Il due giugno 1946 ci furono le elezioni della Assemblea Costituente e il referendum istituzionale per scegliere la Monarchia o la Repubblica. Questa data è stata, è, e sarà sempre la festa delle italiane e degli italiani. Si tornava a votare dopo la lunga parentesi della dittatura fascista che aveva soppresso il diritto inalienabile di uno stato liberale che tra il 1912 e il 1919 aveva esteso il suffragio fino a renderlo universale (ma solo per i maschi). Il voto del 1946 si estese alle donne che parteciparono numerose al voto. La monarchia di Vittorio Emanuele III si era macchiata del turpe accordo ventennale col fascismo rinunciando al modello liberale di Cavour. Il popolo italiano scelse la forma repubblicana tanta cara a Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo. L’Assemblea Costituente il 28 giugno nominò capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola. I lavori procedettero per la redazione di una Costituzione nuova che sostituì il vecchio Statuto albertino.  La campagna stampa sul referendum fu aspra ma civile nel rispetto della democrazia nascente. Fu una stagione di rinnovamento anche nella milanese via Solferino numero 28. Il direttore Mario Borsa e il suo vice Giulio Alonzi, eroe partigiano del Partito d’Azione, si batterono per la Repubblica sulle colonne del Nuovo Corriere della Sera.     

  La copertina di Mario Borsa del due giugno 1946 con i risultati del Referendum a favore della Repubblica fu oggetto all’epoca di un fotomontaggio divenuto in seguito celebre. Dei quarantuno scatti il fotografo Federico Patellani (1911-1977) ne scelse uno col viso di Anna Iberti incorniciato in quella prima pagina del Corriere (È nata la Repubblica Italiana) che rimane ancora oggi l’emblema della nostra Paese. La gioia di Anna — che trapela da un meraviglioso sorriso — è un omaggio alla spensierata gioventù per il nuovo cammino della ricostruzione. La foto fu pubblicata il 15 giugno del 1946 sulla copertina del settimanale Tempo, fondato nel 1939 da Alberto Mondadori. Nel giugno del  1946 Anna Iberti aveva 24 anni e non era ancora sposata. Dopo le magistrali aveva insegnato per poco tempo e in quel momento lavorava come impiegata nell’amministrazione del quotidiano socialista Avanti!. Il padre Alberto, caporeparto in una fabbriche automobilistiche milanesi,  era un vecchio socialista. Anna Iberti futura moglie di Franco Nasi, giornalista del Giorno ha tenuto per tutta la sua vital’anonimato pur diventando il simbolo della giovane Repubblica italiana e della emancipazione femminile.

   Ci vollero anni per affermare la parità di genere e di opportunità del lavoro. La legislazione a partire dagli anni Sessanta e le sentenze della Corte Costituzionale sancirono i principi di eguaglianza  non sempre applicati in concreto ma ormai l’emancipazione si affacciò determinata negli anni  Sessanta con le lotte sociali per l’accesso alle professioni e alla politica. Il 2 giugno 1946 il suffragio universale e l’esercizio dell’elettorato passivo portarono per la prima volta in Parlamento anche le donne.  L’Assemblea costituente si riunì in prima seduta il 25 giugno 1946 nel palazzo Montecitorio. Su un totale di 556 deputati furono elette ventuno donne: nove della Democrazia cristiana, nove del Partito comunista, due del Partito socialista e una dell’Uomo qualunque. Alcune di loro divennero grandi personaggi, altre rimasero a lungo nelle aule parlamentari, altre ancora, in seguito, tornarono alle loro occupazioni. Tutte, però, con il loro impegno e le loro capacità, segnarono l’ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative. Le donne alla Costituente — Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria  De Unterrichter Jervolino, Filomena Delli Castelli, Maria Federici, Maria, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela Cingolani Guidi, Leonilde Iotti. Teresa Mattei, Angelina Livia (detta Lina) Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana Togliatti, Maria Nicotra Fiorini, Teresa Noce Longo, Ottavia Penna Buscemi, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi e Vittoria Titomanlio — rappresentarono il primo presidio politico femminile: laureate e lavoratrici, partigiane e attiviste del movimento femminile. La Repubblica Italiana nasce quindi con l’anelito di emancipazione e liberazione senza discriminazione di genere.

    Oggi la battaglia per i diritti — che si estende a LGBT, ai diversamente abili, agli immigrati e alle altre minoranze  che si sentono emarginate — deve andare avanti sulla linea tracciata dai nostri costituenti. Un lungo cammino durato oltre settanta anni con nuovi obiettivi di democrazia avanzata e partecipazione dei cittadini al governo della Polis.  Un modello europeo di fratellanza e solidarietà, baluardo contro le barbarie e le guerre. Un cammino difficile sulla strada maestra della democrazia, strumento difficile ma essenziale da consolidare quotidianamente con l’effettiva partecipazione di tutti e tutte senza alcuna esclusione. Diamo alla Repubblica italiana l’autonomia spirituale e politica per ritrovare il senso di una sua funzione di progresso, scevra da paralizzanti paure in Europa e nel mondo.

di Filippo Senatore 

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