L’Occidente è rimasto per lungo tempo affascinato dalla caduta del muro di Berlino del 1989 e dalle sue implicazioni storiche, politiche e “romantiche”. I nostalgici del comunismo hanno visto in questo evento la fine di un’epoca, considerandolo lo spartiacque tra presente e passato. Eppure, quello che è successo in Russia a partire dagli anni ’90 è stato forse più complesso, interessante e ancora poco esplorato dalla letteratura e dal cinema.

A questo proposito può esserci d’aiuto il film dedicato alla biografia di Èduard Limonov, diretto da Kirill Serebrennikov, scritto da Pawel Pawlikowski, Ben Hopkins e Kirill Serebrennikov e basato sul romanzo “Limonov” di Emmanuel Carrère. Il lungometraggio è stato presentato in anteprima al 77º Festival di Cannes e nel cast, insieme all’attore protagonista Ben Whishaw, troviamo Viktorija Mirošničenko, Tomas Arana, Corrado Invernizzi ed Evgenij Mironov.

Un film dal ritmo serrato, che prova a contenere l’incontenibile percorso di un uomo quanto mai controverso che passa attraverso più mondi e più epoche. Per capire chi è Limonov riportiamo di seguito un breve brano, tratto proprio dal prologo del romanzo di Carrère:

è stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna…

Lo spettatore avrà quindi l’occasione di ripercorrere la vicenda umana, artistica e politica del romanziere e poeta russo che amava le belle donne, era sempre pronto alla lotta armata, e odiava a morte il connazionale ed esule Aleksandr Isaevič Solženicyn (l’anticomunista famoso per il libro Arcipelago Gulag), in un viaggio attraverso la Russia, l’America e l’Europa durante la seconda metà del Novecento.

Limonov*, all’anagrafe Ėduard Veniaminovič Savenko, nato a Dzeržinsk il 22 febbraio 1943 e morto a Mosca il 17 marzo 2020, è oggi ricordato perlopiù come scrittore, poeta e politico russo. I suoi scritti autobiografici riscossero un discreto successo in Francia e Russia, mentre come attivista ha preso parte alla guerra civile jugoslava a fianco dei serbi.

In seguito è stato leader e fondatore, con Aleksandr Dugin, del Partito Nazional Bolscevico, movimento socialista impegnato per il riconoscimento dei diritti costituzionali e poi messo al bando dalle autorità. Infine, Limonov è stato tra dei leader del blocco politico L’Altra Russia, un’alleanza trasversale antigovernativa, insieme all’ex campione mondiale di scacchi Garri Kasparov, rappresentando un avversario per Vladimir Putin ma anche dei neocomunisti.

Fin qui si dovrebbe già intuire la difficoltà di ricostruire sul grande schermo la vita di un personaggio simile, e se il romanzo di Emmanuel Carrère, scrittore di fama molto stimato in Europa, ha dato un grosso contributo alla riscoperta del personaggio, ci sentiamo in obbligo di dire che il film, pur con soluzioni di regia geniali e una buona capacità di intrattenimento, non riesce a raggiungere a pieno l’obbiettivo. Si preferisce soffermarsi sugli aspetti libertini e scandalistici di Limonov, nella prima parte della sua vita, e si arriva alla fine concedendo solo poco spazio agli anni che lo videro leader politico, in un contesto caotico e in continua evoluzione. Anni che, come accennato all’inizio, sono stati ancora poco studiati dagli storici e poco “digeriti” dall’opinione pubblica. A fare da contorno a questo periodo che in Russia dura praticamente 30 anni ci sono infatti la dissoluzione dei blocchi comunisti, la crisi economica del ’98, i conflitti in Cecenia, Georgia e Crimea, l’ascesa di Putin e il nuovo assetto degli Stati satelliti sotto l’influenza Russa. Infine la graduale trasformazione del paese in una dittatura che a tutt’oggi si tiene su una retorica di Stato composta da una miscela di nazionalismo, sovietismo, omofobia, machismo e diffidenza per l’Occidente: antinazismo di facciata e fascismo nei fatti.

Un regime che in quegli anni iniziava a soffocare gli oppositori (definiti nemici della patria e spie dell’Occidente) e a creare un esercito funzionale alla difesa del potere, con una fortissima gerarchia interna. Lo raccontava con forza e con un coraggio impressionante la giornalista Anna Politkovskaja nel suo libro d’inchiesta La Russia di Putin** e in altri lavori, prima di essere assassinata a Mosca nel 2006.

Ed oggi che vediamo in modo evidente il risultato di questo periodo infausto, alcuni, come il giornalista Ian Garner*, analizzando in un suo libro inchiesta la generazione Z , in cui la “Z” è il simbolo del bellicismo russo – abbreviazione di vittoria – riflettono su come questi “figli di Putin”***, oggi ventenni, non abbiano mai avuto rapporti con l’Occidente democratico, prigionieri in una bolla di mistificazione mediatica e culturale in cui i social network controllati dal regime e i media di Stato sono l’unica voce di riferimento a disposizione.

Vedere Limonov, quindi, sarà un’ottima occasione per capire cosa succedeva in quei territori, tutto sommato abbastanza vicini a noi, mentre L’Europa e l’Occidente assistevano distrattamente a tutti questi eventi epocali. Più interessati forse al tema dell’approvvigionamento energetico – di cui la Russia è storico partner dell’UE per il Gas – che ai pericoli imminenti per la democrazia.

* Lo pseudonimo “Limonov” deriva dal vocabolo russo лимон (traslitterazione: limon, limone) ed è correlato a лимонка (limonka, espressione gergale per la bomba a mano, che compare sullo stemma del partito L’Altra Russia). Gli venne dato dagli amici artisti per il suo stile corrosivo, a tratti esplosivo. Fonte Wikipedia.org

** La Russia di Putin di Anna Politkovskaja, edizione italiana Adelphi 2005.

*** Figli di Putin di Ian Garner, edizione italiana Linkiesta Books 2024.

di Alessandro Calisti

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