Il 25 luglio [1943] segna il tentativo delle forze conservatrici, che avevano sino allora appoggiato la dittatura, di scindere le proprie responsabilità da quelle del fascismo e di salvare, in tale guisa, se stesse. Questo cercarono di fare prendendo esse l’iniziativa di quell’azione politica (e cioè di porre termine al fascismo) che altrimenti sarebbe stata ormai inevitabilmente presa da altre forze. A siffatta decisione vennero con la speranza che, una volta assunta nelle proprie mani l’iniziativa politica fosse possibile conservarla, controllando un progressivo lento svolgimento dal fascismo ad una forma più liberale di governo, che rimanesse, però, nell’ambito di una struttura statale pressoché immutata nei confronti di quella prefascista. E più che tutto con la volontà di far sì che fosse assicurata la permanenza di un sostanziale controllo sullo Stato da parte di quelle forze che con diverse forme avevano mantenuto immutato il controllo sullo Stato italiano dall’unità in poi, nel prefascismo e nel fascismo: monarchia, alti gradi dell’esercito, alta burocrazia, grandi proprietari agrari, grande industria. Questo fu il 25 luglio […]. L’otto settembre reca un colpo grave al tentativo di manovra delle forze conservatrici. Con l’otto settembre l’esercito si sfascia, la macchina dello Stato va in frantumi e monarchia, Badoglio, esercito perdono ogni prestigio ed ogni ascendente sul Paese. Le forze del 25 luglio, le forze conservatrici, non rinunciano tuttavia al gioco e tentano di svolgerlo appoggiandosi su altri nuovi elementi: gli alleati e la separazione fra l’Italia meridionale e l’Italia centrale e settentrionale […]. Assistiamo così, dopo l’otto settembre, al miserevole trascinarsi del tentativo delle forze conservatrici postfasciste fra Brindisi, Bari, Taranto e Salerno […]. In sede politica, la Costituente è il più valido strumento che la nuova democrazia italiana si sia conquistato. Questa conquista ed il nuovo equilibrio che si è creato fra i partiti con la formazione del Governo Parri, segnano il limite delle soluzioni possibili prima della convocazione del popolo alle urne. Su questa base occorre ora lavorare con fermezza e con continuità. Riguardando il cammino percorso dal 25 luglio ad oggi noi possiamo essere soddisfatti. E pur dopo avere lungamente battagliato, dobbiamo riconoscere il senso di responsabilità di tutti i partiti, ugualmente partecipi a questo cammino.

Queste parole furono scritte a Padova il 26 giugno 1945, cinque giorni dopo l’insediamento del Governo Parri, il primo dopo la Liberazione. Sono tratte da Bruno Visentini, Due anni di politica italiana (1943-1945), a cura di Sandro Gerbi, Aragno, Torino 2014. L’opuscolo è di particolare interesse perché analizza a caldo lo svolgimento di fatti epocali, interpretati da Visentini (allora militante del Partito d’Azione, di cui era stato uno dei fondatori) in modo acuto. Il Pd’A, dopo la caduta del Governo Parri a novembre grazie alla sfiducia di PLI e DC, entrò in crisi. Fu squassato dalla scissione dell’ala liberaldemocratica di La Malfa e Parri (di cui non faceva parte soltanto Spinelli) in occasione del I Congresso nazionale di Roma, celebrato tra il 4 e l’8 febbraio 1946. Visentini aderì poi al PRI.      

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