Nonostante le grottesche acrobazie verbali di Giorgia Meloni, dei ministri del suo governo e dei dirigenti di Fratelli d’Italia, la storia del nostro paese continua ad essere ignorata o, sarebbe meglio dire, volutamente travisata da un’estrema destra che non ha discusso in alcun modo le proprie radici (la Repubblica Sociale Italiana alleata di Hitler) e per la quale fascismo e neofascismo non sono concetti rilevanti nel dibattito pubblico. Anzi sono parole scomode, da non pronunciare, polvere da mettere sotto il tappeto dell’indifferenza. Di fronte al 50° anniversario della strage di Piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974, otto morti e centodue feriti), l’esecutivo ha brillato per la sua assenza. Fino al pomeriggio inoltrato, sul sito del governo non vi era alcuna comunicazione che ricordasse la strage e le vittime. In serata la “svista” è stata corretta, ma le parole fascista e neofascista (la matrice non è da tempo materia di discussione) ancora una volta non sono comparse. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dal Teatro Grande di Brescia, al contrario dei vertici dell’esecutivo, ha pronunciato parole chiare su quel terribile attentato, parte integrante della strategia della tensione. Nel suo discorso, seguito da migliaia di persone tramite un maxi-schermo proprio in Piazza della Loggia, Mattarella ha ricordato che con le bombe «si volevano fermare le conquiste sociali e politiche» del secondo dopoguerra e che gli autori delle stragi intendevano tornare al passato, cioè al fascismo, aggiungendo che la galassia eversiva dell’estrema destra «si nutriva di giovani manovrati, di militanti violenti, di ideologi raffinati e perversi», oltre che «di una oscura rete di complicità costituita da silenzi, benevolenze, omissioni, coperture». La democrazia, ha ricordato Mattarella, è stata minata anche dal terrorismo rosso anzi, secondo le parole del presidente, la «strategia del terrore» si basava proprio sugli «opposti estremismi». La storiografia ha fatto molti passi avanti negli ultimi decenni ma, se l’appoggio dei servizi segreti all’eversione di destra è stato provato a più riprese, non è ancora chiaro se lo stesso trattamento sia stato riservato alle Brigate Rosse. Al momento un diretto sostegno non è stato dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, dunque di fronte ai terrorismi i settori “deviati” dello Stato hanno avuto, fin dalla genesi dei due fenomeni, un atteggiamento non proprio sovrapponibile. Ma gli storici (e la magistratura) non hanno smesso di indagare il passato e, nonostante sia trascorso molto tempo dai cosiddetti anni di piombo, non è mai tardi per fare chiarezza su mandanti ed esecutori di crimini terribili che, fino alla metà degli anni Ottanta (con qualche tragico seguito), hanno fiaccato la Repubblica democratica senza tuttavia riuscire a farla crollare. I “padri nobili” dell’estrema destra italiana, vale la pena di ricordarlo, non si riconoscevano nella Resistenza e nell’antifascismo. Sarà per questa semplice ragione che i loro eredi, un po’ furbi e fintamente smemorati, governano stando attenti a far dimenticare le loro radici ideologico-culturali così distanti da milioni d’italiani, compreso il Presidente Mattarella. Lo stesso vale per Liliana Segre che, dai banchi del Senato, il 15 maggio scorso ha criticato aspramente il progetto di riforma costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri il 30 ottobre 2023. Ha detto, tra l’altro, la senatrice a vita scampata alla Shoah:
continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una vera necessità nel nostro Paese […]. Continuo anche a ritenere che occorrerebbe impegnarsi per attuare la Costituzione esistente. E innanzitutto per rispettarla. Confesso, ad esempio, che mi stupisce che gli eletti dal popolo – di ogni colore – non reagiscano al sistematico e inveterato abuso della potestà legislativa da parte dei Governi, in casi che non hanno nulla di straordinariamente necessario e urgente. Ed a maggior ragione mi colpisce il fatto che oggi, di fronte alla palese mortificazione del potere legislativo, si proponga invece di riformare la Carta per rafforzare il già debordante potere esecutivo […] a mio giudizio, il disegno di riforma costituzionale proposto dal governo presenta vari aspetti allarmanti, non posso e non voglio tacere […] l’inedito inserimento in Costituzione della prescrizione di una legge elettorale che deve tassativamente garantire, sempre, mediante un premio, una maggioranza dei seggi a sostegno del capo del capo del governo, fa sì che nessuna legge ordinaria potrà mai prevedere una soglia minima al di sotto della quale il premio non verrà assegnato. Paradossalmente, con una simile previsione la legge Acerbo del 1923 sarebbe risultata incostituzionale perché troppo democratica, visto che l’attribuzione del premio non scattava qualora nessuno avesse raggiunto la soglia del 25% […]. Ulteriore motivo di allarme è provocato dal drastico declassamento che la riforma produce a danno del Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato infatti non solo viene privato di alcune fondamentali prerogative, ma sarebbe fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un Presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare […]. Nessun sistema presidenziale o semi-presidenziale consentirebbe una siffatta concentrazione del potere; anzi, l’autonomia del Parlamento in quei modelli è tutelata al massimo grado. Non è dunque possibile ravvisare nella deviazione dal programma elettorale della coalizione di governo – che proponeva il presidenzialismo – un gesto di buona volontà verso una più ampia condivisione. Al contrario, siamo di fronte ad uno stravolgimento ancora più profondo e che ci espone a pericoli ancora maggiori […] sia l’obiettivo di aumentare la stabilità dei governi sia quello di far eleggere direttamente l’esecutivo si potevano perseguire adottando strumenti e modelli ampiamente sperimentati nelle democrazie occidentali, che non ci esporrebbero a regressioni e squilibri paragonabili a quelli connessi al cosiddetto “premierato”. Non tutto può essere sacrificato allo slogan “scegliete voi il capo del governo!”. Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate.
Quando la Presidente del Consiglio Meloni dice di lavorare non per sé e il suo governo ma per il futuro dell’Italia, la sensazione è che lo faccia (non si sa quanto involontariamente) guardando a un passato molto inquietante e, forse, non così remoto come ha fin qui sperato chi ha combattuto per la libertà ricordandosi, sempre, di fornire il giusto peso alle ricorrenze. Non certo per amore di retorica, ma per rinforzare le fondamenta del vivere civile. Nel nostro paese quelle fondamenta sono rappresentate dall’antifascismo che, dopo la Resistenza e nel ricordo delle molte vittime della violenza fascista e della guerra di Mussolini, ha prodotto la Costituzione repubblicana. È augurabile che nel prossimo futuro il binomio democrazia-antifascismo, su cui rinacque la nostra patria, non lasci il posto a un altro binomio di cui, purtroppo, si avvertono già diversi segnali: democratura-afascismo.
di Andrea Ricciardi