Dopo la Liberazione, con il crescente entusiasmo popolare, si presentarono i problemi che, da più parti, erano stati ipotizzati durante la Resistenza. Il ministro del Tesoro Marcello Soleri (liberale), già all’inizio di aprile, con l’obiettivo di reperire fondi in una fase così delicata in vista della ricostruzione che si presentava difficile, aveva promosso il “prestito della liberazione” nelle regioni centro-meridionali. Il provvedimento fu quindi esteso alle regioni del Nord e portò alla raccolta di ben 106 miliardi di lire attraverso l’emissione di buoni del tesoro a scadenza quinquennale, a un tasso d’interesse del 5%. Il provvedimento ebbe dunque successo e, unitamente a una prima ripresa dell’apparato fiscale, alle minori spese per le forze armate e per le colonie, migliorò la situazione finanziaria di uno Stato in fase di riorganizzazione. Sul piano prettamente politico, il II Governo Bonomi non godeva di buona salute. Si era insediato il 12 dicembre 1944 e, pur accettato dai comunisti e dalle componenti più moderate del CCLN, era stato osteggiato fin dalla nascita dal Pd’A e dal PSIUP che, infatti, erano passati all’opposizione. In un primo tempo, dopo le dimissioni di Bonomi del 25 novembre a causa di contrasti interni ai partiti ciellenisti, era stato proposto come nuovo capo del governo Sforza ma, a causa del veto degli inglesi, la candidatura di Bonomi aveva ripreso quota. Già allora le questioni sul tappeto erano importanti: le forze antifasciste non erano allineate tra di loro sull’epurazione delle amministrazioni né sulla proposta di risolvere la questione istituzionale attraverso un referendum popolare. Ma, non proprio sullo sfondo, vi era il tema del ruolo (presente e futuro) dei CLN a proposito del quale il Pd’A, il 30 novembre, dalle colonne del suo organo «L’Italia libera», con una lettera aperta aveva sollecitato una presa di posizione degli altri partiti ciellenisti. Non può stupire, quindi, se il 5 maggio 1945 una delegazione del CLNAI composta da Arpesani, Pertini, Morandi, Sereni, Valiani e Marazza si recò a Roma per una serie di consultazioni con Bonomi e con il CCLN. La delegazione si trattenne nella Capitale fino al 14, ma non si riuscì a ricostruire un terreno d’azione veramente comune. Era necessario che le varie forze ritrovassero l’unità che, tuttavia, era molto difficile da mantenere intorno a Bonomi, uomo per certi aspetti divisivo e, anche a detta di Croce, alquanto debole rispetto innanzitutto ai voleri degli Alleati e degli inglesi in particolare.
L’8 maggio, con la resa della Germania, la guerra terminò in Europa. Il 2 maggio, i tedeschi si erano arresi ai sovietici a Berlino, tre giorni dopo il suicidio nel bunker di Hitler ed Eva Braun. Il III Reich tramontava definitivamente ma molti nazisti, nonostante il successivo processo di Norimberga, scamperanno non solo alla morte ma anche ai processi. Criminali di guerra come il dottor Josef Mengele (soprannominato l’angelo della morte), ideatore dei più atroci “esperimenti” sui prigionieri detenuti ad Auschwitz, in particolare su circa 3000 bambini, si rifugiò in Argentina (https://www.fattiperlastoria.it/vita-morte-esperimenti-mengele/), il paese nel quale si trasferì la maggior parte dei nazisti grazie all’ormai celebre Operazione Odessa. Un’operazione a tutt’oggi avvolta nel mistero, almeno per certi aspetti, nonostante la produzione di una bibliografia ormai abbastanza ampia, di documentari, di articoli diffusi attraverso il web (https://www.raiplay.it/video/2019/07/Odessa-fra-mito-e-realta—La-Grande-Storia-d2206af5-a961-41eb-aad9-ebb97697e384.html e, solo come esempio, https://it.insideover.com/schede/storia/operazione-odessa-fuga-nazisti.html).
Il 9 e il 10 maggio, prima la DC e poi il PSIUP attraverso Nenni avanzarono la proposta di un nuovo governo a conferma del fatto che il tempo di Bonomi era finito. Il governo, dopo aver stabilito la possibilità di assunzione dei partigiani nella polizia e nell’esercito al fine di favorire il loro reinserimento nella società, dovette anche confrontarsi con una vicenda molto delicata: l’ingresso di truppe francesi in Val d’Aosta nelle valli del Tenda e di Susa il 14 maggio. Gli anglo-americani le avrebbero costrette al ritiro, ma l’episodio (figlio di un progetto di annessione francese caldeggiato da De Gaulle) si sarebbe risolto in un nulla di fatto anche per l’impegno di Federico Chabod, divenuto rappresentante del Pd’A nel CLN della regione e fautore di un particolare regime di autonomia della Val d’Aosta all’interno dello Stato italiano. Il mese, riguardo alla politica interna, si chiuse con una lettera scritta da Cattani (segretario del PLI) agli altri partiti antifascisti in cui si esplicitò una posizione nettamente ostile alla trasformazione dei CLN negli organismi costitutivi del nuovo Stato (la tesi del Pd’A) e si mostrò preoccupazione per l’ordine pubblico. Il 29 maggio, dunque, coincise con un segnale chiaro da parte della componente moderata del governo a favore della continuità dello Stato più che di una sua profonda trasformazione.
Giugno, dieci giorni dopo la divisione in due della Venezia Giulia, che avrebbe aperto un lungo e drammatico contenzioso tra Italia e Jugoslavia, regalerà un nuovo governo: quello di Parri. Ma presto le speranze di rinnovamento radicale, di cui il Pd’A in primis era stato espressione, lasceranno spazio a una sorta di rassegnazione determinata, da un lato, dal realismo politico dei comunisti e, dall’altro, (soprattutto) dalla tendenza alla conservazione socio-economica da parte dei moderati. Una tendenza coerente con i timori degli Alleati, orientati a “stabilizzare” l’Italia post fascista nell’ottica di controllarla all’interno del nuovo ordine europeo e mondiale che si andava delineando. Il mantenimento della pace e della sicurezza sarà affidato all’ONU, nato a San Francisco il 26 giugno 1945, cinque giorni dopo l’insediamento del Governo Parri. In teoria il Pd’A, con uno dei suoi più prestigiosi e autorevoli dirigenti che era stato a capo della Resistenza, era giunto a guidare il paese per primo dopo la Liberazione e la fine della guerra in Europa, suscitando speranze anche in molti militanti di altri partiti. In pratica, proprio in quella fase si sarebbe vissuto il canto del cigno della rivoluzione democratica, incentrata sui CLN e principale cavallo di battaglia dello stesso Partito d’Azione, avviato verso una crisi irreversibile.
di Andrea Ricciardi