Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società […]. È così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica […]. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.

Tratto dal Discorso ai giovani sulla Costituzione, pronunciato a Milano nel Salone degli affreschi della Società umanitaria da Piero Calamandrei il 26 gennaio 1955.



Questo significava, cioè, che la democrazia disegnata dalla Costituzione era stata concepita non come una semplice democrazia politica, ma come una democrazia sociale, nella quale la libertà e l’uguaglianza politica, anziché essere semplicemente proclamate di diritto, dovevano essere attuate “di fatto” mediante una già prevista trasformazione economica della società. La Costituzione, insomma, aveva preso a fondamento il principio (riassunto da Carlo Rosselli nel binomio Giustizia e libertà) secondo il quale vera democrazia non può esistere, se alle proclamazioni giuridiche della libertà e dell’uguaglianza non si accompagna una effettiva perequazione economica della società, che valga a rendere profittevoli per tutti, e non soltanto per i ricchi, quelle proclamazioni.

 Tratto dal saggio di Piero Calamandrei La Costituzione e le leggi per attuarla, comparso per la prima volta nel volume collettaneo Dieci anni dopo: 1945-1955. Saggi sulla vita democratica italiana, Laterza, Bari, 1955, pp. 211-316. Il saggio fu riproposto varie volte, per esempio nella collana Saggi tascabili Bompiani(Milano, 1995), con un’introduzione di Alessandro Galante Garrone.    

   

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