Il 18 settembre 1984, a 83 anni, moriva a Roma Riccardo Lombardi, uno dei più amati leader della sinistra italiana, protagonista della storia del PSI e, ancor prima, del Partito d’Azione, di cui fu anche segretario. Sono passati ormai quarant’anni dalla sua scomparsa e ricordarlo è doveroso, ma è anche difficile. Cosa può dirci oggi un dirigente politico attivo per larga parte del Novecento, un secolo che si allontana sempre più velocemente?

La retorica non serve e, del resto, Lombardi ne era totalmente sprovvisto. Si può solo provare a capire se e come potrebbe essere utile un uomo che fece della politica non soltanto una professione, ma quasi una missione. Proprio il significato che egli diede all’attività politica, peraltro comune ad altri dirigenti e militanti dei vari partiti, andrebbe ritrovato. Lombardi pensava che la politica fosse il mezzo primario per incidere sulla società, aveva ben presente quanto fosse importante partecipare alla formazione dei programmi dei partiti chiamati a includere sempre di più le masse nello Stato democratico e a progettare un diverso mondo possibile, cioè il socialismo. Un’altra sua prerogativa, che nel presente si configura come una vera e propria urgenza, fu la capacità di approfondire i problemi attraverso lo studio. La competenza, oggi, non è considerata una priorità e, sebbene nel Novecento non sempre regnasse sovrana tra i vertici della politica, nelle segreterie dei partiti, in Parlamento e nelle amministrazioni locali, la differenza con il presente è abissale e la società ne risente in tutti i settori.

Lombardi leggeva molto, era curioso non solo verso il proprio campo politico-culturale ma anche nei confronti degli avversari, capiva che era difficile affrontarli utilmente senza capirne a fondo le caratteristiche.Tra le sue peculiarità, vi erano la serietà e la sobrietà oltre all’onestà materiale e intellettuale, che talvolta infastidivano persino alcuni suoi compagni di strada. Lo ricordavano spesso, tra gli altri, Nerio Nesi e Michele Achilli, dirigenti del PSI formatisi con lui negli anni Sessanta e sempre ispiratisi alla sua lezione. Non tutti coloro che si erano formati politicamente al suo fianco, purtroppo per lui e per il socialismo italiano, si comportarono di conseguenza. Dall’inizio degli anni Ottanta prima cambiarono collocazione nel PSI allineandosi a Bettino Craxi, poi scelsero addirittura di militare nel campo avverso, cioè il centro-destra. Il suo vecchio amico e compagno Vittorio Foa, scherzando ma non troppo, a un certo punto gli suggerì di abbandonare la corrente lombardiana…

A causa di un violento pestaggio subito dai fascisti nel 1930, Lombardi soffriva di pneumotorace spontaneo e, per capire l’uomo, è utile ricordare sommariamente il contenuto di una lettera che scrisse negli anni Cinquanta all’allora Segretario del PSI Pietro Nenni. I dirigenti e i parlamentari della sinistra davano al partito un’alta percentuale di ciò che guadagnavano, per finanziarlo nel nome di una causa comune. Lombardi, in vista di un’operazione ai polmoni che si era resa necessaria, scrisse a Nenni di dover impiegare tutto il suo stipendio per l’intervento e di non poter dare soldi al partito in quel mese, soldi che avrebbe restituito al più presto. La sua non era una lettera privata a un compagno ma al segretario del partito, era cioè un atto che aveva anche un valore amministrativo e che lo avrebbe impegnato per il futuro, pena la perdita della sua credibilità. Un atto, oggi, inimmaginabile. Il recupero nella politica odierna di quello spirito, poco compatibile con slogan urlati e sterili annunci, farebbe certamente bene alla politica stessa e consentirebbe ai cittadini di sentirsi molto più vicini ai loro rappresentanti.

Altri aspetti centrali della condotta di Lombardi riportano ai contenuti della sua politica, in varie stagioni dell’Italia repubblicana. Egli non sfuggì al periodo più cupo del PSI, quando nella sostanza lo stalinismo imperversava anche tra molti socialisti e non soltanto nel PCI come, tra gli altri, riconobbe Foa. Lombardi, che si trovò al vertice dei Partigiani della Pace (finanziati dall’URSS) in piena Guerra fredda, prima dei rivolgimenti seguiti al 1956, nel 1948 si dichiarò contrario all’idea di Nenni di strutturare per il PSI frontista liste uniche con il PCI, in vista delle prime elezioni politiche del 1948. Era, insomma, un autonomista ante litteram, lontano da Saragat che era uscito dal PSI ma anche non in linea con Nenni e Morandi. Fu, con Foa, Santi, Pieraccini e Jacometti, nella corrente Riscossa socialista, che guidò il partito per un anno fino al 1949, salvo poi essere sconfitta dalla sinistra interna degli stessi Nenni e Morandi, allora più appiattita sulla cultura politica del PCI di Togliatti che portatrice di una visione alternativa nella ricerca del socialismo.

