Il 19 dicembre 1923 è una data particolarmente importante per la storia della repressione sovietica. In quel giorno, nel campo di concentramento a destinazione speciale creato dai bolscevichi nell’arcipelago delle Isole Solovki, sei prigionieri politici vennero uccisi dalle guardie durante una manifestazione pacifica [1]. Se il numero delle vittime può sembrare esiguo, se messo in relazione alle milioni di vittime causate dallo Stato sovietico lungo la quasi totalità della propria esistenza, quell’evento rappresentò un momento di passaggio tra la primordiale fase organizzativa del sistema carcerario sovietico durante gli anni della rivoluzione e della guerra civile e la fase di consolidamento delle pratiche di sfruttamento del lavoro forzato, che avrebbe portato alla fine degli anni Venti – e in concomitanza con il consolidarsi del potere di Stalin – all’espansione su scala nazionale del sistema dei campi di concentramento, utilizzati come motore per la realizzazione dell’industrializzazione dell’Unione Sovietica, richiesta dallo stesso Stalin a partire dal primo piano quinquennale e per la realizzazione della quale venne creato nel 1930 l’organismo (la “Direzione principale dei campi”, Glavnoe upravlenie legerej) da cui il gulag avrebbe preso nome dopo la pubblicazione di Arcipelago gulag di Aleksandr Solženicyn [2].
Il massacro delle Solovki rappresenta la fine del trattamento speciale riservato ai prigionieri politici, termine che nella prima fase sovietica si riferisce ai prigionieri appartenenti ai movimenti storici in lotta contro lo zarismo e, poi, opposti alla rivoluzione bolscevica dopo l’Ottobre 1917. Questi prigionieri – primariamente socialisti rivoluzionari, anarchici, socialisti democratici e i cosiddetti “cadetti”, ovvero gli appartenenti al Partito costituzionale democratico russo – avevano una lunga tradizione di lotta al potere e di sopravvivenza strutturata all’interno delle carceri zariste. Finiti nelle carceri del nuovo Stato, i prigionieri politici portarono con sé questa esperienza, creando non pochi problemi allo stesso Sato sovietico. Si registrano, infatti, in questi anni numerose richieste da parte dei comandanti dei campi e delle prigioni per affrontare le richieste dei rappresentanti dei prigionieri politici [3]. Con la fine della guerra civile, si cercò di affrontare questa situazione tramite la creazione di alcuni campi a destinazione speciale, i primi dei quali vennero istituiti esclusivamente per questa categorie di prigionieri nella regione di Archangel’sk, a Petrominsk e Cholmogory. Pochi mesi dopo, con la scelta da parte del Sovnarkom di creare il campo a destinazione speciale delle Isole Solovki con l’intento di farne un laboratorio [4] capace di risolvere il problema dello spreco delle risorse statali destinate a sostenere le spese necessarie per mantenere in piedi il sistema concentrazionario sovietico e di proporre un sistema efficace di sfruttamento del lavoro forzato dei prigionieri [5], lo Stato decise di trasferire sull’arcipelago situato nel Mar Bianco anche l’intero contingente di prigionieri politici. La loro vita nelle prime settimane fu segnata da rapporti tutto sommato positivi con l’amministrazione del campo, che intanto nel resto dell’arcipelago aveva già avviato la macchina repressiva che fece dello SLON, questo l’acronimo del campo, uno dei campi peggiori in termini di vittime e condizioni dei prigionieri nella storia russa.
I prigionieri politici vennero stanziati in uno degli eremi dell’arcipelago, quello di Savvat’evo, in cui organizzarono una comune, dove ognuno aveva un ruolo: chi cucinava, chi si occupava della manutenzione della struttura a loro affidata, chi si occupava della vita culturale [6]. I prigionieri politici rifiutavano di sottoporsi ai lavori forzati e le guardie rispettavano questa loro scelta. Nonostante questo trattamento di favore, i problemi con l’amministrazione del campo non mancarono. Una serie di limitazioni imposte dal comandante del campo, Aleksander Nogtev, e soprattutto l’imposizione del coprifuoco ai prigionieri politici, portò alla decisione, condivisa da tutti i gruppi politici presenti, di mettere in scena una protesta pacifica sul piazzale antistante l’eremo. All’ora in cui sarebbe dovuto iniziare il coprifuoco. Nogtev si presentò a Savvat’evo con uno squadrone di guardie armate, che allo scoccare delle 18.00 fece fuoco sui manifestanti, lasciando sul campo cinque cadaveri (il sesto prigioniero sarebbe morto in seguito alle ferite riportate in un secondo momento). Il massacro del 19 dicembre 1923 segnò quindi la fine di qualsiasi trattamento di favore nei confronti dei prigionieri politici, termine che di lì a poco sarebbe stato utilizzato sia dai prigionieri, sia dal potere, sia dagli storiografi per indicare tutti i prigionieri sovietici arrestati per motivi politici e, in particolare, in relazione al famigerato articolo 58 del Codice Penale sovietico. Il massacro provocò la protesta internazionale degli altri movimenti politici di sinistra, che furono informati grazie al fittissimo scambio di informazioni messo in opera dai prigionieri politici russi e che raggiungeva anche i paesi occidentali [7].
