Luglio 1963-luglio 1964.
Tra speranze e illusioni
Tra il 5 e l’11 luglio 1963, il Senato e la Camera accordarono la fiducia al Governo Leone, un monocolore democristiano passato alla storia come “governo balneare”. Il suo obiettivo, dopo le elezioni politiche di giugno, era di garantire l’ordinaria amministrazione in seguito al fallimento (il precedente 17 giugno) delle trattative per la formazione del primo governo di centro-sinistra “organico”. La sinistra della corrente autonomista del PSI, guidata da Riccardo Lombardi, aveva rifiutato i termini dell’accordo tra Nenni e Moro per far nascere un nuovo esecutivo di autentica svolta, una sorta di cesura epocale attesa da tempo. Il leader del PSI aveva rassegnato le dimissioni (respinte), dimostrando che i socialisti (non solo la corrente di sinistra che fondò poi il PSIUP) non avevano fornito un’interpretazione univoca del dialogo con la DC. E che, dal punto di vista strategico, anche all’interno della corrente maggioritaria che più aveva spinto per un mutamento del quadro di governo, in linea con le istanze del PRI di Ugo La Malfa e della maggioranza del PSDI, non esisteva una reale uniformità di vedute sui programmi del centro-sinistra nascente e sulla capacità d’incidere da parte della sinistra cattolica sulla corrente dorotea, al vertice della DC.
Un anno dopo, e precisamente il 22 luglio 1964, sarebbe nato il II Governo Moro senza la conferma di Antonio Giolitti come ministro del Bilancio, con Lombardi dimissionario dalla direzione de «l’Avanti!» e un programma chiaramente ridimensionato, a cominciare dalla riforma urbanistica vista come fumo negli occhi dai conservatori e dagli affaristi, ostili a ogni forma di governo del territorio nell’interesse generale. Il mantenimento del quadro di governo fu pagato a caro prezzo dal PSI. Nenni avrebbe scritto del «tintinnar di sciabole», alludendo al sinistro Piano Solo emerso nel maggio del 1967 grazie a un’inchiesta de «L’Espresso», e vari sostenitori del centro-sinistra (compreso Ferruccio Parri) avrebbero via via perso gran parte della loro fiducia nei confronti dello stesso Nenni e del nuovo corso politico. Fu, quella della nascita del II Governo Moro a determinate condizioni, una strada obbligata per salvaguardare la fragile democrazia italiana da rigurgiti autoritari ispirati dall’atlantismo oltranzista oppure i conservatori (per non dire reazionari) puntarono sulla paura di Nenni e della maggioranza autonomista del PSI per favorire una linea “moderata”, più che avere nel cassetto un vero e proprio progetto di colpo di Stato per bloccare le riforme più qualificanti del centro-sinistra?
La storiografia discute da decenni dei contorni del Piano Solo, del ruolo del generale De Lorenzo (allora comandante generale dei carabinieri e già capo del SIFAR dal 1955 al 1962, poi deputato del PDIUM e dell’MSI), della linea incarnata dal Presidente della Repubblica Antonio Segni, dell’atteggiamento degli Stati Uniti e dei vertici europei nei confronti del centro-sinistra, dell’influenza della Guerra fredda sul quadro politico nazionale. In questa sede non è certo possibile riassumere l’ampio dibattito e dar conto delle tante variabili che, allora, determinarono quell’esito. Non si può stabilire con certezza se il II e il III Governo Moro, nato nel 1966, furono davvero funzionali alla realizzazione di un progetto riformista serio, e quindi incisivo, nei settori più importanti della vita pubblica o se costituirono più un’occasione mancata per la modernizzazione dell’Italia. Si può però ricordare che nello stesso 1963, proprio mentre stava nascendo il centro-sinistra “organico” a cui, per ragioni antitetiche, si opposero PCI e PLI, scomparvero due figure di assoluto rilievo nello scenario mondiale come Giovanni XXIII e il Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, sostenitori del nuovo quadro di governo in Italia.
Giovanni XXIII, il “Papa buono”, aveva aperto l’11 ottobre 1962 il Concilio ecumenico Vaticano II (annunciato il 22 gennaio 1959) e, nell’aprile 1963, aveva scritto la sua seconda enciclica, dopo Mater et Magistra del maggio 1961: Pacem in Terris. Questa enciclica, che fu accolta con grande entusiasmo in tutto il mondo, era incentrata sui problemi della pace e, in tempi molto difficili come quelli attuali, vale forse la pena di ricordarne qualche passo. Scriveva, tra l’altro, Giovanni XXIII sul problema dei profughi politici:
vi sono regimi politici che non assicurano alle singole persone una sufficiente sfera di libertà, entro cui al loro spirito sia consentito respirare con ritmo umano … Non è superfluo ricordare che i profughi politici sono persone, e che a loro vanno riconosciuti tutti i diritti inerenti alla persona: diritti che non vengono meno quando essi siano stati privati della cittadinanza nelle comunità politiche di cui erano membri.
E sul disarmo:
è pure doloroso constatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuino a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre comunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioni indispensabili al loro sviluppo economico e al loro progresso sociale.
La Guerra fredda è finita da molto tempo ma, a ben vedere, le guerre combattute non sono diminuite e il mondo non sembra essere esattamente un luogo sicuro. I migranti, politici ed economici, non si vedono riconosciuti i più elementari diritti, a cominciare da quello alla vita. Gli anni Sessanta del Novecento produssero speranze e illusioni, da cui nacquero anche importanti mutamenti concreti nelle società, figli delle riforme della politica e della partecipazione delle persone alle battaglie per l’ampliamento dei diritti civili, politici e sociali. Sarà bene ricordare, tenendo presenti le parole di Giovanni XXIII, di Kennedy e dei leader politici più coraggiosi e illuminati, che il cambiamento non è favorito soltanto dal “realismo”, ma anche dalla speranza di un diverso mondo possibile e dalla ferma volontà di inseguirlo.