Non possiamo non chiederci se il 25 aprile del 2023 sia come tutti gli altri. Per questo, abbiamo chiesto al nostro Direttore Scientifico Andrea Ricciardi di tornare, nell’editoriale di Lettera ai Compagni di oggi, alle origini e di ricordarci cosa fu il 25 aprile, ripristinando il valore della storia.
Disse Raffaele Cadorna, dopo aver sfilato in una Milano festante il 6 maggio del 1945 con i vertici del CVL, Mario Argenton, Gian Battista Stucchi, Ferruccio Parri, Luigi Longo, Enrico Mattei e Fermo Solari: “questa giornata fu il coronamento e la consacrazione dei nostri sforzi. Una radiosa giornata, nella quale lo sfavillante sole di maggio ci aveva benedetti coi suoi raggi, spandendo attorno a noi un’atmosfera di bonaria concordia, bene auspicante per la risurrezione della Patria”.
Fu proprio così? Noi riteniamo di sì, e la Costituzione, di cui quest’anno festeggiamo i 75 anni e che di quel 25 aprile fu il coronamento, è ancora lì a ricordarcelo. Il 25 aprile è divenuto il simbolo della libertà e dell’unità nazionale; festa dei “vincitori”, ma festa anche dei “vinti” che grazie alla Liberazione vivono in un’Italia libera e democratica.
Tuttavia, non possiamo ignorare che proprio le libere elezioni, il cui esito e la cui legittimità non possono essere mai messe in discussione, hanno portato al Governo del Paese una forza politica che in quei “vinti” si riconosce assai più che nei “vincitori”. Questo non può non porre un interrogativo alla FIAP, nata per custodire la memoria ed i valori espressi dalla lotta di Liberazione trasfusi nella Costituzione. Oggi più che mai, dobbiamo ribadire che questi valori non devono essere patrimonio dell’una o dell’altra parte ma patrimonio ideale e morale di tutti gli italiani. Allo stesso tempo, dobbiamo resistere ai tentativi di uno pseudo-revisionismo che vorrebbe riscrivere la storia, semplicemente falsificandola.
Dobbiamo respingere una rappresentazione dell’antifascismo storico come se fosse stato una prerogativa dei comunisti. Come ha scritto Andrea Ricciardi, c’è chi tenta di negare “contro ogni evidenza storica (anche guardando all’appartenenza politica dei partigiani: il 50% riconducibili al PCI, il 30% composto da azionisti inquadrati nelle Brigate Giustizia e Libertà e il restante 20% costituito da cattolici, socialisti, monarchici e altri) che la Resistenza, di cui furono parte gli Internati Militari Italiani (IMI), sia stata un fenomeno plurale”. Gli oltre 4.500 combattenti delle formazioni di Giustizia e Libertà che persero la vita durante la guerra di Liberazione ce lo ricordano ogni giorno. E il nostro compianto Presidente Mario Artali amava dire: “la Resistenza fu un arcobaleno di colori, perché è la libertà che non sopporta semplificazioni monocolore”.
È il fascismo che di colori ne ha uno solo: quello della miseria, della guerra, della privazione della libertà e del crimine politico. Dobbiamo poi ricordare che la Costituzione è antifascista perché origine, spirito, contenuto di ogni articolo sono in antitesi alla concezione che della società e del diritto aveva il fascismo. Dobbiamo respingere con forza l’uso di termini o frasi apologetiche del regime totalitario di Mussolini o, peggio, l’indegna enunciazione di teoremi neonazisti quali quello, per esempio, della “sostituzione etnica”, da parte di pubbliche autorità.
E dobbiamo ribadire che il 25 aprile non è una festa della riconciliazione o della parificazione dei torti e delle ragioni e che Patria e Costituzione sono due concetti inscindibili. Anzi, dobbiamo riprenderci con forza e decisione il termine “Patria” ed il termine “Patriota”: i partigiani combattevano e morivano per la “Patria”, basta leggere le Lettere dei condannati a morte della Resistenza per rendersene conto. Furono quegli uomini, quei Patrioti, a difendere la Patria contro gli oppressori fascisti e l’occupazione tedesca.
Alle associazioni antifasciste e partigiane, che qualcuno vorrebbe polverose ed inutili, spetta il compito di tenere alta la vigilanza su un’offensiva culturale che va oltre la riscrittura della storia, ma che si alimenta della riscrittura della storia perché la libertà, l’autonomia dell’individuo, lo Stato di diritto ed i diritti civili e sociali sono fondativi dell’Italia repubblicana nata dalla Resistenza. L’offensiva culturale della destra radicale sembra mirare ad entrare nella vita delle persone condizionandone le scelte, anche le più intime, fino a configurare, come ha sottolineato recentemente Luigi Manconi, un orientamento verso un inaccettabile “Stato etico”. Per questi motivi la FIAP ha voluto e promosso il comunicato congiunto con tutte le associazioni antifasciste e partigiane e parteciperà in modo unitario alle varie iniziative che si terranno a Milano, a Roma e su tutto il territorio nazionale.
Ma il 25 aprile del 2023 lo festeggiamo assistendo sgomenti alla seconda primavera di sangue, distruzione, violenza inaudita ed ingiustificata, crimine acclarato e genocidio da parte dell’invasore russo contro una nazione libera e sovrana. Sentiamo appelli per la “pace” e vedremo bandiere della “pace” sfilare nelle piazze della Liberazione. Tuttavia, in coerenza con la nostra storia ed i nostri valori, non possiamo dimenticare che il 25 aprile non è la festa della “pace” (men che mai di un “cessate il fuoco” o del “bisogna lasciare una parte del Paese al nemico” o “l’aggressore non può essere umiliato”!) ma della fine di una guerra, quella combattuta dai nostri partigiani armati dagli alleati americani ed inglesi per liberare l’Italia dall’occupazione tedesca a cui il fascismo aveva spalancato le porte.
