Dopo le elezioni politiche del maggio 1921, le prime con la partecipazione del PCd’I nato a gennaio, il clima in Italia rimane molto teso. Al Governo Giolitti subentra un esecutivo di coalizione guidato da Bonomi. La violenza imperversa e, per difendersi dallo squadrismo fascista, nascono a Milano gli Arditi del popolo che, tuttavia, non riescono a coinvolgere tutte le forze della sinistra, a cominciare dai comunisti. Mussolini, pressato dai ras, propone a luglio dalle colonne del «Popolo d’Italia» un patto di pacificazione indirizzato in particolare ai socialisti. Il 2 agosto il patto viene firmato con la mediazione di Enrico De Nicola, ma il 16 il congresso dei fasci emiliano-romagnoli lo respinge. Mussolini si dimette dalla commissione esecutiva dei fasci per protesta, ma le sue dimissioni vengono respinte dal consiglio nazionale fascista. Nel PSI, al XVIII Congresso di Milano, prevalgono ancora i massimalisti sui riformisti mentre il PPI, pur evidenziando molte contraddizioni riguardo all’atteggiamento tiepido assunto verso il fascismo, sembra ipotizzare una collaborazione con il PSI per salvaguardare la legalità dello Stato liberale fortemente compromessa. In realtà gli antifascisti continuano ad essere divisi mentre, a novembre, il fascismo si dà un volto più organico con la nascita del PNF. Sono evidenti, da una parte, la debolezza del gruppo parlamentare democratico, composto da 150 deputati (tra cui Giolitti, Orlando e Nitti) che vorrebbero un blocco di centro; dall’altra il prevalere all’interno del fascismo delle correnti più estreme, del tutto disinteressate a ogni forma di pacificazione e fautrici di una violenza cieca e crescente ai danni del movimento operaio e della sinistra cattolica. Matteotti è ben cosciente della situazione e dell’ambiguità non solo dei fascisti, ma anche delle autorità di fronte al fallimentare (e strumentale) patto di pacificazione proposto da Mussolini. Il 2 dicembre 1921 Matteotti interviene alla Camera e, tra l’altro, afferma:
Il patto fin dall’inizio, prima ancora che fosse applicato, prima anzi che fosse firmato, fu dichiarato nullo e di nessun valore esclusivamente dalla parte agrario-fascista in gran parte dell’Italia. Nelle provincie del Veneto e dell’Emilia, nel Polesine, i giornali fascisti e agrari hanno dichiarato che il patto era «uno straccio di carta» inapplicabile, e quando fu firmato, articoli di fondo di quei giornali si intitolarono così: «Mano alle rivoltelle!». Ho qui i documenti, sempre pronti a disposizione di chi dubitasse. Ora il Governo, l’onorevole Bonomi che ha saputo questo, che conosce l’esistenza di associazioni, che dichiaravano nullo un patto di convivenza civile conforme alla legge, e le si ponevano contro, ha in proposito nulla da dire? […]. Il patto di pacificazione fu quindi dichiarato nullo non dopo i fatti di Roma, come racconta ai suoi lettori il «Duce che precede». Il Duce questa volta è arrivato con l’ultimo treno, perché il patto di Roma era stato dichiarato nullo da moltissimi mesi, prima ancora della sua applicazione, dal gruppo più grosso di tutti i suoi seguaci […]. Nei tre mesi che sono passati, dal patto di pacificazione ad oggi, i sequestri di persone da parte delle bande sono continuati nelle nostre province senza che mai un autore, un organizzatore dei sequestri di persona, sia stato né denunciato né colpito comunque dalla giustizia. La invasione di case private si ripete quasi tutte le notti. Nel Polesine […] le bande armate mascherate o travestite continuano a invadere le case nella notte, bastonando gli uomini, ingiuriando e minacciando le donne, devastando mobili, infierendo perfino contro vecchi ottantenni e bambini. Non comprendo se i colleghi di quella parte della Camera protestino contro la verità di quello che io dico o vogliano gloriarsene! […]. La ricerca era organizzata specialmente contro di me e contro il collega Gallani. Noi non possiamo andare in provincia… Poiché i criminali non trovarono me, bastonarono a sangue il giovane che accompagnava mia madre, venuta là per trovarmi dopo tanti mesi… E tutto questo perché? In nome forse della Patria? Nel Polesine, fra i nostri contadini non ci sono disertori da punire. Vi erano invece molti imboscati di parte agraria, esonerati durante la guerra. Dei nostri non v’è nessuno che, dove fu chiamato, non abbia compiuto il proprio dovere […] ma il peggio di tutto è che la garanzia dell’impunità è assoluta per tutti i criminali di codesta specie. E codesta garanzia di impunità diviene necessariamente un incitamento a nuovamente delinquere, e di questo siete voi, signori del Governo, i responsabili.