Se in molte persone è ancora viva l’idea che i militari italiani, durante la Seconda guerra mondiale, si siano comportati sempre da “brava gente” (non fu così soprattutto in Africa e in Jugoslavia), ancor più urticante è la leggenda secondo la quale il fascismo, fino al 1938 e all’entrata in guerra, sia stato un regime autoritario guidato da uno statista capace e, per quanto discutibile, tutt’altro che criminale. In realtà, fin dalla sua genesi, il fascismo è stato incentrato sulla violenza e sulle discriminazioni, giustificate da odiose forme di razzismo nei confronti di varie categorie di persone. Le leggi razziali antiebraiche del settembre 1938, approvate un mese dopo la nascita del quindicinale La difesa della razza diretto da Telesio Interlandi, furono una delle più grandi vergogne del totalitarismo fascista. Gli ebrei stranieri furono espulsi, a quelli italiani fu tolta la cittadinanza se ottenuta dopo il 1918 e fu impedito di insegnare nelle scuole statali di ogni ordine e grado. Ai bambini e ai ragazzi fu vietato di frequentare le scuole, essi sparirono da quelle secondarie e furono raggruppati in sezioni speciali nelle elementari. Numerosissime le testimonianze di femmine e maschi che dovettero, improvvisamente, cambiare vita senza capire i motivi di questi traumi, in parte provati anche da chi, non essendo ebreo, vide scomparire compagne e compagni di classe con cui aveva sviluppato un rapporto di amicizia, spesso profonda, nell’età dell’innocenza.

I decreti antisemiti, con i quali Mussolini si conformò ad Hitler l’anno prima della firma del Patto d’acciaio, non si fermarono a quel settembre. Infatti, a novembre, il Consiglio dei ministri ne varò un altro con il quale, in applicazione delle direttive emanate a ottobre dal Gran consiglio del fascismo, furono vietati i matrimoni di “razza mista”. Gli ebrei, inoltre, furono esclusi del servizio militare. Fu impedito loro di ricoprire cariche pubbliche, oltre che di lavorare nelle pubbliche amministrazioni. Furono decise limitazioni nell’esercizio delle attività economiche, cosa che rese la vita quasi impossibile a migliaia di persone. Vennero contemplate eccezioni per gli ebrei che si erano “distinti” nelle vicende della vita nazionale (mutilati delle varie guerre e iscritti al PNF della prima ora): costoro e i familiari potevano presentare al ministero degli Interni una domanda di “discriminazione”, affinché fossero esclusi dai divieti inerenti alle proprietà e alle attività economiche. Un’umiliazione per chi, rispetto allo Stato italiano, non aveva assunto alcun comportamento passibile di denuncia. Nel febbraio del 1939 furono ufficialmente ritirati dal commercio i libri di autori ebrei e antifascisti, nel quadro delle iniziative per una grottesca “bonifica culturale” della nazione.

Durante la guerra tutto peggiorò, soprattutto dopo la celebre Conferenza sulle rive del lago di Wansee (presso Berlino) del 20 gennaio 1942. In quella circostanza, in una riunione tra alcuni membri di punta del III Reich, compresi Reinhard Heidrich e Adolf Eichmann, fu organizzata “la macchina dello sterminio”, cioè la cosiddetta soluzione finale che prevedeva il massacro di undici milioni di ebrei nei vari paesi europei. Le deportazioni nei campi di sterminio, come documentato dal ritrovamento da parte degli statunitensi nel 1947 di uno scritto di Eichmann di una quindicina di pagine, non privo di ambiguità anche dal punto di vista terminologico (si parlava solo di “evacuazione”, “trattamento”, “riduzione”), furono avviate definitivamente quel giorno nel rispetto dei programmi esplicitati precedentemente da Adolf Hitler. E in Italia cosa accadde?

