La proclamazione della Costituente avvenuta in Italia col decreto 25 giugno 1944 è stata indubbiamente un atto rivoluzionario: la consacrazione legislativa di una rivoluzione in corso, la chiusura della fase distruttiva e insieme l’apertura della fase ricostruttiva di essa. Forse non tutti hanno misurato subito, in Italia e fuori d’Italia, la portata rivoluzionaria di quel decreto, solo perché esso non era stato partorito da sommosse e da barricate. Ma questo è accaduto perché la tradizionale scenografia delle violenze rivoluzionarie era stata resa inutile, nel nostro caso, dalla guerra che era passata prima a spazzare il mondo, con una furia devastatrice superiore a quella di qualsiasi rivoluzione. Quando la vittoria delle armi alleate ha portato all’Italia la libertà, il popolo italiano si è accorto che sotto le macerie delle sue città erano state demolite anche le istituzioni: dell’opera distruttiva di una rivoluzione non c’era più bisogno, perché per il passaggio della guerra la distruzione era già un fatto compiuto.
Il brano è tratto da Piero Calamandrei, Nel limbo istituzionale, articolo pubblicato sul primo numero della rivista «il Ponte» nell’aprile 1945. Il 25 giugno 1944, a tre settimane dalla liberazione di Roma, fu emanato il decreto luogotenenziale n. 151 con cui il Governo Bonomi stabilì che alla fine della guerra sarebbe stata eletta a suffragio universale un’Assemblea Costituente per scegliere la forma dello Stato e redigere una Costituzione.
L’atmosfera sociale, politica, morale in cui – anche nelle nazioni più civilmente avanzate – il singolo cittadino vive oggi, è pesante e drammatica. E tanto più sentita come tale quanto più aperta sia la mente di ogni singolo soggetto, quanto più avveduto e sensibile l’animo suo. Tutti e ciascuno sono toccati da condizioni più o meno crudeli; da noi specialmente: a) per la confusa, inconcludente azione di molti politici e la cronica inefficienza della pubblica amministrazione, chiamata ad affrontare problemi di mai vista complessità, ed impreparata alla bisogna; b) per l’accresciuta, diffusa criminalità, comune e politica, in una costante incertezza di tutti i rapporti umani, che ne sono intorbidati ed alterati; c) soprattutto, per l’affievolirsi di un patrimonio etico e sociale che dovrebbe essere rinnovato ed adeguato ad una storica situazione in rapida trasformazione, ma che ancora non riesce ad esattamente caratterizzarsi. Crisi mondiale e non solo nazionale.
Si tratta dell’incipit dell’ultimo articolo di Riccardo Bauer su «Nuova Antologia», n. 2144, dell’ottobre-dicembre 1982, pp. 118-129. L’articolo era stato inviato alla rivista poco prima della sua scomparsa, avvenuta il 15 ottobre all’età di 86 anni.