Nella serata del 25 aprile 1945 Ada Gobetti scriveva che, dopo la Liberazione, la lotta politica nell’Italia post-fascista non sarebbe stata «un unico sforzo, non avrebbe più avuto come prima, un suo unico inimitabile volto; ma si sarebbe frantumata in mille forme, in mille aspetti diversi». La profezia di Gobetti si sarebbe rivelata giusta: tra il 1945 ed il 1947, con lo scoppio della Guerra fredda, i partiti antifascisti, una volta uniti, si ritrovarono su due versanti opposti, egemonizzati dai rispettivi riferimenti internazionali: Stati Uniti e Unione Sovietica.

Quel destino non riguardò soltanto le forze politiche, ma anche le associazioni combattentistiche. Costituita nel 1944, tre anni dopo l’ANPI era scossa da profonde divisioni, riconducibili agli schieramenti politici degli ex partigiani. In un’associazione egemonizzata dalle sinistre socialcomuniste, per coloro che si rifacevano agli ideali di Giustizia e Libertà gli spazi erano sempre più angusti.

Agli inizi del 1948, gli ex combattenti cattolici avevano deciso di abbandonare l’ANPI e di fondare la Federazione italiana dei volontari per la libertà. Per Ferruccio Parri, leader degli ex partigiani azionisti, era giunto il tempo delle scelte. Un momento decisivo si verificò il 25 aprile 1948, durante la manifestazione nazionale di Milano. “Maurizio” venne «fischiato» e costretto ad «abbandonare il podio» da cui stava parlando: buona parte degli iscritti dell’ANPI non aveva accettato che Parri avesse toccato la questione della «speculazione tentata da qualcuno del movimento partigiano».[1]

Come scrisse a Giulio Alonzi, suo “luogotenente”, i fatti di quella giornata confermavano l’avvio della scissione, che però doveva essere ricondotta alla «politica dell’ANPI», responsabile di aver «offeso una larga parte dei partigiani, facendo della loro organizzazione uno strumento del PCI e del Fronte popolare». Non solo: per Parri, in vista dell’ormai prossima costituzione della nuova associazione, gli ex combattenti azionisti avrebbero dovuto fissare quale loro “dogma” «la fede nella libertà, incompatibile con ogni regime di tipo totalitario».[2]

Neppure Arrigo Boldrini, il mitico comandante Bülow e ora presidente dell’ANPI, riuscì a sanare la frattura con la componente azionista. Il 2 dicembre Parri spiegava ai suoi che era arrivato il tempo di fondare una nuova associazione, anche «per evitare ulteriori ritardi e troncare ogni situazione di incertezza». Venne così convocata una riunione in cui venivano fissati dei punti dirimenti da discutere: l’«organizzazione formale del movimento», l’«organizzazione assistenziale», così come l’«organizzazione nazionale degli studi storici della Resistenza».[3]

Se i primi due aspetti rientravano nelle decisioni classiche che un movimento partigiano avrebbe dovuto assumere e che per certi versi erano già stati avviati con la costituzione di alcuni enti nell’immediato dopoguerra, il terzo scopo raffigurava un progetto cui Parri aveva già iniziato a lavorare nel corso della sua breve permanenza alla Presidenza del Consiglio: proprio in quei mesi, infatti, aveva messo a punto la raccolta della documentazione relativa alla guerra partigiana.

Anche se bisogna ammettere che non tutti gli ex combattenti azionisti, per esempio il torinese Giorgio Agosti, parevano convinti della bontà del progetto di Parri, la loro maggioranza si ritrovò a Milano il 9 gennaio 1949: a seguito di un breve dibattito aperto da Parri, venne ufficialmente costituita la Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane. Dopo aver stabilito la sede ufficiale a Milano in corso Concordia, il convegno elesse Presidente per acclamazione Parri, Giulio Alonzi alla vicepresidenza, Michele Bellavitis segretario nazionale e Renzo Biondo, Raoul Bombacci e Nello Niccoli quali altri componenti della giunta esecutiva.

Come riassumere le posizioni della FIAP in questa fase primordiale della sua storia?

Prima di tutto, se osserviamo la risoluzione votata dai fondatori, gli ex combattenti azionisti dichiaravano di volersi distanziare da alcune scelte discutibili operate negli ultimi mesi della guerra partigiana, sostenendo che il «primo requisito» degli «iscritti» sarebbe dovuto «essere [quello della] moralità nella vita privata e pubblica». Inoltre, la FIAP si prefigurava di attualizzare lo spirito che aveva animato le forze resistenziali, così da evitare che potessero verificarsi «situazioni parafasciste o paracomuniste, sempre necessariamente totalitarie».[4]

In secondo luogo, a differenza dell’ANPI, la FIAP nasceva come associazione federalista: proprio perché intenzionati a permettere la convivenza al suo interno di associazioni e circoli locali di varia natura, Parri e i suoi decisero di dotare gli organismi locali di una buona autonomia per quel che riguardava le funzioni amministrative e decisionali. Questa era però una scelta di natura anche economica: date le scarse disponibilità finanziarie dell’associazione, che non poteva contare né sul sostegno di un partito di riferimento né sui contributi statali visto che non era stata riconosciuta quale ente morale, si trattava di sopperire alla mancanza di mezzi con l’entusiasmo dei suoi militanti, che in effetti fin dal principio cercarono di tenere viva la fiammella del combattentismo azionista.

di Jacopo Perazzoli


[1] Scontri a Milano fra polizia e partigiani, “La Stampa”, 26 aprile 1948.
[2] Lettera di Ferruccio Parri a Giulio Alonzi, Roma, 6 maggio 1948, in Archivio Centrale dello Stato, Carte Ferruccio Parri, busta 99, fascicolo 447.
[3] Lettera di Ferruccio Parri, Milano, 2 dicembre 1948, in Archivio Centrale dello Stato, Carte Ferruccio Parri, busta 99, fascicolo, 449.
[4] Così citato in Andrea Becherucci, La difesa dell’eredità della Resistenza nelle lettere a “Il Ponte” dal pubblico dei suoi lettori (1949-1950), “Nuova Antologia”, a. CXLVII, fasc. 2263, luglio-settembre 2012, p. 95.


Con questo articolo prende il via la serie, curata da Jacopo Perazzoli, sulla storia della FIAP. Nei prossimi numeri di Lettera ai Compagni verranno pubblicate le successive puntate, ciascuna dedicata ad un decennio di vita dell’associazione: gli anni Cinquanta, gli anni Sessanta, gli anni Settanta e, infine, gli anni Ottanta

Loading...