Nel celebrare l’ottantesimo anniversario della Liberazione, ci pare opportuno recuperare le ragioni per le quali, vent’anni dopo la sua nascita, nel 1969 la FIAP si dotò di un proprio organo con cadenza mensile, «Lettera ai compagni». In questo mese di aprile, così denso di significati, vale dunque la pena di concentrarsi sull’articolo, intitolato I motivi di un impegno, con il quale Ferruccio Parri presentò la rivista nel febbraio del 1969. Dopo aver citato altri “periodici resistenziali” («Resistenza», «Patria indipendente», «Risorgimento» ed «Europa libera»), Parri si soffermò innanzitutto sul confronto intercorso nella FIAP sul significato della Resistenza e sulla «non affiliazione o dipendenza da un partito politico» della stessa federazione, pur sottolineandone la discendenza «da un ceppo ideale comune» e qualificando l’interesse della FIAP per la cosa pubblica come improntato a «un indirizzo soltanto democratico». Nell’articolo Parri chiariva che «Lettera ai compagni» non sarebbe stata un bollettino di reduci, concentrato solo su commemorazioni e celebrazioni intrise di malinconica retorica, ma avrebbe parlato anche del presente con cui, necessariamente, si doveva fare i conti anche per declinare in modo nuovo l’antifascismo, senza risparmiare critiche anche dure a parti della società civile e politica ma, nel contempo, fornendo stimoli costruttivi all’approfondimento delle radici del presente. In quest’ottica Parri sottolineava, da una parte, «la vacuità parolaia di una certa parte della contestazione corrente, la cui immaturità politica si spiega con un eccesso d’ignoranza storica» e, dall’altra, «una certa difficoltà d’intenderci con tanti giovani, seri peraltro, i quali si domandano e ci domandano: perché questa insurrezione solo nel 1943, perché la Resistenza si disunisce dopo il ’45, perché la Resistenza manca ai suoi obiettivi di rinnovamento a fondo del paese e dello Stato». Da qui venivano osservazioni molto attuali sulla centralità della scuola (oggi in profonda crisi) e sulla raccolta negli istituti della documentazione necessaria (le fonti primarie) per indagare la storia contemporanea. L’impazienza dei giovani era giustificata da Parri con osservazioni precise, che spiegavano la grande differenza tra i protagonisti dell’antifascismo storico, che avevano vissuto la crisi del primo dopoguerra, il regime totalitario di Mussolini, la Resistenza, e chi non aveva conosciuto
qual deserto civile avesse fatto in Italia il fascismo, come avesse idiotizzato il paese, come fossero impossibili propositi insurrezionali sin quando non si muovono le masse operaie e dietro di esse compare l’opera dei comunisti, la cui azione antifascista aveva seguito tutt’altra strada da quella degli azionisti, socialisti, repubblicani che confluiranno nella FIAP. Conoscendo questa storia si capisce perché solo con l’armistizio una insurrezione fosse materialmente possibile.
Con una parentesi sulla fase successiva alla Liberazione: «E dopo il 1945 sono le resistenze conservatrici, i ceti dirigenti del fascismo che ritornano gradatamente a galla, costituiscono leve essenziali di potere, e trionfano quando la guerra fredda spacca la Resistenza. L’Italia ex-fascista amministra la rivoluzione antifascista». Una piccola lezione di coscienza che, pur indirizzata ai giovani di allora, vale anche per il nostro presente, cupo, molto difficile da inquadrare utilmente nella sua disordinata complessità. E, infine, una lezione di umiltà e duttilità:
Vorrei dire ai compagni che è nostro dovere tenersi sempre in grado di comprendere, misurare i problemi, le esigenze, le urgenze della società in cui viviamo. Anche ai vecchi, anche a noi, anche alla Resistenza la contestazione, che da un paio di anni ha rimescolato le carte, con tutte le scorie che essa comporta ha dato un insegnamento fondamentale: saper guardare con occhi più liberi, non prevenuti la società in cui dobbiamo operare, le sue costituzioni, le sue strutture, le necessità di rinnovamento.
Sono parole che, ripensando alla sobrietà di Parri e alla sua estrema ritrosia nell’essere un “protagonista della scena”, valgono oggi forse più di ieri. Il senso di smarrimento che pervade la società italiana e internazionale; la forte recrudescenza dei nazionalismi e dei sovranismi basati su slogan magari efficaci per ottenere il voto alle elezioni ma del tutto privi di contenuti; il modo irresponsabile di fare politica usando parole e immagini violente; una nuova forma di post fascismo che, privo di qualsiasi attenzione per la storia e alimentato da sinistri figuri senza scrupoli, avanza in Europa e in altre parti del mondo. Sono tutti elementi di un presente inquietante, in cui si fa molta fatica a cogliere il valore dell’antifascismo come radice della democrazia nata nel secondo dopoguerra e capace di regalare a tutti la libertà. Una libertà che, come le parole di Parri ci ricordano, non si può dare per scontata e che si può difendere solo con la coscienza del passato e la volontà di costruire un futuro di pace e di coesistenza tra i popoli.
di Andrea Ricciardi