Maria Rosa Cutrufelli, Maria Giudice. Vita folle e generosa di una pasionaria italiana, Neri Pozza editore, Vicenza 2024 (I° edizione Perrone, 2022)
Un gruppo di fotografie senza cornice: protagonista una donna quasi mai da sola, attorniata da operai, contadini, compagni di lotta, figli. Immagini che fanno da filo conduttore in un racconto appassionato, e che ci permettono di guardare finalmente negli occhi una protagonista del socialismo italiano: una donna battagliera e indomita, ben conosciuta tra le fila dei militanti d’inizio Novecento, molto amata dalla base, una dirigente sindacale e politica. Ma “sorprendentemente” finita nel dimenticatoio della storia.
Maria Giudice è stata riscoperta negli ultimi anni soprattutto perché madre di Goliarda Sapienza, l’autrice del romanzo L’Arte della Gioia, oggi finalmente riconosciuta come una delle figure maggiori della letteratura italiana del Novecento. Maria però ha una storia autonoma, importante seppure dimenticata similmente a quella di molte donne dell’Italia dei primi del Novecento. Le centinaia e centinaia di socialiste, femministe, cattoliche, ebree, laiche dell’Italia pre-fascista, militanti a tutto tondo, dedite all’avanzamento sociale culturale politico del paese, la cui presenza è stata per lunghissimo tempo messa tra parentesi, quasi si trattasse di eccentriche eccezioni. Maria Rosa Cutrufelli, in un passaggio illuminante su Maria Giudice, scrive: la «fama di eccentrica la seguirà lungo l’intero corso della sua vita e oltre. Non solo gli amici e i nemici di allora, anche gli storici dei giorni nostri la presentano per lo più come un personaggio singolare. Una protagonista di spicco della storia dal basso, d’accordo, ma cos’è mai questa storia dal basso? Una storia minore e quindi eccentrica per definizione. Cioè distante dal centro» (p. 45). Eppure, basta uno sguardo per accorgersi di quanto le donne, e Maria Giudice tra loro, fossero presenti, ascoltate, amate e rispettate dai militanti, efficaci propagandiste ed organizzatrici, indispensabili presenze politiche tra operai, contadini, donne e uomini della classe operaia italiana.
Il libro di Maria Rosa Cutrufelli, dal bellissimo ed evocativo titolo e da poco ripubblicato da Neri Pozza, ripercorre dunque, grazie al filo conduttore di un pugno di fotografie, la vita folle e generosa di Maria Giudice (1880-1953) intrecciandone le vicende individuali con la storia degli anni tra la fine del XIX secolo e l’avvento del fascismo, gli anni cioè della grande trasformazione industriale del paese e della nascita di una classe operaia e contadina cosciente di sé. Di famiglia modesta, figlia di un repubblicano mazziniano e di una cattolica amante della letteratura e della scrittura, studia per diventare maestra e, sin da giovanissima, si avvicina al socialismo. Il suo essere maestra, se da un lato le consente di lavorare e poter contare su uno stipendio, dall’altro è uno strumento di crescita e di lotta: svegliare le coscienze, istruire, portare la conoscenza alle classi popolari, è uno dei compiti primi del socialismo. L’attività politica la conduce a spostarsi in lungo e in largo, ad organizzare agitazioni, tenere comizi, redigere giornali, dirigere Camere del Lavoro a Voghera, Borgo San Donnino, Torino. Qui diventa, inoltre, Segretaria della Federazione torinese del PSI e direttrice del giornale “Il Grido del Popolo”, incarico poi passato ad Antonio Gramsci con il quale – va ricordato – le diverse posizioni fanno fiorire continui battibecchi. Come giornalista, scrive incessantemente per innumerevoli testate socialiste, tra cui “La Difesa delle Lavoratrici”, ideata e diretta da Anna Kuliscioff. Tra le due il rapporto è tutto tranne che idilliaco e se la Kuliscioff non stima Maria ritenendola poco equilibrata, a sua volta Maria non ha grande ammirazione per la donna “più