Dedicato alla biografia di Simone Veil, politica, statista e magistrata francese, il film Simone, le voyage du siècle mantiene le promesse annunciate dal titolo originale in francese, e ci racconta effettivamente, attraverso gli occhi e l’esperienza della protagonista, un secolo di storia drammatica e fondamentale.
Simone Veil, nata da una famiglia ebrea con il nome di Simone Annie Liline Jacob (Nizza, 13 luglio 1927 – Parigi, 30 giugno 2017), durante la seconda guerra mondiale fu deportata nel campo di concentramento di Auschwitz. Dopo essere sopravvissuta insieme alla sorella – il padre, la madre ed il fratello non fecero più ritorno a casa – intraprese la carriera di magistrata e nel 1970 fu la prima donna segretaria generale del Consiglio superiore della Magistratura. Fu nominata in seguito Ministra della Salute, battendosi per la depenalizzazione dell’aborto e lottando per i diritti delle donne. Si spese molto anche per il miglioramento delle carceri francesi, introducendo assistenza medico-psicologica, attività ricreative e biblioteche per i detenuti. Infine divenne europarlamentare, ottenendo l’elezione a suffragio universale come Presidente del Parlamento Europeo nel 1982 e
fu tra i fondatori e membri onorari della Fondazione per la Memoria della Shoah.
Il film, diretto da Olivier Dahan, segue da vicino la vicenda della Veil, alternando il racconto con continui flashback, catapultandoci di volta in volta fra presente e passato, mostrandoci ricordi d’infanzia, di prigionia, di lotte politiche in Parlamento e di scene familiari. Fondamentale sarà l’incontro con Antoine Veil, marito e compagno con cui ebbe tre figli, che la sostenne anche nei momenti più difficili e nonostante gli impegni gravosi della carriera politica, che tanto possono mettere in crisi la vita matrimoniale.
Nel cast troviamo Elsa Zylberstein, Rebecca Marder, Élodie Bouchez, Judith Chemla, Olivier Gourmet, Mathieu Spinosi, Philippe Lellouche, Sylvie Testud e Philippe Torreton.
Alla regia va riconosciuta una notevole eleganza nella rappresentazione delle durissime scene dei campi di sterminio nazisti, che risultano efficaci e corrette dal punto di vista storico senza perdersi in scene superflue, come talvolta è accaduto nell’immensa produzione di titoli sul tema.
Il regista francese Olivier Dahan, classe 1967, dopo essersi diplomato all’Ecole d’Art di Marsiglia ha avuto una carriera poliedrica, realizzando nel corso degli anni videoclip musicali, cortometraggi, musical ed opere tendenti al thriller. Citiamo ad esempio I fiumi di porpora 2, con la sceneggiatura di Luc Besson. Dahan si era già occupato di film biografici, raccontando nel 2002 la storia di Edith Piaf in La vie en rose, con protagonista l’attrice Marion Cotillard e ancora nel 2014 con Grace di Monaco, interpretata dalla super star australiana Nicole Kidman.
Il punto di forza del film, oltre alla straordinaria figura di Simone Veil, sopravvissuta persino alla celebre Marcia della Morte*, coincide con la capacità di coinvolgere lo spettatore in un viaggio lungo effettivamente un secolo di storia. Troveremo nel percorso la battaglia per l’aborto, il riconoscimento dei diritti fondamentali per i detenuti, l’emancipazione femminile, la lotta all’antisemitismo e al terrorismo.
«Siamo una spina nella memoria collettiva. Siamo coloro che impediscono che la Storia venga riscritta»: così si sono sentiti per lungo tempo gli ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, in un periodo convulso di lotte per i diritti sociali e umanitari iniziato nel secondo dopoguerra e ancora in corso. Con una grandissima forza, Simone Veil ha saputo trasmettere il male vissuto in prima persona in una politica pragmatica e al contempo idealista, dimostrandoci, come testimoniano i fatti di cronaca, che le violenze e gli eccidi continuano a riproporsi. Proprio in una scena del film esprimerà il suo sgomento per il genocidio del Ruwanda negli anni Novanta e per la situazione della Bosnia Erzegovina, che stava rapidamente degenerando.
Con la sua famiglia, sempre pronta ad accettare le sfide, la Veil decise di far ritorno ad Auschwitz, visitando il suo terribile campo di prigionia per il 60° Anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Un’azione fortemente simbolica, che rappresenta la vittoria di chi non ha ceduto e ha resistito fino alla fine della prigionia.
Il film risulta attualissimo e necessario, arriva forte il monito a non cedere ai falsi profeti, a custodire gli ideali più alti di un’Europa unita e democratica, caratterizzata dalla pace e dalla cooperazione, e in grado di respingere i rigurgiti di antisemitismo e xenofobia.
* Con il termine Marcia della Morte ci si riferisce all’evacuazione dei prigionieri dai campi di concentramento polacchi, organizzata dai nazisti verso la parte più occidentale della regione, come disperato tentativo di sfuggire all’inarrestabile avanzata delle truppe sovietiche che avrebbero a breve liberato il campo di Auschwitz, giunta il 27 gennaio 1945. Dopo la marcia, durante la quale molti detenuti cadevano sfiniti e altri venivano fucilati, Simone Veil raggiunse il campo di Bergen Belsen, da cui fu liberata nell’aprile del 1945 dall’esercito britannico.
di Alessandro Calisti