Ma come era avvertito nella Resistenza il tema della nazione, dell’identità nazionale italiana? E, in particolare, come si poneva nel partito d’azione? Ne ho già parlato. Insisto perché nella negazione di una sensibilità nazionale degli italiani si vorrebbe coinvolgere anche la Resistenza. Ma proprio nella Resistenza, in tutte le sue componenti, la dimensione nazionale, specificamente italiana, fu esaltata al massimo. L’identità nazionale era stata smarrita dai fascisti, la si doveva recuperare. Le spinte unitarie così intense in quei mesi in ogni versante della vita, nei rapporti sociali e morali, civili e politici, ne sono la prova. Raramente ci siamo sentiti così insieme come allora. Siamo arrivati al punto che quando si dovette scegliere una parola per definire (anche nei rapporti burocratici) i resistenti, fu scelta la parola «patrioti». Naturalmente la patria dei resistenti era l’opposto di quella nazionalista del ventennio fascista. Il partito d’azione fu profondamente partecipe di questo recupero di un’identità nazionale.

Così Vittorio Foa, in Questo Novecento (Einaudi, Torino 1996), descriveva in modo tanto sintetico quanto preciso lo stato d’animo di chi aveva fatto la Resistenza e aveva riflettuto a fondo, anche tre le mura delle carceri fasciste (Foa vi rimase più di otto anni), su concetti e parole come libertà, identità, nazione, socialismo, antifascismo, autonomia, rivoluzione, democrazia e patria. Una parola, quest’ultima, su cui in Italia (e in buona parte del mondo) in questi ultimi anni si è discusso molto da parte di chi, nell’estrema destra, ha ritenuto di poter fare dimenticare la storia e affogare l’antifascismo e la Resistenza al nazifascismo in un oceano di bugie, banalità, equivoci (anche linguistici) e fraintendimenti. Qualcuno l’ha fatto perché del tutto incapace di riflettere utilmente su una materia fondamentale e in sostanza ignorata ma, con arroganza, ridotta a slogan privi di ogni fondamento. Altri, più pericolosi e ancor meno dignitosi, l’hanno fatto mentendo sapendo di mentire, nell’inutile tentativo di stravolgere il corso degli eventi e le fondamenta della democrazia. Ma, come spiegò proprio Foa al senatore del Movimento Sociale Italiano Giorgio Pisanò, la lotta tra fascismo e antifascismo non era stata un nobile scontro (anche armato) fra due campi diversi tra di loro ma altrettanto rispettabili. Disse Foa: «quando avete vinto voi io sono finito in carcere, quando abbiamo vinto noi tu sei diventato senatore della Repubblica italiana». È difficile spiegare in modo altrettanto efficace l’enorme differenza tra fascismo e antifascismo. E, nell’80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo, è opportuno ricordare che la libertà stava da una sola parte, quella dell’antifascismo. Una causa sposata da migliaia di giovani civili (uomini e donne), dai militari italiani internati nei campi di concentramento per essersi rifiutati di combattere al fianco dei nazisti e dei fascisti dopo l’8 settembre 1943, dai soldati degli eserciti che non solo in Europa combatterono contro i fautori dell’ordine nero, razzista e totalitario. Quel tipo di patria, intrisa di nazionalismo e populismo, di violenza e delirio di onnipotenza, era incompatibile con il rispetto dei diritti civili, politici e sociali, prerogativa delle democrazie basate sul pluralismo, sulla divisione dei poteri e sul rispetto del prossimo. Chiunque guardi con benevolenza a quei tempi, o per ignoranza o per condivisione dell’orrore, non conosce l’alfabeto del vivere civile.       

di Andrea Ricciardi      

Loading...