Chiara Colombini, Carlo Greppi (a cura di), Storia internazionale della Resistenza italiana, Editori Laterza, Bari-Roma 2024
Il libro curato da Chiara Colombini e Carlo Greppi è un nuovo e importante tassello della rinnovata attenzione storiografica sulla Resistenza. L’“evento resistenziale”, rimesso al centro del lavoro di ricerca grazie all’approccio di una più giovane generazione di storiche e storici, si conferma inesauribile terreno di indagine. Avendo fatto tesoro di alcune lezioni fondamentali, raccogliendone l’eredità e i filoni, approfondendo molte delle suggestioni e ipotesi contenute in testi seminali – uno su tutti, naturalmente, é Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza di Claudio Pavone – le storiche e gli storici che hanno collaborato al volume dimostrano come la Resistenza continui a irradiare una potenza euristica formidabile. L’esito non sarebbe tuttavia scontato se non ci fosse, da parte dei ricercatori, un grande rigore scientifico, una conoscenza profonda delle fonti, innumerevoli e complesse, e un altissimo senso del valore civile del lavoro dello storico.
Il testo si compone di otto saggi, preceduti da un’introduzione che fa da cornice e sintesi del lavoro riflettendo sulla necessità di un’indagine sulla fitta presenza di combattenti “non italiani” nella nostra Resistenza, impresa che la rende un’esperienza cosmopolita. Del resto, a fronte di una guerra mondiale, è inevitabile che lo sia anche la Resistenza, in quanto risposta globale e opposizione armata alla «vocazione espansionistica e imperialista del nazifascismo» (p. 8). In questo senso, la partecipazione di combattenti non italiani nelle formazioni partigiane, che nascono a partire dall’autunno del 1943, porta con sé competenze, capacità, tecniche, coscienze politiche sviluppatesi nelle lotte anticoloniali e antifasciste dei primi quarant’anni del Novecento. Vi è chi ha combattuto in Spagna, nelle Brigate Internazionali, partecipando alla prima battaglia armata contro il fascismo (Enrico Acciai). Chi è stato protagonista delle Resistenze anticoloniali in Africa, in Etiopia e in Libia, a sua volta portatore di identità meticce che trovano spazio nella Resistenza italiana, venendo poi dimenticate nel dopoguerra (Valeria Deplano e Matteo Petracci). Chi, infine, è stato resistente antifascista nelle terre jugoslave invase dall’esercito italiano (Eric Gobetti). Ci sono poi gli ex nemici anglo-americani: prigionieri dell’esercito italiano, dopo l’8 settembre scelgono, in alcuni casi, di unirsi alle prime formazioni partigiane. È spesso l’unica possibilità di salvezza vista la difficoltà di ricongiungersi con il proprio esercito attraversando il fronte, cui si somma il rischio di essere catturati dai tedeschi (Isabella Insolvibile). Vi è, sorprendentemente, la presenza di numerosi soldati tedeschi della Wehrmacht: si tratta a volte di disertori, a volte di prigionieri i quali, decidendo di impugnare le armi contri i propri compatrioti compiono una scelta difficile, in grado di condizionare le loro vita anche nel dopoguerra, una volta tornati in Germania (Mirco Carrattieri). Sempre dalla Wehrmacht provengono, inoltre, militi di svariate nazionalità costretti ad arruolarsi nell’esercito nazista dopo l’invasione dei loro paesi: cecoslovacchi, polacchi, sovietici (tra i quali russi, ucraini, armeni, azeirbaigiani), arrivati in Italia con i reparti di appartenenza e decisi a combattere il nazismo anche in nome della liberazione della propria patria (Laura Bordoni). Chiudono il volume due saggi di grande interesse sull’esperienza di alcuni partigiani appartenenti a due popoli tradizionalmente considerati stranieri nei paesi in cui vivono, perseguitati e trattati come “senza patria”. Il primo riguarda le vicende di alcuni combattenti ebrei non italiani nelle valli del cuneense (Liliana Picciotto), il secondo racconta la partecipazione di rom e sinti alla guerra partigiana, rom e sinti che, va ricordato, condividono con gli ebrei il terribile destino dello sterminio (Luca Bravi).
