Paolo Treves da Radio Londra. Il ricordo di Buozzi e di Colorni

Alludendo ai «nuovi martiri falciati dai tedeschi in fuga alle porte di Roma», parlando da Radio Londra l’8 giugno 1944, Paolo Treves così si esprimeva su Bruno Buozzi, che aveva ben conosciuto frequentando anche la sua famiglia e costruendo uno stretto rapporto in particolare con la figlia Ornella.  

E tra essi permettetemi che pensi specialmente a Bruno Buozzi. So bene che non è il tempo delle commemorazioni. So bene che Buozzi non ne vorrebbe, e basta quella bandiera a mezz’asta dalla sede del Partito Socialista Italiano a Roma. Ma io ho fissi davanti a me i suoi grandi occhi cerulei, rivedo il sorriso aperto sul volto chiaro, ripenso a tante cose. Soprattutto ripenso a Buozzi come alla migliore espressione dell’organizzatore operaio italiano. In Patria, in esilio, in carcere, nella lotta illegale, Buozzi è sempre rimasto fedele al suo ideale. Buozzi ha testimoniato per tutti gli operai italiani la sua fede sicura. Il suo assassinio da parte dei tedeschi è un ammonimento severo, un monito che la lotta continua. Vent’anni fa Matteotti, ieri Bruno Buozzi. [In realtà all’alba del 4 giugno in località La Storta, sulla via Cassia].  



Prima dell’assassinio di Buozzi, e precisamente il 28 maggio del 1944, era stato ferito a Roma Eugenio Colorni (morto il 30), figura di primo piano del socialismo italiano, uno dei padri del federalismo che ebbe un ruolo importante nell’elaborazione del Manifesto di Ventotene. Lavorò al fianco di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, i principali protagonisti nel 1941 della stesura del manifesto avvenuta durante il confino politico, al quale erano stati condannati dal regime fascista dopo aver trascorso molti anni in carcere. Dopo l’assassinio di Colorni, amico di Treves fin dagli anni della gioventù, il 22 giugno sempre da Radio Londra il primogenito di Claudio pronunciò parole molto intense per ricordarlo.

Se la mia voce suona, oggi esitante, non datene la colpa ai disturbi, alle interferenze. Si parla male quando l’angoscia preme il cuore. Ho letto ora nei giornali di Roma che i nazi-fascisti, pochi giorni prima di lasciare la capitale, ci hanno ammazzato a rivoltellate anche Eugenio Colorni. Non è il tempo di commemorazioni ma è impossibile a chi, come me, da vent’anni ha avuto la sua vita per molti lati commista a quella di Eugenio, non dire parola […]. Con lui l’Italia perde un giovane di eccezionale valore. Noi, i suoi amici, perdiamo un fratello insostituibile […]. Eugenio è andato consciamente al martirio, solo per adempiere il suo dovere. La politica, per lui, non era la sua vita. La sua vita vera, intima, era la sottile speculazione filosofica, l’indagine calma dello studioso, di cui aveva già dato prove luminose. Ma da anni Colorni era sulla breccia e noi lo sapevamo […]. Continuava e aveva come paura di morire, prima di aver dato intera misura di sé nel campo scientifico […]. Di qui vorrei dire grazie a questi eroici combattenti che pur sento di poter chiamare ancora compagni. E sento che Colorni (la sua vita e la sua morte), Colorni simboleggia bene il tipo di ideale del combattente per la libertà, del volontario della libertà, come suona la qualifica ufficiale […]. E dal dolore per i caduti, da Buozzi a Ginzburg, da Albertelli a Colorni, simboli delle centinaia e centinaia di altri martiri, sorge pure una grande fiamma di riconoscenza per la loro opera, per il loro trionfo morale.

 

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