Alla fine del 1925 nasce il figlio Paolo, ma poco più di un mese dopo Piero è costretto a lasciare l’Italia per sfuggire alla persecuzione fascista. Va in Francia, a Parigi, per proseguire il suo lavoro di editore, confidando nell’aiuto del suo amico Nitti, di cui aveva pubblicato alcune opere. Pochi giorni dopo il suo arrivo a Parigi cade ammalato e muore in pochi giorni. L’ultima lettera inviata a Ada è del 6 febbraio. Piero muore il 15. L’ultima lettera inviata a Torino è indirizzata ad una comune amica cui dice di non sentirsi bene e si raccomanda di non dire nulla alla moglie. Quando Piero partì da Torino, pieno di melanconia ma anche di speranza, Ada non poteva prevedere che non si sarebbero più visti. Lo rivide soltanto dopo che era morto. Avevano entrambi poco più che 25 anni. Ada non si lasciò dominare dal suo passato ardente, degli “anni di fuoco”. Mantenne accesa la fiaccola. O, se volete, la brace sotto la cenere (quella cenere sotto la quale erano state sepolte le “speranze d’Italia”) […]. Quando venne il tempo delle grandi decisioni, Ada prese parte attiva alla preparazione e poi allo svolgimento della guerra di liberazione. Militò nel Partito d’azione, che aveva nel suo programma la meta della restaurazione di una democrazia avanzata nel nostro Paese, ed era certamente il movimento che più di ogni altro poteva essere considerato l’erede del pensiero gobettiano. Ada svolse la sua principale attività in Val di Susa, ma fece della sua casa di via Fabro 6, dove era vissuta gli ultimi anni con Piero, un centro di incontri tra i militanti dei vari partiti e delle varie formazioni partigiane. Nella medaglia d’argento che le fu assegnata dopo la guerra si legge: «Partigiana combattente fu tra le prime donne che l’8 settembre organizzarono la lotta armata contro il nemico […]. Recatasi in Francia per una delicata missione presso il comando alleato non esitò ad affrontare una rischiosa attraversata alpina a più di tremila metri di quota prolungatasi per tre giorni. Sorpresa con i compagni e fatta segno di violento fuoco da una pattuglia tedesca, riuscì, con rara perizia alpinistica e sprezzo del pericolo, a sfuggire all’inseguimento nemico portando al sicuro i documenti di cui era latrice. A missione compiuta ritornò instancabile sull’itinerario percorso per rifornire di viveri e medicinali i compagni d’arme fermatisi per coprire la sua marcia. Fulgido esempio di suprema dedizione e fervido entusiasmo agli ideali di libertà e di patria».
Norberto Bobbio, Ricordo di Ada Gobetti, pubblicato per la prima volta in «Nuova Antologia», a. CXXI, vol. 555, fasc. 2160, ottobre-dicembre 1986, pp. 198-218.
Oggi, compiuto un decennio dalla Liberazione, nel rapido trascorrere e mutare degli eventi, anche la Resistenza, e tutto quello che allora confusamente sentimmo, e le istituzioni combattute e travolte in quei giorni memorandi, cominciano ad apparirci come passato, storicamente definibile. È forse giunto il momento del ripiegamento critico, dell’esame di coscienza: che non esclude, e anzi presuppone, la simpatia profonda per gli ideali che animarono la Resistenza, ma esige il consapevole distacco dall’opera compiuta, e ormai risolta senza residui nella realtà in cui viviamo. Come qualcuno ha detto, una storia giustificatrice e non giustiziera […] non si può intendere il movimento di liberazione senza studiare a fondo il fascismo, nelle sue istituzioni, nelle sue lontane scaturigini, nei suoi nessi con l’Italia prefascista, con lo Stato e la società da cui è nato.
Alessandro Galante Garrone, dal suo primo editoriale su «La Stampa» del 30 giugno 1955, ora in A. Galante Garrone, Per l’eguaglianza e la libertà, a cura di P. Borgna, F. Campobello e M. Vogliotti, Einaudi, Torino 2023, pp. 6-9.