Uno spettatore che non conosce le attuali condizioni di vita degli iraniani non riuscirà ad apprezzare e a capire questo film. Una storia d’amore inaspettata, due persone avanti con gli anni che cercano di ritagliarsi un po’ di felicità. Un incontro casuale fra due cuori solitari in una notte magica. Per noi occidentali sembrerebbe una trama banale e forse poco allettante. Ma siamo in Iran, la Repubblica islamica che ha visto di recente la nascita del movimento Donna Vita Libertà, che ha ispirato numerose rivolte dei più giovani contro un regime che da troppi anni opprime le speranze di tante persone, soprattutto donne.

Il film del 2024, presentato al Festival di Berlino, vuole essere a suo modo un film di protesta, sfidare i tanti divieti e diventare un inno alle donne, celebrandone la vita e la libertà. Un progetto che si è svolto clandestinamente, aggirando le difficoltà e il controllo della polizia morale del paese. In una nota i registi e sceneggiatori Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, moglie e marito nella vita e coppia anche nel lavoro, hanno chiarito così le loro intenzioni:

«Per anni, i cineasti iraniani hanno realizzato film sotto il peso di regole limitanti. Violare le regole può portare ad anni di sospensione o alla reclusione. In questa situazione deplorevole, stiamo ancora cercando di raccontare la realtà della società iraniana nei nostri film, una realtà che di solito si perde sotto i tanti strati di censura. Violare alcune di queste limitazioni è una scelta che stiamo facendo di proposito, e speriamo di essere in grado di raccontare il problema delle donne iraniane. Siamo convinti che non sia più possibile raccontare la storia di una donna iraniana mentre si replica l’oppressione, come succede per l’obbligo di indossare l’hijab. Alle donne non è mai stato permesso di avere le loro vite reali raccontate sullo schermo, quelle vite reali che le raffigurano come sono nelle loro case. Questa volta abbiamo deciso di oltrepassare i confini di ciò che è permesso. E accettiamo le conseguenze di questa scelta».

E, infatti, registi e montatori sono sotto processo insieme ai due attori protagonisti: Lily Farhadpour, giornalista prestata al cinema, e Esmail Mehrabi, il coprotagonista, accusati di propaganda anti regime, diffusione di corruzione morale e produzione di un film osceno.

Nella fase iniziale del film, prima dell’incontro fra i due, il racconto ci mostra in diversi episodi lo scontento degli iraniani, ma soprattutto la nostalgia di chi, come i nostri attempati e simpatici protagonisti, ha vissuto anni decisamente diversi dal presente…

Fuori di casa, perché solo in casa è concesso di vivere clandestinamente e in segreto qualche sprazzo di libertà, c’è il mondo delle regole di regime. Vedremo in azione una pattuglia della polizia morale prendere di mira delle ragazze e accusarle di non indossare correttamente il velo, come prescritto dalla legge islamica. Ma capiremo anche le ristrettezze economiche, il peso del controllo, il grigiore della vita quotidiana.

Impossibile non ricordare, a proposito di legge sull’obbligo del velo per le donne, la vicenda di Mahsa Amini, morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale di Teheran perché non indossava correttamente l’hijab. In seguito alle percosse ricevute durante l’arresto, la ragazza (classe 1999) è poi deceduta in circostanze poco chiare, causando l’indignazione nell’opinione pubblica (anche internazionale) e un’ ondata di manifestazioni spontanee in tutto il paese, a cui sono seguiti numerosi arresti di studenti universitari.

L’hijab è il velo islamico obbligatorio per tutte le donne ed è stato introdotto nel paese dopo la rivoluzione iraniana del 1979 dal leader supremo Ruhollah Khomeini, che ha così voluto interpretare gli “standard islamici”, rendendolo obbligatorio in tutti i luoghi pubblici.

Guardare Il mio giardino persiano è un modo per capire l’Iran di oggi e supportare, almeno con lo spirito, il sacrificio di tante donne e tanti uomini che, incuranti delle peggiori possibili conseguenze, continuano a sfidare il regime degli Ayatollah. Per ricordare ad un Occidente in crisi di valori quello che stanno facendo le donne iraniane oggi, in una lotta per la libertà che non è ancora supportata da tutte le democrazie del mondo.

di Alessandro Calisti

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