Recensione del film di Taika Waititi, 2019, Commedia, dramma, guerra 108 min, Nuova Zelanda, Stati Uniti d’America, Repubblica Ceca.

Se c’è un aspetto che talvolta viene poco affrontato dei totalitarismi è l’aspetto del ridicolo. Si raccontano spesso le conseguenze e le brutalità dell’esercizio del potere dittatoriale; meno frequentemente la grottesca idolatria necessaria ai dittatori per affermarsi. In questa divertente commedia Jojo, gracile ragazzino di dieci anni e fanatico aspirante nazista, è alle prese con le difficoltà dell’addestramento “ariano” quando scopre che sua madre nasconde una ragazza ebrea in casa. Questo avvenimento sarà l’inizio di una crisi di identità e di un percorso di ricerca della verità.

L’infantilismo, il porsi domande di fronte all’evidenza dei fatti e l’incapacità di aderire al male sono i temi chiave di Jojo Rabbit. Il regista e attore Taika Waititi, istrionico neozelandese con padre maori e madre di discendenza ebraico-russa, interpreta nel film Adolf Hitler, amico immaginario del giovane Jojo, raffigurato come motivatore permaloso e pieno di imbarazzante protagonismo, consigliere di strategie maldestre e controproducenti. Impossibile non rievocare la scena del discorso del Grande Dittatore del 1940, in cui Charlie Chaplin raffigura il dittatore Adenoid Hynkel in una parodia del discorso alle folle di Hitler. Il film divenne un manifesto del cinema e dell’opposizione al nazismo.

Jojo, che vive solo con la madre dopo la tragica scomparsa della sorella, deve fare i conti anche con l’assenza del padre, impegnato al fronte. L’ adesione agli ideali della gioventù hitleriana è sincera e forte, come le domande che i bambini sanno sempre porsi. Anche nel rapporto con l’amico Yorki, altrettanto goffo ed improbabile soldato, sono tante le perplessità che i due si trovano a condividere. Ma il clou del percorso di crescita sarà nel dialogo con la ragazza ebrea, che procura a Jojo non pochi turbamenti ideologici e sentimentali.

La chiave di registro di questo lungometraggio è in grado di rappresentare in modo efficace le dinamiche del nazionalismo e dell’indottrinamento nazista. L’accettazione del senso del ridicolo, di cui accennavamo in precedenza, è infatti necessaria a sostenere in qualsiasi caso gli ideali nazifascisti. La cronaca recente ci dimostra purtroppo che i tempi dei leader politici con i tacchi rialzati, le foto ringiovanite per i manifesti elettorali e le agiografie propagandistiche non sono ancora finiti. E la forza di questo sentito progetto è quello di saper smontare la macchina dell’odio con lo sguardo dell’infanzia, tenero ma al contempo severo.

Il film non manca di trattare argomenti difficili e di far luce sulle esecuzioni degli oppositori e sull’orrore della guerra; tutto senza mai mostrare immagini troppo crude e alternando momenti drammatici e commoventi ad altri di forte comicità. Il risultato di questo lavoro è una boccata d’aria fresca, attesa da tempo da chi si interroga sui nuovi linguaggi necessari alla sopravvivenza dell’educazione antifascista e antinazista.

Il film del 2019 ha vinto un premio Oscar e un premio Bafta per la sceneggiatura non originale.

Jojo Rabbit è infatti liberamente tratto dal romanzo Il cielo in gabbia (Caging Skies) di Christine Leunens. La scrittrice, di origini italo-belghe, vive in Nuova Zelanda e ha studiato all’Università di Harvard.

Nel cast insieme al regista e sceneggiatore Taika Waititi nel ruolo di Hitler, troviamo l’esordiente Roman Griffin Davis nel ruolo di Jojo. Con loro Thomasin McKenzie, Rebel Wilson, Stephen Merchant, Alfie Allen, con la partecipazione straordinaria di Scarlett Johansson e Sam Rockwell.

di Alessandro Calisti

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