E come disse il Presidente della Repubblica Mattarella lo scorso anno, di fronte agli esponenti delle associazioni combattentistiche e partigiane: “dal nostro 25 aprile, nella ricorrenza della data che mise fine alle ostilità sul nostro territorio, viene un appello alla pace. Alla pace, non ad arrendersi di fronte alla prepotenza!”. E ancora: “la straordinaria conquista della libertà, costata sacrifici e sangue ai popoli europei – e condivisa per molti decenni – non può essere rimossa né cancellata. Sappiamo anche che la libertà non è mai acquisita una volta per sempre e che, per essa, occorre sapersi impegnare senza riserve. Vale ovunque. In Europa, in Italia.”
E anche quest’anno i nostri fazzoletti tricolori si uniranno alle bandiere gialle ed azzurre, in un transfert ideale tra la Resistenza italiana e quella ucraina. E non si uniranno solo per solidarietà, doverosa e dovuta. Ma anche e soprattutto perché ci è ben chiaro – e l’abbiamo gridato davanti all’Ambasciata Russa lo scorso 24 febbraio – che la frontiera ad est di Kiyv che viene difesa non è più solo quella ucraina ma è quella dell’ordine internazionale, delle sue regole, delle sue istituzioni e dei suoi principi fondativi e dell’Europa unita nata dal conflitto mondiale. Un’Europa federale che fu pensata a Ventotene da Spinelli, Rossi e Colorni come risposta a chi voleva imporre ed imponeva sopraffazione, costrizione, negazione dei diritti, anche quelli più elementari, crimine ed orrore nel nome dei nazionalismi. E l’esito di questa difesa cambierà, in un senso o nell’altro, la vita di ciascuno di noi.
E non è un caso che è la bandiera europea ad essere sventolata nella Kherson liberata e a Rustaveli Avenue, a Tblisi. Ha scritto recentemente Adriano Sofri: “per capire chi siamo, o chi non siamo più, bisogna guardare a chi non è ancora con noi e immagina che noi siamo come lui si immagina”. Cerchiamo, almeno il 25 aprile del 2023, di essere come loro ci immaginano. Avremo tempo per capire se sia pregiudizio ideologico, cinismo, ignoranza, stupidità o atavico anelito per l’uomo forte a spingere al disinteresse per il genocidio in atto in Ucraina e a proporre soluzioni che, in un modo o nell’altro, portano al successo della legge del più forte rispetto alla forza del diritto. E per capire come questo pensiero, trasversale tra destra, sinistra e centro cattolico, possa essere presente anche nelle nostre piazze della Liberazione.
In fondo, come ha scritto Goffredo Buccini riferendosi alla Russia di Putin, “proviamo a guardarlo in volto, quel regime. È fascista? … Ma se hai due ruote, i pedali e un sellino è probabile che tu sia una bicicletta. Se avveleni o incarceri gli oppositori, sottometti la magistratura e l’economia, se ammazzi i giornalisti liberi, se riscrivi la storia rivendicando uno «spazio vitale» che somiglia tanto al Lebensraum hitleriano, se neghi i diritti delle minoranze benedetto da un lugubre patriarca di guerra, se ridisegni le regole per perpetuarti al potere, se strappi i figli ai genitori cercando di «rieducarli» secondo la tua idea di nazione, se bombardi sistematicamente le popolazioni civili, se pratichi la tortura e lo stupro come strumento di sottomissione… beh, se fai tutto questo, è probabile che tu sia un dittatore, a te la scelta dell’aggettivo, fascista, neostalinista o postmoderno, poco cambia per le vittime”.
Nel 1951 Enzo Enriques Agnoletti, partigiano, azionista, allievo di Calamandrei da cui ereditò la direzione de il Ponte, federalista europeo e indimenticato presidente della FIAP dal 1976 al 1987, in una delle fasi più cupe della Guerra fredda e a proposito della politica dei Partigiani della Pace, scrisse: “lo scopo di questa falsa offensiva di pace non è solamente quello di preparare una non-resistenza all’aggressione in quei paesi nei quali esistono le libertà individuali e collettive, e dunque di rendere possibile la guerra. Essa tende anche a corrompere una delle più antiche e solide tradizioni del pensiero democratico. Che il pericolo di guerra provenga da quei governi che esercitano un potere assoluto e si sottraggono al controllo ed alla vigilanza dell’opinione pubblica”. Analogamente, la scelta per la libertà come scelta etica e costitutiva della FIAP portò alla dura condanna dell’invasione dell’Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968.
“Una patria libera in un mondo libero” diceva Ferruccio Parri. Se teniamo a mente queste parole, il 25 aprile del 2023 non è che un’altra Festa della Liberazione a cui ne seguiranno altre, e tante altre ancora. Oggi con la Resistenza ucraina, con Vladimir Kara-Murza, con le studentesse iraniane ed afgane, con le minoranze etniche e religiose perseguitate dai regimi autoritari, domani e sempre al fianco di chiunque combatte per la libertà, la giustizia ed il diritto.
di Luca Aniasi, Presidente Nazionale FIAP