Oro al Valor Militare.
[4] Vincenzo Baldazzi (1888-1982). Nato a Genzano, esercente. Volontario “interventista di sinistra” nella Prima guerra mondiale. Nel 1921 tra i fondatori degli Arditi del Popolo. Processato in contumacia nel 1924 per “costituzione di bande armate”, nel 1926 confinato a Lampedusa. Nel 1928 condannato dal Tribunale speciale a 5 anni di reclusione. Fino al 25 aprile 1943, passa i suoi giorni al confino, tra Ventotene, Ponza, Tremiti e San Domino. Organizzatore della Resistenza a Roma, con il nome di “Cencio”, assumendo il comando delle formazioni Giustizia e Libertà. Dopo la guerra aderisce al PSI.
[5] Viene ferita gravemente Rosa Tozzi in Forte che morirà il 17 settembre all’ospedale Littorio.
[6] Vincenzo Fioritto (1921-1943), studente universitario, sottotenente del IV° Reggimento carristi. Medaglia d’Oro al Valor Militare.
[7] Cadono, oltre a Luigi Perna, i granatieri Vincenzo Pandolfo (Medaglia d’Oro al Valor Militare), Pietro Frontini, Aldo Biondi, Giorgio Brocchini, Edoardo Calicchio, Elio Canepa, Giovanni Fiori, Angelo Franzoni, Guido Lazzarin, Ignazio Locci, Giulio Manetto, Imolo Meran, Severino Pavesi, Francesco Poggi, Giovanni Sartori, Agostino Scali, Luigi Ventura. Cadono anche altri 6 granatieri di cui non si conosce il nome. Vengono uccisi i soldati Andrea Mercanti, Michele Assante, Giuseppe Bonifazio, Andrea Valli, il bersagliere Nicola Lotito, i carabinieri Luigi Ceccarelli, Mario Ciccone, Giuseppe Crocco.
[8] Luigi Perna (1921-1943). Studente di Giurisprudenza. Sottotenente di Fanteria, comandante del plotone esploratori del 1° Reggimento Granatieri di Sardegna. Medaglia d’Oro al Valor Militare.
[9] Nella battaglia della Montagnola e lungo la Laurentina caddero 48 militari e 11 civili.
[10] Raffaele Persichetti (1915-1943). Tenente dei Granatieri, invalido, in congedo. Professore di storia dell’arte al liceo Visconti. Combatte in abiti civili e spara con un fucile preso ad un granatiere caduto. Medaglia d’Oro al Valor Militare.
[11] Generale, primo comandante militare della piazza di Roma. Nel dicembre 1943 sostituito dal generale Kurt Maeltzer. Morto in battaglia in Romania.
[12] Kesselring aveva fissato alle ore 16,00 il termine entro cui doveva essere firmata la resa. Se così non fosse stato i tedeschi avrebbero fatto saltare gli acquedotti e le condutture del gas nella capitale. Visto il ritardo da parte italiana, era già stato ordinato ad una squadra aerea tedesca di bombardare Roma
[13] Il 15 agosto 1943, Badoglio aveva dichiarato, unilateralmente, Roma “Città aperta”,senza alcun assenso da parte degli angloamericani e del comando germanico. Veniva quindi dato ordine alle contraeree della zona di Roma di non ostacolare il passaggio di aerei nemici sulla città; di traferire le sedi dei comandi italiani e tedeschi e delle loro truppe; di trasferire le industrie belliche e di non utilizzare il nodo ferroviario a scopi militari.
[14] Giuseppe Felici (1923-1944). Studente di ingegneria, allievo ufficiale pilota nell’Aeronautica. Si unisce, dopo il 10 settembre 1943, ai primi nuclei partigiani della periferia romana e del Lazio. Fucilato dai tedeschi, il 9 aprile 1944, durante un rastrellamento in Sabina. Medaglia d’Oro al Valor Militare.
[15] Quirino Roscioni, fornaio alla Montagnola, tutte le mattine forniva di pane i Granatieri. Arrestato con la cognata, vengono uccisi a tradimento con una sventagliata di mitra da un tedesco.
[16] Guardiano dei Cantieri Federici.
[17] Caterina D’Angelo, ovvero Suor Teresina dell’Istituto S.Anna, che si prodig come infermiera per tutto il tempo della battaglia, tra morti e feriti. Si oppose anche a un tedesco che voleva strappare la catenina d’oro ad un soldato italiano caduto. Morta di consunzione l’8 giugno 1944.
[18] Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (1901-1944). Colonnello del Genio. Laureato nel 1938 in Geologia. Nel 1935 addetto allo Stato Maggiore e nel 1940 chiamato al Comando Supremo. Dal 1°maggio 1943 colonnello, il più giovane dell’esercito italiano. Nel giugno 1943 comandante dell’11° Reparto Genio motorizzato. Il 27 luglio dirige la segreteria del Maresciallo Badoglio. Dopo essere sfuggito all’arresto da parte dei tedeschi il 23 settembre, entra nella clandestinità, sotto il nome di Giacomo Cateratto, poi di prof. Giuseppe Martini, e organizza l’attività clandestina di un gruppo di ufficiali per la maggior parte monarchici, tenendo contatti sia con Badoglio che con il CLN. I tedeschi mettono su di lui una taglia di 2 milioni di lire. Arrestato il 25 gennaio 1944. Viene imprigionato a via Tasso e torturato. Tra i suoi torturatori Karl Schutz, un capitano delle SS, che aveva conosciuto il 19 gennaio 1941, durante l’incontro di Mussolini con Hitler a Berchtesgaden. Assassinato alle Ardeatine, il 24 marzo 1944. Medaglia d’Oro al Valor Militare.