Se in Europa la Seconda guerra mondiale terminò il 7 maggio 1945 con la firma della resa incondizionata da parte dell’ammiraglio Karl Dönitz per conto della Germania nazista, in Asia il conflitto proseguì ancora per qualche mese. Il Giappone, pur non avendo alcuna possibilità di rovesciare i rapporti di forza con gli Stati Uniti, scelse di non deporre le armi. Fu allora che i vertici dell’amministrazione USA, che non avevano alcuna intenzione di prolungare il conflitto affrontando ulteriori perdite umane e spese, presero una decisione drastica e, nel contempo, molto traumatica per l’intero pianeta: lanciare la bomba atomica, da poco messa a punto. Il 6 e il 9 agosto 1945 furono lanciati due ordigni nucleari su Hiroshima e Nagasaki, soltanto dopo la seconda bomba l’imperatore Hirohito decise di firmare la resa ottenendo di rimanere al suo posto con l’intento di contenere il malumore dei vertici militari e, nello stesso tempo, di mantenere di fronte alla popolazione una parvenza di sovranità necessaria per far accettare la sconfitta, considerata alla stregua di una bruciante umiliazione. Le due bombe provocarono subito circa 160.000 morti ma diverse migliaia di persone, a causa delle radiazioni, si ammalarono e persero la vita in un secondo tempo. La resa fu firmata ufficialmente il 2 settembre 1945 sulla corazzata statunitense Missouri, alla fonda nella baia di Tokio. La cerimonia fu presieduta dal generale Douglas MacArthur e sancì l’inizio di una sorta di dipendenza diretta del Giappone dagli Stati Uniti che, da una parte, intendevano azzerare i rischi di una rinascita del nazionalismo nipponico che aveva generato una politica estera espansionista e per molti aspetti criminale, come dimostrato dal comportamento tenuto in Cina nel corso degli anni Trenta e dall’alleanza con Hitler e Mussolini. Dall’altra, pur non essendo ancora iniziata la Guerra fredda, per Truman (che aveva sostituito Roosevelt, scomparso il 12 aprile 1945) e i vertici militari USA, era fondamentale che il Giappone, di fronte alla potenza sovietica, non solo fosse idealmente collocato nel campo occidentale che si andava formando dopo Yalta, ma potesse anche costituire un elemento di stabilità in Asia. Dove, peraltro, era in corso una guerra civile nel paese a lungo più popoloso del mondo, la Cina, che si sarebbe conclusa con la vittoria dei comunisti di Mao Zedong soltanto nel 1949 con la conseguente nascita della Repubblica popolare cinese contrapposta alla Cina nazionalista di Chiang Kai-Shek che, fuggito con il sostegno degli Stati Uniti, instaurò un regime autoritario a Taiwan e mantenne il seggio all’ONU fino al 1973. Proprio nel 1949, anche l’Unione Sovietica sperimentò con successo l’arma atomica e, da allora, si pensò che l’equilibrio del terrore tra i due blocchi contrapposti costituisse, nonostante momenti di altissima tensione come avvenne nel 1962 durante la crisi dei missili a Cuba, soprattutto un elemento di stabilità e non un rischio per l’intero genere umano. In realtà, dal 1945 in avanti, ci si è chiesti se quelle due bombe fossero davvero necessarie e se l’immane tragedia che provocarono fosse l’unica strada veramente percorribile per porre fine al conflitto. Una risposta definitiva forse non ci sarà mai, certo è che con lo sviluppo dell’energia atomica e il suo utilizzo per scopi vari (militari e civili) il genere umano scoprì di potersi autodistruggere anche senza l’aiuto dei rivolgimenti climatici, dello spegnimento del Sole o dell’arrivo di grandi meteoriti. Oggi l’atomica è in possesso di molti paesi e, dopo la dissoluzione dell’URSS e i crescenti squilibri in altre aree del mondo oltre all’Europa (Medioriente, Asia, Africa), con la disarticolazione del quadro geopolitico novecentesco che ha influito sulla diffusione di armi nucleari in aree tutt’altro che stabili, non si può certo dire che il pianeta sia più sicuro rispetto al secolo scorso. Desta perplessità anche l’insistenza con la quale, in vari paesi, si utilizza (o si pensa di utilizzare) l’energia nucleare per scopi civili. In Italia la popolazione, chiamata al voto nel 1987, con un referendum abrogativo escluse questa linea, ma in troppi l’hanno dimenticato o fanno finta di non sapere che quel referendum costituisce (in assenza di modifiche costituzionali) una decisione vincolante per tutti i governi. Si può forse capire che il nucleare convenga dal punto di vista economico, ma si sa che la sicurezza non può essere assoluta. Le centrali nucleari sono a loro volta obiettivi sensibili, non soltanto per i paesi impegnati in conflitti circoscritti ad aree specifiche del pianeta, ma anche per il resto degli Stati, talvolta attraversati da guerre intestine tutt’altro che marginali o vessate da terrorismi di diversa matrice. I confini, nel caso in cui qualcosa andasse storto, non esisterebbero e la distruzione verrebbe dall’aria che si respira, senza rumori assordanti né bagliori o giganteschi funghi, come quelli che cancellarono Hiroshima e Nagasaki tra il 6 e il 9 agosto 1945.
di Andrea Ricciardi