A un secolo da questo evento, il Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale “Literature of Socialist Trauma: Mapping and Researching the Lost Page of European Literature”, mirato allo studio in prospettiva comparata delle letterature generate dalla repressione di Stato in URSS e nei paesi del blocco sovietico, ha deciso di inaugurare le proprie attività dedicando un convegno a questo evento, scelto come momento simbolico d’inizio della fase più intensa della repressione sovietica. A organizzare il convegno un pool internazionale di studiosi e attivisti di Memorial, a sottolineare da un lato la rilevanza scientifica dell’evento, dall’altro l’importanza sociale della memoria del massacro delle Solovki alla luce delle repressioni odierne in atto in Russia. Oltre al PI del progetto Andrea Gullotta (Università degli Studi di Palermo, presidente di Memorial Italia e co-presidente di Memorial Internazionale), il convegno è stato organizzato da Giulia De Florio (Università degli Studi di Parma, membro del consiglio direttivo di Memorial Italia), Massimo Maurizio (Università degli Studi di Torino, socio di Memorial Italia), Konstantin Morozov (Sorbonne, direttore del progamma “Storia della lotta delle forze anti-autoritarie nella Russia imperiale e in URSS” di Memorial Vilnius) e Alla Morozova (Memorial Vilnius). Dopo i saluti istituzionali, il convegno si è aperto con la prima sessione, dedicata al massacro delle Solovki, e con l’intervento di Alla Morozova, che ha ricostruito i particolari dell’evento del 19 dicembre 1923 e dell’importanza che esso ebbe nel contesto storico dell’epoca. L’intervento successivo, ad opera di Irina Flige, direttrice della sezione pietroburghese di Memorial e una delle studiose più autorevoli sulla storia del campo di concentramento delle Isole Solovki [8], si è invece incentrato sulla memorializzazione contrastata dell’evento, concentrandosi soprattutto sulla storia tribolata dei monumenti dedicati a esso, presenti o distrutti [9], sul territorio dell’arcipelago. Konstantin Morozov ha invece incentrato la propria relazione sulle battaglie dei movimenti politici russi, in particolare su quelle dei socialisti e degli anarchici, per l’affermazione dei diritti umani nella Russia bolscevica durante gli anni Venti. Morozov ha non solo provveduto a disegnare un ampio panorama del complesso universo dei movimenti politici rivoluzionari russi all’indomani del 1917, ma anche insistito sull’importanza del preservare la memoria delle loro battaglie, che per lunghi anni è stata trascurata, eccezion fatta per alcuni progetti e iniziative pubbliche, tra cui il programma dedicato a questo tema da Memorial internazionale in Russia fino alla chiusura dell’organizzazione nel novembre 2021, di cui Morozov era responsabile [10]. L’ultimo intervento della sessione inaugurale, ad opera di Andrea Gullotta, è stato invece incentrato sulla dimensione culturale e più precipuamente letteraria dei movimenti politici russi. Gullotta ha ricostruito la vita culturale della comune di Savvat’evo, passando poi ad analizzare le peculiarità di alcune opere letterarie scritte dai prigionieri politici in varie epoche sullo sfondo del complesso di pratiche letterarie esistente nei campi sovietici, soprattutto quelle degli anni Venti, riprese in parte da alcuni prigionieri politici odierni.
