Prosegue la serie sulla storia della FIAP. Dopo aver esplorato le ragioni che portarono alla nascita dell’associazione e le traversie degli anni Cinquanta, con questo articolo si mettono a fuoco gli anni Sessanta. Nelle prossime due puntate, pubblicate sempre su “Lettera ai Compagni”, si affronteranno gli anni Settanta e gli anni Ottanta.

A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, il clima politico nel nostro paese iniziò a rasserenarsi. La fase più cupa della Guerra fredda lasciava spazio a maggiori possibilità di dialogo tra i partiti. A differenza di quanto avvenuto nel 1955, quando le organizzazioni combattentistiche non erano state coinvolte nelle manifestazioni per il Decennale della Resistenza, nel 1958, in occasione del decimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione, la Presidenza del Consiglio decise di estendere gli inviti anche alle «rappresentanze» delle «Associazioni partigiani».[1]

Come è spesso avvenuto nelle transizioni politiche dell’Italia post Seconda guerra mondiale, i cambiamenti ebbero bisogno di tempo per maturare. Di conseguenza, visto e considerato l’atteggiamento democristiano sul finire degli anni Cinquanta, fatto di prime aperture a sinistra ma anche di alcuni avvicinamenti al Msi, Parri decise di proporre la costituzione dei Consigli federativi della Resistenza: a suo avviso, avrebbero dovuto conferire la giusta centralità all’epopea partigiana nella lunga storia italiana.

Malgrado l’evidente propensione culturale, i Consigli federativi si trovarono coinvolti nelle vicende politiche dell’estate del 1960. Di fronte all’autorizzazione concessa al Msi per tenere il proprio congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, “Maurizio” e la Fiap non ebbero alcun dubbio sull’atteggiamento da tenere: si doveva scendere in piazza, sotto l’egida dei Consigli federativi della Resistenza, e affiancarsi agli altri centomila manifestanti. Bisognava battersi contro quelle forze, a partire dal Msi, che erano in netto «contrasto con la […] Repubblica» e con il contenuto della «Carta costituzionale».[2]

Oltre alla vitalità della Resistenza, gli avvenimenti dell’estate del 1960 dimostravano un altro aspetto: condiviso dal vasto panorama dei militanti delle organizzazioni partigiane e dei principali partiti politici, l’antifascismo era diventato il fulcro simbolico di un sistema politico che escludeva in modo drastico la destra neofascista. Con l’arrivo al potere del centro-sinistra il processo di legittimazione della Resistenza divenne esplicito.

Dopo che Scelba nel 1955 aveva deciso di escludere le organizzazioni partigiane dalle celebrazioni per il decennale, all’inizio degli anni Sessanta le associazioni partigiane vennero finalmente coinvolte nell’organizzazione delle celebrazioni per i vent’anni dalla Liberazione. Costituito per volontà del presidente della Repubblica Antonio Segni «un Comitato nazionale per la celebrazione del ventennale della Resistenza, con il compito di preparare e di organizzare le manifestazioni celebrative sul piano nazionale»,[3] Parri, e con lui la Fiap, ebbe un ruolo di primo piano in quella ricorrenza.

Al netto delle due celebrazioni maggiormente significative, quelle tenutesi, sempre a Milano, il 25 aprile con il tradizionale corteo da corso Venezia a piazza Duomo segnato dall’unità di tutte le forze politiche «che combatterono il fascismo»,[4] e il 9 maggio, quando all’adunata delle forze armate presero parte anche le «forze partigiane che parteciparono alla Resistenza»,[5] il carattere prettamente nazionale delle attività previste si evidenziò da due episodi specifici. In primo luogo, dalla cerimonia alle Fosse Ardeatine; in secondo, dalla trasmissione in diretta televisiva di un intervento di Parri in cui venne sottolineato soprattutto «lo sforzo autonomo di liberazione», un fatto «insieme popolare e nazionale», che tutti i cittadini italiani dovevano considerare alla stregua del «grande valore storico» della stagione resistenziale.[6]

Organizzato da soggetti dalla molteplice natura – il governo, la presidenza della Repubblica, le associazioni partigiane – il Ventennale della Resistenza dimostrò l’avvenuto superamento, nell’Italia degli anni Sessanta, di quella concezione che tendeva ad equiparare l’antifascismo al comunismo. Certo, il contesto era sicuramente migliorato. Ma non bisognava abbassare la guardia: la memoria storica della Resistenza doveva essere protetta, anche sconfessando quelle «generiche celebrazioni», come ad esempio «le visite ai cimiteri di guerra italiani in Grecia e in Africa», che di fatto unificavano «in una stessa cerimonia valori simbolici del tutto diversi come quelli relativi a guerre di conquista […] e alla nascita della resistenza popolare antifascista».[7]


[1] Lettera della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 17 febbraio 1958, in AINFP, FFN, s. 13 – Celebrazioni e commemorazioni, fasc. 7.

[2] Lettera della Segreteria nazionale, Roma, 28 luglio 1960, in AINFP, FFN, s. 7 – Corrispondenza, fasc. 11.

[3] Legge 12 marzo 1964, n. 128. Celebrazione nazionale del ventennale della Resistenza, in: http://www.normativait/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1964-03-12;128@originale (ultima consultazione il 9 maggio 2018).

[4] Possenti manifestazioni unitarie esaltano i valori della Resistenza, “L’Unità”, 26 aprile 1965.

[5] Lettera di Luigi Meda, Milano, 25 marzo 1965, in AINFP, FFN, s. 13 – Celebrazioni e commemorazioni, fasc. 8.

[6] Gli altri comizi, “Avanti!”, 27 aprile 1965.

[7] Una iniziativa di dubbio gusto, “Avanti!”, 5 maggio 1965.

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