La dittatura fascista ha soppresso, oramai, completamente, nel nostro paese, quelle condizioni di libertà, mancando le quali l’insegnamento universitario della storia – quale io la intendo – perde ogni dignità: perché deve cessare di essere strumento di libera educazione civile e ridursi a servile adulazione del partito dominante, oppure a mere esercitazioni erudite, estranee alla coscienza morale del maestro e degli alunni. Sono perciò costretto a dividermi dai miei giovani e dai miei colleghi, con dolore profondo, ma con la coscienza sicura di compiere un dovere di lealtà verso di essi, prima che di coerenza e di rispetto verso me stesso. Ritornerò a servire il paese nella scuola, quando avremo riacquistato un governo civile.

Lettera di dimissioni, datata 5 novembre 1925, inviata da Londra da Gaetano Salvemini al rettore dell’Università di Firenze.
Salvemini era stato arrestato l’8 luglio dello stesso 1925 per l’attività antifascista del giornale clandestino «Non Mollare!», che egli aveva fondato a Firenze con Ernesto Rossi, Nello Traquandi, Carlo e Nello Rosselli e che sarebbe stato pubblicato fino all’ottobre 1925. Era espatriato clandestinamente in Francia il precedente 4 agosto accompagnato dall’allievo Federico Chabod, poco dopo che gli era stata concessa la libertà provvisoria in seguito all’amnistia del 31 luglio per il 25° anniversario del regno di Vittorio Emanuele III. Salvemini (che visse anche in Gran Bretagna e si stabilì in USA nel 1932, sarebbe rientrato in Italia una prima volta nel 1947 e definitivamente nel 1949) fu privato della cittadinanza italiana e colpito dal sequestro dei beni. Un anno dopo la lettera di dimissioni, nel novembre 1926, con l’approvazione delle “leggi fascistissime” il fascismo sarebbe divenuto in via definitiva un regime totalitario.



Ma forse la loro [dei sindacati] resistenza costante alla politica dei redditi da te giustamente sostenuta trova una ragione nel fatto che sempre, quando si è chiesto un qualsivoglia sacrificio per affrontare la grave crisi in cui il paese si aggira, chi veramente è stato colpito fu il lavoratore. Sono i più umili a reddito fisso che pagano lo scotto, né possono sfuggire ai giri di vite coi quali lo Stato cerca di strizzare quanto più il contribuente. Molti grandi reddituari, ai quali non mancano zelanti consiglieri specializzati, ben sanno come sfuggire alla morsa del fisco ed alla peggio spediscono i loro patrimoni all’estero magari vendendo le proprie imprese al capitale straniero all’estero incassandone il valsente e i grossi papaveri della privata e pubblica amministrazione non sono da meno. È ovvio che in siffatta situazione parlare di blocco dei salari per salvare la competitività internazionale delle nostre industrie e la bilancia dei pagamenti susciti soltanto reazione violente. Ora io mi chiedo perché si debba parlare del blocco delle remunerazioni dei lavoratori e non si consideri il provvedimento semplicemente cominciando dall’alto. Cominciando cioè col bloccare non le remunerazioni minori – anche se sono la grande maggioranza – ma le più alte – anche se riguardano una minoranza (poi non tanto esigua).

Da una lettera di Riccardo Bauer a Ugo La Malfa del 4 settembre 1975 (Società Umanitaria, Milano, Fondo Riccardo Bauer, busta 33, fascicolo 10).

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