La seconda sessione ha invece visto gli interventi di quattro studiosi italiani, che hanno allargato il campo d’indagine ai rapporti internazionali dei movimenti rivoluzionari e alle connessioni specifiche che essi avevano con il contesto sovietico. Antonio Senta (Archivio Chessa-Berneri di Reggio Emilia) ha proposto un intervento di ampio respiro sulla complessità delle posizioni maturate all’interno del movimento anarchico italiano nei confronti della rivoluzione russa, mostrando con efficacia i numerosi punti di scontro emersi sin dagli albori dell’esperimento sovietico, che hanno portato all’inevitabile rottura dei rapporti tra bolscevichi e movimento anarchico sin dai primissimi anni postrivoluzionari soprattutto a causa delle repressioni messe in atto dai bolscevichi e condannate da esponenti quali Errico Malatesta e Ugo Fedeli, le cui relazioni dalla Russia bolscevica furono fondamentali per definire la posizione del movimento anarchico nei confronti dei bolscevichi. David Bernardini (Università degli Studi di Milano) ha invece parlato delle numerose iniziative di sostegno messe in opera in Germania negli anni Venti e mirate a dare rifugio e supporto ai tanti anarchici fuggiti dalla Russia bolscevica. Bernardini ha dapprima ricostruito la variegata composizione della scena anarchica tedesca soprattutto durante gli anni della Repubblica di Weimar, e poi analizzato i rapporti intessuti da essa con gli esuli russi concentrandosi, tra gli altri, sulle figure di Erich Mühsam e di sua moglie Zenzl che, rifugiata in Urss dopo l’uccisione del marito da parte dei nazisti, venne a sua volta arrestata e trascorse gli anni tra il 1936 e il 1953 tra prigioni, campi sovietici ed esilio forzato [11]. Tra gli anarchici rimasti invece in Russia emerge la figura di Aleksander Berkman, a cui ha dedicato il proprio intervento Roberto Carocci (ricercatore indipendente), che ha saputo tracciare il cambiamento delle posizioni di Berkman rispetto alla rivoluzione bolscevica, da una speranzosa fiducia in un cambiamento positivo operato dai rivoluzionari bolscevichi alla fine delle speranze in seguito soprattutto alla repressione della rivolta di Kronštadt, dopo la quale Berkman deciderà di emigrare dapprima a Berlino e poi in Francia, dove morirà nel 1936 [12]. La sessione si è conclusa con l’intervento di Giorgio Sacchetti (Università degli Studi di Firenze), dedicato alla figura di Otello Gaggi (a cui Sacchetti ha dedicato una monografia [13] ), operaio anarchico antifascista italiano, la cui parabola rispecchia quella di molte delle vittime italiane della repressione Sovietica. Emigrato in Urss alla ricerca di rifugio dopo l’inizio delle persecuzioni politiche ad opera dei fascisti, una volta arrivato Gaggi venne arrestato e condannato più volte al campo di concentramento, fino alla morte avvenuta nel 1945 [14].
La terza e ultima sessione del convegno ha invece visto due interventi di esponenti di Memorial: Anatolij Dubovič (Memorial Vilnius) ha proposto un’ampia e dettagliata panoramica su quelli che sono stati i destini degli anarchici in Unione Sovietica dopo gli eventi del 1923, mentre Aleksej Makarov (Memorial Mosca) ha incentrato il proprio intervento sulla diffusione clandestina tramite i canali del samizdat tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta di documenti relativi alle esperienze dei socialisti rivoluzionari, documenti oggi conservati negli archivi di Memorial [15]. La tavola rotonda conclusiva ha portato alla discussione sia delle numerose prospettive di ricerca evidenziate dagli interventi, sia dell’importanza di approfondire lo studio dei movimenti politici russi e della loro repressione soprattutto alla luce delle crescenti violenze in atto oggi nella Russia putiniana e delle connessioni storiche esistenti tra i due fenomeni [16]. Dalla discussione è nata l’idea di creare un gruppo di lavoro internazionale su questi temi formato dagli studiosi presenti e da altri studiosi.
La registrazione del convegno è disponibile sul canale YouTube di Memorial Vilnius al link: https://www.youtube.com/watch?v=tjBFTiONx2U. È attualmente in preparazione un volume collettaneo contenente gli articoli basati sulle relazioni presentate al convegno.
di Andrea Gullotta
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[1] Oltre alle fonti storiche, l’episodio è descritto nelle memorie di Ekaterina Olickaja, disponibili anche in italiano: Ekaterina Olickaja, Memorie di una socialrivoluzionaria, Milano, Garzanti 1971. Il 19 dicembre 2023, proprio nel centenario dell’esecuzione dei prigionieri politici, presso l’Università di Torino si è svolto un convegno da cui questo report trae spunto.
[2] Per la prima edizione italiana, si veda Aleksandr Solženicyn, Arcipelago Gulag, 1918-1956: saggio di inchiesta narrativa, Milano, Mondadori 1974. Per la ricostruzione delle fasi dell’evoluzione del sistema concentrazionario sovietico, si rimanda a: Anne Applebaum, Gulag: storia dei campi di concentramento sovietici, Milano, Mondadori 2004.
[3] Si veda Applebaum, ivi, p. 39.
[4] Il termine “laboratorio del gulag” in riferimento al campo delle Isole Solovki è utilizzato in diverse fonti. Si segnala, a tal proposito, un altro volume disponibile in italiano sul tema: Francine-Dominique Liechtenhan, Il laboratorio del gulag: le origini del sistema concentrazionario sovietico, Torino, Lindau 2019.
