Anzitutto è necessario prendere, rispetto alla Dittatura fascista, un atteggiamento diverso da quello tenuto fin qui. La nostra resistenza al regime dell’arbitrio deve essere più attiva; non cedere su nessun punto: non abbandonare nessuna posizione senza le più recise, le più alte proteste. Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati; lo stesso Codice riconosce la legittima difesa. Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all’Italia un regime di legalità e di libertà; tutto ciò che esso ottiene, lo sospinge a nuovi arbitrii a nuovi soprusi.

Da una lettera di Giacomo Matteotti a Filippo Turati, Roma, marzo-aprile 1924. La lettera fu scritta prima delle elezioni politiche del 6 aprile che, complice il premio di maggioranza stabilito dalla Legge Acerbo, assegnò ai fascisti un’ampia maggioranza parlamentare. Il 30 aprile maggio Matteotti denunciò alla Camera le violenze fasciste, le irregolarità e i brogli che avevano caratterizzato la consultazione elettorale. Il 1o giugno l’allora segretario del PSU fu rapito e ucciso dai fascisti, il suo corpo martoriato venne ritrovato solo il successivo 16 agosto a una ventina di chilometri da Roma.



Si vive in attesa di notizie, che arrivano da varie fonti, ma non sono quelle che si aspettano. Il povero Matteotti dov’è? È vivo o morto, fu seviziato, fu calato nel Tevere? Domande ossessionanti, che tolgono il sonno e il respiro. Povera sua moglie! Stamattina partirono le sue due sorelle per Roma e la presenza loro vi toglierà almeno l’inquietudine di sorvegliare quella povera donna, perché non commetta qualche atto disperato

Da una lettera di Anna Kuliscioff a Filippo Turati datata 13 giugno 1924, spedita da Milano tre giorni dopo il rapimento di Giacomo Matteotti, aggredito sul lungotevere Arnaldo da Brescia da un gruppo di fascisti guidati da Armando Dumini, stipendiato dall’ufficio stampa della presidenza del consiglio.  

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