Sul momento nulla di più di quanto non fosse avvenuto in conseguenza delle leggi razziali, la situazione divenne terrificante dopo la nascita della RSI. Una circolare del ministero degli Interni del nuovo Stato fascista alleato di ferro di Hitler, datata 30 novembre 1943, ordinò che gli ebrei fossero reclusi in campi di concentramento, in quanto considerati dalla Carta di Verona (il manifesto ideologico e programmatico della RSI) alla stessa stregua di una “nazione nemica”. A dicembre un’ordinanza firmata dal ministro dell’Interno Guido Buffarini Guidi dispose la creazione di campi provinciali tra cui quelli di Fossoli (Modena), Gries (Bolzano), Borgo San Dalmazzo (Cuneo) e Trieste (nel quartiere di San Sabba, la tristemente nota Risiera, che disponeva di un forno crematorio dove furono uccisi anche prigionieri politici, cittadini jugoslavi e zingari). Gli ebrei, sottoposti a Roma il 16 ottobre 1943 dai tedeschi al rastrellamento del ghetto (1024 deportati, ne tornarono dai campi solo 16), furono per lo più inviati in Germania e in Polonia. Migliaia di persone furono portate ad Auschwitz da Bolzano e da Trieste. L’ultimo convoglio ferroviario partito da Bolzano giunse ad Auschwitz il 29 ottobre 1944.

Non è facile dire quanti furono, esattamente, gli ebrei assassinati in Italia o deportati in Germania e Polonia per iniziativa dei fascisti della RSI. Per la studiosa Liliana Picciotto, nel settembre del 1943 in Italia c’erano circa 33.000 ebrei, tra cittadini italiani e profughi stranieri che sognavano di imbarcarsi per altri paesi. Secondo altre fonti la comunità era composta da più persone, i deportati dall’Italia sarebbero stati più di 8.300, la stragrande maggioranza di questi morì fra atroci sofferenze.

Ciò che non è difficile conoscere è il razzismo antisemita di Mussolini e dei suoi camerati, ai quali s’ispirano ancor oggi esponenti di Fratelli d’Italia, cioè della prima forza politica del paese, tralasciando le ignobili iniziative e pubblicazioni della galassia neofascista per vari aspetti contigua agli eredi dell’MSI di Giorgio Almirante, già segretario di redazione della rivista La difesa della razza. Almirante è stato senza dubbio il leader di maggior prestigio del partito neofascista, nato nel dicembre 1946 conto la democrazia e ispirato dichiaratamente all’esperienza della RSI. Almirante, nel 1987, dichiarava con sincerità di avere «scritta in fronte» la parola fascista, mentre sul termine «democratico» diceva: «è un aggettivo che non mi convince». Durante la RSI, uno Stato collaborazionista come fu la Repubblica di Vichy, Almirante (dal maggio 1944) fu capo di gabinetto del ministero della Cultura Popolare (Minculpop) che, sotto la direzione di Ferdinando Mezzasoma, dispose la fucilazione dei renitenti alla leva e dei partigiani.

A Grosseto, per la gioia dei suoi nostalgici ammiratori, dopo un lungo iter concluso dal pronunciamento del Consiglio di Stato, ad Almirante hanno dedicato una via. Meloni, da candidata sindaca a Roma nel 2016, ne parlava come di un «patriota», di una «persona che amava gli italiani e che credeva nella democrazia», al quale desiderava intitolare una strada che certamente avrebbe meritato. La Presidente del Consiglio è stata accontentata nel 2025, con lei saranno contenti tutti coloro che hanno apprezzato il leader dell’estrema destra, premiato decenni dopo la sua scomparsa non si sa per quali meriti resi all’Italia e, in primis, alla democrazia. Almirante non era un rispettabile leader della destra italiana, come sostenuto da Meloni. La destra, intesa come parte politica dei conservatori (in Italia si può pensare a Giovanni Malagodi, segretario del PLI dal 1954 al 1972), era composta dai liberali, non dai missini. Almirante, alludendo al fascismo, soleva dire ai suoi camerati: «non rinnegare e non restaurare».

Oggi, da parte di alcuni, non solo non si rinnega ma si tende a restaurare. Nella migliore delle ipotesi relegando nel dimenticatoio la storia del fascismo (RSI e Shoah compresi), anche mentre si celebra la Giornata della Memoria. La stessa sorte tocca necessariamente alla storia dell’antifascismo, che con gli Alleati ha sconfitto il regime mussoliniano nel nome della libertà. La storia della Resistenza, in quest’ottica, viene costantemente alterata da una propaganda neanche troppo sottile, al vecchio sapore di Minculpop.  

di Andrea Ricciardi                                          

Loading...