importante del socialismo italiano”. Controllata dalla polizia, più volte denunciata e messa sotto processo, Maria è costretta ad espatriate in Svizzera dove, sola e incinta del suo primo figlio, incontra un’altra donna dalla storia intensa e formidabile: Angelica Balabanoff, l’esule di origine ucraina che diventerà sua carissima amica. Sempre in Svizzera conosce Lenin e un giovane Mussolini, che le fa una pessima impressione e per il quale proverà sempre una fortissima antipatia (reciproca). Anche Milano vede la presenza della Giudice: è infatti maestra presso le scuole elementari di Musocco (roccaforte socialista alle porte della città) da cui viene però licenziata nel 1916 a causa delle sue posizione di intransigente pacifista. Nella sua vita piena e avventurosa c’è tuttavia grande spazio per l’amore e gli affetti: dalla lunga relazione con l’anarchico/socialista Carlo Civardi nascono ben sette figli. I due non si sposano per scelta, spesso sono lontani per motivi legati alla militanza, ma la loro unione è forte e libera. Con lo scoppio della Grande guerra, tuttavia, il disaccordo tra Maria e Carlo diviene totale: al pacifismo assoluto di lei, si contrappone l’interventismo di lui, cui si accompagna una crescente ammirazione per Mussolini, intollerabile per Maria. La morte di Carlo al fronte, nel 1917, chiude violentemente e tragicamente il rapporto. Rimasta sola a dover provvedere ai figli, Maria non abbandona per questo la militanza e, di nuovo, si trova a dover affrontare processi e prigione per le posizione “disfattiste” assunte durante la guerra e, in particolare, durante gli scioperi di Torino del 1917, dove lotta al fianco di Umberto Terracini. Nel dopoguerra la sua militanza si fa sempre più intensa. Il partito le chiede di recarsi in Sicilia, dove il grande movimento dell’occupazione delle terre richiede presenze forti e capaci. Qui, dove la mafia uccide i sindacalisti, i sindaci e i leader dei braccianti, Maria (soprannominata dal popolo “Sammaritana”) continua imperterrita a battersi, comprendendo da subito la pericolosità assoluta del fascismo e del suo leader, quel Mussolini di cui continua ad avere una pessima opinione. In Sicilia incontra Giuseppe Sapienza, avvocato (l’avvocato dei poveri) e figura di spicco del socialismo siciliano, con il quale forma una nuova grande famiglia dove c’è spazio e affetto per tutti: i figli di Maria, i figli di Giuseppe e i figli che avranno insieme. L’avvento del fascismo la obbliga, di fatto, ad abbandonare la politica e l’attivismo: Maria scivola in una dolorosa solitudine, amputata di una parte così rilevante e densa di significato della sua vita, a cui si aggiungono i numerosi e tragici lutti che coinvolgono i figli. Si dedica alla lettura, allo studio dei greci e dei latini e, soprattutto, all’amatissima ultima figlia, Goliarda, che segue a Roma agli inizi degli anni Quaranta. Qui l’intera famiglia Giudice-Sapienza sarà attivamente coinvolta nella Resistenza contro il nazifascismo.
Maria Rosa Cutrufelli, dunque, con una scrittura calda e piena di passione, ci restituisce il ritratto di una donna libera, capace, a tratti ruvida e intransigente. Con lei, riscopriamo il valore inestimabile delle battaglie condotte dalle italiane prima che il regime fascista facesse tabula rasa delle conquiste di libertà relegando le donne al ruolo di spose, madri, casalinghe, tuttalpiù amanti. Ancora una volta il fascismo si rivela una cesura tragica, individuale e collettiva, capace di oscurare – ben oltre la disfatta del regime – il contributo fondamentale e originale delle donne in quel magma ribollente di trasformazioni che fu la storia dei primi venti anni del Novecento. Maria Giudice, folle e generosa pasionaria oggi ritrovata, torna dunque a pieno titolo – insieme a infinite altre – nella nostra genealogia di libertà.
di Paola Signorino