Lombardi, come si è accennato, non era nato socialista. Da giovane faceva parte della sinistra cattolica di Guido Miglioli e poi, fin dalla sua nascita, aderì al Partito d’Azione dopo essersi avvicinato a Giustizia e Libertà. Nel Pd’A fu tutt’altro che divisivo e incapace di mediare, cosa di cui a torto fu accusato anche nel PSI, tanto da provare con Foa e altri prima a promuovere durante la Resistenza la Rivoluzione democratica incentrata sui Comitati di Liberazione Nazionale dialogando con i partiti operai, e poi a tenere in vita il partito limitando l’influenza delle due correnti di Lussu e La Malfa, dichiaratamente socialista e liberaldemocratica. Oltre ad essere stato a Milano il primo prefetto dopo la Liberazione, fu ministro dei Trasporti del I Governo De Gasperi, deputato all’Assemblea Costituente e, fino a pochi mesi prima della scomparsa, alla Camera.

Dalla seconda metà degli anni Cinquanta, Lombardi fu anche uno dei principali animatori dell’apertura a sinistra e del dialogo con i cattolici. Favorì la genesi del centro-sinistra ma, subito, capì che l’abbraccio con la DC guidata dai dorotei poteva far fallire il programma al quale aveva lavorato con il massimo impegno, fin dall’inizio degli anni Sessanta. Non volle entrare nel I Governo Moro, forse esitò troppo e non diede abbastanza ascolto a Nenni in quella circostanza, andando a dirigere per la seconda volta «l’Avanti!». Rimane il fatto che, dopo la scissione della sinistra socialista e la nascita del PSIUP, che cercò di evitare fino alla fine capendo che avrebbe indebolito non solo il PSI ma anche i “riformatori”, successe quel che aveva previsto. Nenni, dal luglio 1964, dopo la ricomposizione del Governo Moro (complici le pressioni figlie del Piano Solo, della destra DC e dei grandi imprenditori privati), accettò di ridimensionare il programma di governo sposando poi il fallimentare progetto di riunificazione con il PSDI, naufragato nel 1969 dopo soli tre anni di convivenza molto difficile. Lombardi, nel 1966, fece prevalere il valore dell’unità sulle sue più profonde convinzioni politiche e rimase nel PSU, confermando che (oltre al potere) non amava lo “scissionismo”, grave e tradizionale malattia dell’intera sinistra.

Negli anni Settanta, sempre attento agli scenari internazionali e molto critico verso le logiche “imperiali” che per lui sottostavano alla maggior parte delle guerre, senza mai circoscrivere le proprie idee all’interno di un dogma ideologico, lavorò per l’Alternativa, che nel 1978 divenne la piattaforma congressuale del PSI durante il sequestro Moro. Ostile al compromesso storico, mai assunse posizioni anticomuniste (si definiva «acomunista»), essendo cosciente della necessità di mantenere un sia pur problematico dialogo con il PCI di Berlinguer anche all’interno della CGIL. Furono gli anni Settanta il periodo di maggior radicalismo di Lombardi? Forse, ma l’utopia aiuta talvolta a ottenere risultati pratici insperati. Lombardi sapeva bene che l’eccessivo realismo avrebbe coinciso con il fallimento della ricerca, pacifica, di un modello socio-economico diverso da quello vigente. Era socialista e non poteva essere in linea con i fautori di un capitalismo senza regole che, non solo oggi ma anche negli anni Settanta, in Italia non mancavano. Questo atteggiamento, che lo rese molto popolare tra i giovani che coglievano bene il suo disinteresse personale e la sua volontà di trasformazione della società, non sempre fu del tutto costruttivo ma non può essere visto come una colpa per un politico che si diceva socialista e militava nel PSI.

Lombardi, infine (ed è un tema centrale oggi), mai perse di vista la storia e, quindi, le radici antifasciste della Repubblica democratica, ben visibili nella Costituzione che viene attualmente messa in discussione con intenti ben poco nobili. Non sappiamo cosa avrebbe detto dell’esecutivo di destra che guida l’Italia dal 2022, i post fascisti al potere neanche lui, per alcuni quasi un visionario, poteva immaginarli. Si può però ritenere che, animato dalla sua forza tranquilla, Lombardi avrebbe provato a progettare un modello alternativo e avrebbe combattuto ancora contro l’ingiustizia sociale e per la libertà, senza accontentarsi del presente al quale non si sarebbe rassegnato.                                    

di Andrea Ricciardi

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