[5] Le motivazioni legate all’istituzione del campo sono esposte nel documento rilasciato dal Sovnarkom al termine della seduta del 13 ottobre 1923: si veda Postanovlenie SNK SSSR “Ob organizacii Soloveckogo lagerja prinuditel’nych rabot” ot 13 oktjabrja 1923 g., Mosca, Archivio di Stato della Federazione Russa (GARF), f. 5446, op. 1, d. 2, l. 43.
[6] Per la descrizione della vita culturale della comune di Savvat’evo e, più in generale, della vicenda dei prigionieri politici al campo delle Solovki, si rimanda a: Andrea Gullotta, Intellectual life and literature at Solovki 1923-1930: the Paris of the Northern Concentration Camps, Oxford, Legenda 2018, pp. 61-66.
[7] In particolare, i bollettini del “Socialisticeskij vestnik” venivano poi ripresi dagli altri canali dei movimenti rivoluzionari europei ed erano alla base di campagne di protesta internazionali. Sul tema, si rimanda al prezioso studio di Ascher: Abraham Ascher, The Solovki Prisoners, the Mensheviks and the Socialist International, “Slavonic and East European Review”, 1969, n. 47 (109), pp. 423-435.
[8] Tra i tanti lavori dedicati alla storia del campo, si segnala l’opera scritta nel 1994 sulla repressione del clero e pubblicata quando la studiosa russa portava un altro cognome: Irina Reznikova, Pravoslavie na Solovkach: materialy po istorii Soloveckogo lagerja, San Pietroburgo, Memorial 1994.
[9] Oltre al monumento ancora presente ai margini del villaggio dell’isola maggiore dell’arcipelago, Morozov e Flige assieme ad altri attivisti di Memorial nel 2013 posarono una lastra di granito di fronte al luogo del massacro all’eremo di Savvat’evo. La lastra venne rimossa in circostanze mai chiarite due giorni dopo. Si veda Denis Dolgopolov, Lagernye Solovki. Kak v Karelii i Archangel’skoj oblasti chranjat pamjat’ o Bol’šom Terrore, “7×7”, 31 agosto 2018, disponibile al link: https://lr.semnasem.org/solovki/
[10] Il sito del progetto è ancora disponibile, anche se non più aggiornato dopo la liquidazione forzata di Memorial Internazionale in Russia, al link: https://socialist.memo.ru/
[11] Si veda la pagina dedicata a Zenzl Mühsam sul sito di Memorial Otkrytyj spisok [Lista aperta]: https://ru.openlist.wiki/%D0%9C%D1%8E%D0%B7%D0%B0%D0%BC_%D0%A6%D0%B5%D0%BD%D1%86%D0%BB%D1%8C_(1884).
[12] Tra i lavori di Berkman disponibili in italiano, si segnala il volume: Alexander Berkman, L’ abc dell’anarco-comunismo, Roma, Nova Delphi Libri 2015, contenente un saggio dello stesso Roberto Carocci.
[13] Giorgio Sacchetti, Otello Gaggi. Vittima del fascismo e dello stalinismo, Pisa, BFS Edizioni 2015 (seconda edizione).
[14] Si veda la scheda di Otello Gaggi presente nella banca dati delle vittime italiane della repressione sovietica di Memorial Italia al seguente link: https://www.memorial-italia.it/wp-content/plugins/memorial-italia-vittime-italiane-gulag/scheda_anagrafica.php?id=111.
[15] Il catalogo è disponibile online al sito: https://samizdat.memo.ru/.
[16] Tra le migliaia di persone incarcerate per le proteste contro la guerra in Russia figurano diversi anarchici. Si veda a tal proposito l’articolo di BBC Russia: Amalija Zatari, “Vojnu my poka ne ostanovili”. Čem zanimaetsja anarchistskoe podpol’e v Rossii i kak ego iščut siloviki, “BBC Russia”, 2 febbraio 2023, disponibile al seguente link: https://www.bbc.com/russian/features-64336056. Anche prima dell’inizio della guerra il regime ha colpito gli anarchici e altri movimenti di sinistra estrema: famoso il caso del giovane matematico Azat Miftachov, recluso dal 2019 e al centro di una campagna internazionale. Si veda a tal proposito l’articolo: Yan Shenkman, Russia wants this young anarchist to stay in prison forever, “Open Democracy”, 5 settembre 2023, disponibile al seguente link: https://www.opendemocracy.net/en/odr/russia-azat-miftakhov-political-prisoners-anarchist/.