Pietro Farini fu uno dei fondatori del PSI a Ferrara e nella nativa Russi, dove costituì anche la Lega dei braccianti. Nel 1924, dopo una lunga militanza fra i socialisti, decise di aderire al PCd’I contribuendo con il figlio Carlo alla costituzione degli Arditi del popolo. Farini fu una figura particolare nel panorama del movimento operaio italiano e nel 1932, vessato dai fascisti, emigrò in Francia da cui raggiunse l’URSS. Qui trascorse gli ultimi anni di vita, scomparve a Mosca nel 1940 non senza avere lasciato delle ampie memorie, in cui tentò di ricostruire la sua complessa vita di appassionato militante politico, mai domo e convinto antifascista. A proposito del giugno 1924, scrisse parole molto interessanti su Giacomo Matteotti e il suo omicidio, collegandolo non soltanto all’intransigente antifascismo che il segretario del PSU aveva dimostrato, ma anche al malaffare del regime che il segretario del PSU si apprestava a denunciare alla Camera proprio il giorno dopo il suo rapimento, avvenuto il 10 giugno. Nonostante qualche imprecisione nella ricostruzione di quei giorni, Farini si concentrò su un aspetto che solo molti anni dopo, per una parte della storiografia italiana, sarebbe divenuto molto importante per contestualizzare al meglio il sequestro e l’omicidio di Matteotti.
Ero a Bergamo in cura degli occhi quando, telegraficamente, giunse la notizia dell’assassinio di Matteotti. Egli avrebbe dovuto quel giorno alla Camera dei deputati formulare un atto di accusa contro il partito fascista con documenti irrefutabili. I fascisti non vollero che il Matteotti compiesse il suo dovere di cittadino e di rappresentante della nazione. E non trovarono altro mezzo che sopprimerlo […]. Alla notizia dell’efferato delitto corse un brivido d’orrore per tutta l’Italia. A Roma, il luogo donde era stato travolto – al Lungo Tevere – divenne un altare ricoperto di fiori. Una folla immensa di popolo passò di là, pianse, imprecò, attese. I fascisti avevano, in tutte le città d’Italia, gettati i loro distintivi. Mussolini, al Palazzo Chigi, per otto giorni tremò, credendo che stesse per giungere la vendetta popolare. Amendola teneva in pugno la situazione, doveva affrontarla, dominarla, risolverla.