Sabino Cassese ha scritto sul Corrierone un editoriale sui partiti che definisce “fragili”. Superficialmente la definizione ci può stare se si pone mente al modello classico di partito della scienza politica, anello di congiunzione tra società civile e istituzioni, strumento di partecipazione, selezione e ricambio delle élites. Tutto ciò non esiste nella realtà da decenni e forse non è mai esistito, ponendo mente alla legge ferrea dell’oligarchia di Roberto Michels, ma quel che più conta, alla costituzione materiale della forma partito, tra porcelli, Rosatelli, premi di maggioranza, taglio del parlamento, abuso della decretazione d’urgenza omnibus, apatia inconsistenza e autoreferenzialità della società civile e del suo associazionismo, spesso finto e arraffone, clientelare e inconcludente.

Il terreno di coltura della iperpersonalizzazione oligarchica della forma partito, che ha dato luogo per un verso al moltiplicarsi degli stessi, ci sono ad esempio 4 o 5 partiti che si definiscono “comunisti” o suoi eredi e anche “non partiti” sostanzialmente unipersonali. Forme reali che hanno soppiantato la forma classica o scolastica e che si sono imposte e sovrapposte alle Istituzioni rappresentative di quella che ci ostiniamo a chiamare democrazia. Dunque forme che esercitano di fatto un potere violento e tutt’altro che debole scegliendo i propri rappresentanti o sodali in un contesto teatrocratico che Guy Debord definì “società dello spettacolo”.

Tutto bene e per alcuni anche divertente forse, se non fosse che, in forza della legislazione elettorale con cui si andrà a votare, è molto difficile ritenere che le due regole fondamentali della democrazia procedurale di cui scriveva Bobbio, la regola della maggioranza e il suffragio universale, siano rispettate. Il che rischia di trascinare il nostro paese tra i regimi non democratici. Aprendo una questione, la modifica del Rosatellum, vitale per la sopravvivenza stessa della democrazia parlamentare rappresentativa.

di Antonio Caputo

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