Dopo la formazione a Salerno del II Governo Badoglio, il primo di unità nazionale perché appoggiato dalle forze antifasciste del CLN (con due indipendenti, un ammiraglio e due generali) dopo la celebre “svolta di Salerno” dell’aprile 1944, figlia del rientro in Italia di Palmiro Togliatti, Umberto di Savoia (che il successivo 5 giugno, subito dopo la liberazione di Roma, sarebbe stato ufficialmente nominato dal padre luogotenente generale del Regno) rilasciò una clamorosa intervista al corrispondente del «Times» Christopher Lumby. Tra l’altro, Umberto sostenne che la guerra alla Francia e alla Gran Bretagna era stata voluta da tutto il popolo italiano e che il re Vittorio Emanuele III l’aveva accontentato. Come “prova” della volontà popolare, disse che allora «neppure una voce si levò a protestare. Nessuno chiese la convocazione del Parlamento. Evidentemente Mussolini aveva il paese con lui». Questa tesi, tendente a cancellare le responsabilità del re nella folle scelta di scendere in guerra al fianco della Germania nazista, approvando le idee di Mussolini, scatenò molte polemiche anche perché la Camera (formalmente soppressa nel 1939 a vantaggio della Camera dei fasci e delle corporazioni) non esisteva più e il Senato era di nomina regia. L’intervista fu criticata molto duramente da Benedetto Croce e da diversi altri esponenti dell’antifascismo anche azionista tra cui Alberto Cianca che, in un articolo pubblicato su «L’Azione» del 6 maggio, tra l’altro scrisse:
Non una parola di riconoscimento dei propri errori, di umana solidarietà per le sofferenze materiali e morali che il regime dittatoriale, voluto e per vent’anni protetto dalla monarchia, ha imposto agli italiani; non l’enunciazione di un proposito rinnovatore, fondato sulla coscienza degli errori compiuti. Nient’altro che un’arida, meschina difesa di questi errori; e lo sciagurato tentativo di confondere, in uno stesso giudizio e in uno stesso destino, l’istituto monarchico, che diede il governo dello stato al fascismo, ed il popolo che del fascismo fu vittima […]. Che cosa attendeva dal popolo la monarchia? Che le folle scendessero in piazza a farsi mitragliare e bombardare? Ma dimentica, dunque, il Savoia che il regime monarchico-fascista aveva soppresso ogni libera espressione della volontà popolare […]. Il Savoia accenna al Parlamento. Il Parlamento! Ma il Parlamento era anch’esso, come la monarchia, un docile strumento della dittatura.
Il successivo 20 maggio, sempre dalle colonne de «L’Azione», Pasquale Schiano, un altro azionista Segretario del Centro Meridionale, pubblicò una protesta ufficiale del Pd’A che, nel governo, aveva due ministri: Adolfo Omodeo all’Educazione nazionale e Alberto Tarchiani ai Lavori pubblici. Croce e Togliatti erano, allora, ministri senza portafoglio.
Di fronte alla gravità delle dichiarazioni di Umberto di Savoia al “Times”, con le quali si tenta di riversare sul popolo italiano le responsabilità della guerra, che pesano esclusivamente sulla monarchia, correa del fascismo; nel riaffermare che il Popolo fu trascinato contro le sue tradizioni, la sua volontà ed i suoi interessi nella guerra contro le democrazie imposta dal fascismo e dalla monarchia; insorge contro le affermazioni prive di fondamento morale, storico e politico di Umberto di Savoia, protesta contro l’atteggiamento della monarchia che costituisce un pericolo per la libertà e per la patria; dà mandato ai rappresentanti del Partito in seno al governo di rendersi interpreti dei sentimenti di indignazione degli Italiani e di agire di conseguenza.