È un racconto di pura fantasia quello di Elisabetta Villaggio, che si è immedesimata nella vita e negli occhi di alcune meravigliose ragazze degli anni Quaranta, che hanno vissuto in un momento storico tragico la loro crescita, quando i sogni sono le aspettative e gli obbiettivi per il futuro.

Tuttavia la storia può essere molto crudele, può cancellare con un colpo di spugna mortale il normale andamento del tempo, spezzando i sogni. Ma, nonostante tutto, in questo caso non è stata cancellata la giovinezza, sempre emozionante e misteriosa nelle sue scoperte, ricca di quel sentimento creativo che si prova quando si ha davanti a sé la vita, con la sicura speranza del cambiamento in meglio della realtà.



Quella mattina Eleonora si svegliò prestissimo. Guardò fuori dalla finestra, vide che era ancora buio e si alzò facendo attenzione a non svegliare i suoi fratelli che dormivano beatamente. Una volta pronta, scelse un bel vestitino celeste con fiorellini di un giallo tenue che le stava molto bene e faceva risaltare la pelle ambrata, preparò la colazione per tutti. Appena sua madre entrò in cucina fu sorpresa di vederla già alzata perché la figlia era sempre stata una dormigliona. Stava per dirle qualcosa ma non fece in tempo ad aprire bocca perché Eleonora le stampò un bel bacio sulla guancia e corse via.

“Ci vediamo questa sera” disse scivolando fuori dalla porta e volando giù per le scale.
Una volta inforcata la sua bicicletta rossa fiammante, pedalò lungo Via Flaminia in direzione di Piazza del Popolo. Aveva appuntamento con Maria, la sua migliore amica. Sarebbero andate insieme ad affrontare il grande giorno. Mentre pedalava spensierata pensò a Elisa, sua sorella maggiore. Era stata proprio lei ad insegnarle ad andare in bicicletta quando erano piccole. Elisa, che si era innamorata di un partigiano e lo aveva seguito in Toscana, sulle colline sopra Firenze, era diventata una staffetta e proprio con la sua bici portava i messaggi. Un giorno era stata intercettata da un gruppo di tedeschi che l’avevano fucilata senza tante storie. Non erano però riusciti a trovare il biglietto che Elisa avrebbe dovuto consegnare perché lo aveva cucito nell’orlo della gonna.
Una lacrima le rigò il viso pensando all’adorata sorella. Aveva ancora nelle orecchie l’urlo disperato e straziante di sua madre quando vennero a dirle che Elisa non c’era più. Sì, usarono proprio quelle parole: non c’è più. Non osarono dire: è morta.
“Quello è stato il giorno più brutto della mia vita” pensò Eleonora e scosse i capelli per cacciare via i brutti ricordi in un giorno che doveva essere speciale e felice. “Lo farò anche per lei” si disse, pedalando con più energia.
Era una bella giornata d’inizio giugno. Il sole era alto nel cielo azzurro e limpido. Non c’era neanche una nuvola, notò Eleonora mentre pedalava spensierata. Il sapore dell’estate si faceva sentire sulla pelle e nelle vene, era una brezza impalpabile che rendeva euforici. Pensò a Massimo, il suo fidanzato ormai da tre anni che pochi giorni prima le aveva chiesto di sposarlo. Lui, chinandosi davanti a lei, era inciampato cadendo per terra tagliandosi un labbro. Eleonora era scoppiata a ridere invece di preoccuparsi subito delle sue condizioni. Massimo ci era rimasto male e si era dimenticato di darle un anellino che era riuscito a comprare risparmiando su tutto. Eleonora non era una persona superficiale o poco interessata agli altri, tutt’altro, solo che era così spontanea e diretta che spesso poteva offendere senza volerlo. E anche la sera precedente aveva contrariato Massimo quando gli aveva chiesto di non accompagnarla l’indomani mattina e non gli confidò neanche che sarebbe andata con Maria. Voleva affrontare quella cosa da sola, a tutti i costi. E così fece. In fondo era una gran testarda.
Dalle parti di Piazzale Flaminio c’era già un gran brulicare di persone. Sembravano tutte felici. Nell’aria si poteva respirare che qualcosa d’importante stava succedendo, soprattutto lo avvertivano le donne. Eleonora le guardava, ammirava il loro sorriso schietto e sincero. Anche lei si sentiva felice. I capelli castani che le arrivavano alle spalle si muovevano in libertà agitati da una leggera brezza. Canticchiò una canzoncina che le era entrata in testa e varcò l’arco che la portava a Piazza del Popolo. Lì, sotto l’obelisco, l’aspettava Maria. Anche lei era sorridente e le venne incontro abbracciandola. Si capiva che quelle due giovani ragazze, avevano entrambe compiuto ventuanni da poco, erano molto amiche. C’era tra loro un affiatamento quasi familiare e di grande intimità.
“Andiamo subito o ci prendiamo un caffè?” chiese Maria continuando a sorridere.
“No, andiamo subito, il caffè lo prendiamo dopo con calma. Ora sono troppo agitata”.
Eleonora legò la bicicletta a un palo e le due ragazze imboccarono Via Ripetta tenendosi a braccetto. Camminarono sul lato del marciapiede in ombra perché ora la giornata era diventata calda. Arrivate davanti alla scuola d’arte entrarono con fierezza estraendo quasi contemporaneamente il loro documento e la tessera elettorale. Una volta nella cabina Eleonora mise una bella croce, con la mano tremolante, sul simbolo della Repubblica. Quel semplice gesto la fece sentire grande, importante. Percepì che qualcosa stava cambiando. Quel giorno le donne in Italia potevano finalmente votare. All’uscita dalla scuola, che funzionava da seggio elettorale, le due amiche si abbracciarono, entrambe con le lacrime agli occhi.

“Oggi è uno di quei giorni che si cambia la Storia” disse con una certa enfasi Maria.
Poi Eleonora, dopo un caffè che le sembrò il più buono del mondo, riprese la sua bici e pedalò nella direzione opposta dalla quale era venuta. Imboccò Ponte Milvio e in lontananza notò Massimo che l’aspettava. Quando lui la vide, si aprì in un bellissimo sorriso e anche i suoi occhi s’illuminarono.
“Hai votato?” urlò mentre Eleonora era ancora a metà del ponte.
Quando lo raggiunse, si buttò tra le sue braccia. Era felice e sentiva addosso un’energia speciale, un qualcosa di elettrizzante e magico non avrebbe mai più dimenticato per il resto della sua vita. Lui ricambiò l’abbraccio ma poi la scostò da sé guardandola con un’aria così seria che per un attimo Eleonora si preoccupò. Massimo infilò una mano in tasca e la fissò con uno sguardo così intenso che la ragazza arrossì.
“Allora mi vuoi sposare?” le chiese mentre le infilava al dito anulare della mano sinistra l’anellino che luccicava al sole di quella giornata che Eleonora ancora oggi ricorda come la più bella della sua vita. Era il 2 giugno 1946.

di Elisabetta Villaggio 

 

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