L’insieme dei saggi che formano il libro restituisce quindi un quadro articolato, offrendo una prima sintesi sulla composizione internazionale del partigianato e indicando le direzioni e i temi su cui proseguire per approfondire questo aspetto della Resistenza italiana. E tuttavia, alcune considerazioni degli autori e dei curatori possono già costituire dei punti fermi. Richiamando le definizioni ormai consolidate di Pavone, il quale indica nella Resistenza la presenza contemporanea di una guerra patriottica, di una guerra civile e di una guerra di classe, delinearne la partecipazione transnazionale consente di aggiungere l’ulteriore dimensione di guerra internazionale, «a patto di tenere presente il suo intersecarsi, secondo combinazioni variabili, con gli altri tre piani di analisi». Va aggiunto che, tra i combattenti non italiani, solo in alcuni casi la scelta partigiana è fatta su basi politico-ideologiche, che pure esistono soprattutto tra i sovietici e gli jugoslavi. É dunque «illusorio presupporre un’uniforme inclinazione internazionalista nei combattenti stranieri» Tuttavia «questa spinta esiste nei fatti e, nell’analisi rispetto a quante siano le Resistenze, la presenza di una guerra condotta per un’idea di umanità in cui l’appartenenza nazionale non è rilevante, va ad arricchire di sfumature la tela» (p. 11). L’idea e la realtà di una patria, che pure esistono e sono alla base di motivazioni importanti per chi sceglie di combattere, si pongono dunque «come terreno di incontro e comprensione» tra partigiani stranieri e italiani, al contrario del nazifascismo che postula l’appartenenza nazionale e la supremazia di un popolo come cardini della storia. La scelta partigiana dà vita, invece, a una Resistenza meticcia che sottintende una vasta solidarietà fra popoli liberi, «una lotta condotta da persone con biografie e origini differenti, nel nome di un significato sempre più ampio della parola “liberazione”». Del resto, se il contesto è la guerra mondiale, anche la Resistenza lo è, a prescindere dal luogo fisico in cui ci si trova a dover impugnare le armi. Si tratta di una consapevolezza che emerge, almeno in parte, anche nelle riflessioni dei vertici delle Resistenze europee per i quali è chiaro che, vista «la natura senza confini di questo scontro, è necessaria la più vasta solidarietà fra i popoli liberi» (pp. 29 e 31). Le guerre di Resistenza, dunque, sono tante, plurali e con particolarità specifiche a seconda del tempo e dello spazio in cui hanno operato. Si sono sviluppate ovunque le armate nazifasciste siano arrivate, testimonianza del fatto che, come sottolineano i curatori, il nazifascismo ha saputo «compattare le file di chi gli si è opposto, in ogni luogo e in ogni tempo […] suscitando oggettive convergenze e solidarietà trasversali». Dentro a queste Resistenze plurali, anche quella italiana è stata, come ricordato, meticcia e transnazionale, locale e globale, internazionalista e patriottica. É stata, dunque, una battaglia che «ogni combattente ha vissuto a modo suo», che ha saputo trovare, tuttavia, un punto di convergenza «nell’essenza delle cose, la guerra partigiana […] ha sconfitto armi in pugno un’idea del mondo prevaricatrice ed escludente anche perché hanno combattuto fianco a fianco più generazioni di uomini e donne, di ogni credo politico e religioso e ceto sociale, e di ogni nazione» (p. 33). Insomma, per riprendere la potente immagine dei curatori, si è trattato di una sconfinata Resistenza, alla quale oggi più che mai dobbiamo attingere per sconfiggere, di nuovo, chi semina odio, violenza, esclusione. L’esperienza concreta di uomini e donne che hanno combattuto insieme, spesso senza nemmeno parlare la stessa lingua, per una comune idea di umanità, ci restituisce il vero senso di una sempre più necessaria Resistenza.
di Paola Signorino