E’ possibile sviluppare alcune osservazioni comparative fra gli interventi di tre personaggi cruciali nella storia del socialismo e fra i tre congressi nei quali sono stati tenuti, a partire dai volumi pubblicati dalle edizioni Biblion di Milano: Filippo Turati, Il discorso di Livorno, a cura di Giovanni Scirocco, Milano, 2021; Léon Blum, Il discorso di Tours, a cura di Maria Grazia Meriggi, 2021; Julij O. Martov, Il discorso di Halle, a cura di Andrea Panaccione, 2022[1]. Il merito delle pubblicazioni di Biblion è di fornire uno scorcio delle ragioni del socialismo in una fase di crisi mondiale.

  I 3 congressi (USPD, ottobre 1920; SFIO, dicembre 1920; PSI, gennaio 1921) fanno parte di quella che è stata chiamata la nascita della seconda leva dei partiti comunisti, caratterizzata appunto dall’elemento della scissione rispetto al movimento socialista, mentre per la prima leva (Finlandia, Germania, Austria, Ungheria, Polonia, Olanda) si può parlare dell’aggregazione di piccoli gruppi già resisi autonomi precedentemente[2].  Quest’elemento della scissione è importante non solo perché apre una divaricazione più generale nel movimento operaio che caratterizzerà tutto il secolo, ma perché in alcuni Paesi – nel nostro caso la Germania e la Francia, dove la scissione è maggioritaria, ma poi anche nel caso analogo della Cecoslovacchia nel 1921 – dà ai nuovi partiti comunisti un carattere relativamente di massa.

  Una comparazione internazionale, in questo come in molti altri casi, è utile soprattutto per mettere a fuoco specificità e differenze, e contribuisce quindi a evidenziare il carattere, particolarmente complesso nello stato nascente, del processo in corso. Ogni scissione ha premesse autonome, legate alla storia del Paese in cui avviene, ma è anche la risposta a una spinta comune, rappresentata dalle condizioni di ammissione all’Internazionale comunista definite dalla stessa al suo II congresso (i famosi 21 punti), con l’esito comune della separazione. Oltre alla specifica situazione dei diversi Paesi (accomunati peraltro o da un primo riflusso, nel periodo considerato, dei movimenti di massa seguiti alla fine della guerra o da un rapido esaurirsi di quella rivoluzione tedesca che alla guerra aveva persino posto fine), è importante guardare allo stato e ai caratteri dei partiti nei quali le scissioni si sarebbero sviluppate e al modo in cui hanno subito l’impatto della guerra e ne sono usciti. Nel caso di Halle, siamo di fronte al congresso di un partito che è già il frutto di una scissione, sancita dal congresso di Gotha dell’aprile 1917, che dà vita alla Unabhängige Sozialdemokratische Partei Deutschlands e che è riconducibile alla politica di Burgfrieden, di accettazione della guerra da parte della Sozialdemokratische Partei Deutschlands: la USPD è un partito anomalo e dal destino provvisorio, che sfugge in parte alla dicotomia comunismo-socialdemocrazia e che ha al suo interno sia l’ala tradizionale dei Kautsky e dei Bernstein, convinta che con la fine della guerra fossero venute meno le ragioni della esistenza di un partito socialista indipendnte, sia un’ala consistente che sarà legata al movimento dei consigli, in Germania espressa dal settimanale “Der Arbeiter – Rat” (1919-20). Nel caso della Section française de l’Internationale ouvrière, che si riunisce a Tours, si tratta di un partito che si è convertito abbastanza frettolosamente all’opposizione alla guerra nella sua ultima fase, dopo averla appoggiata e direttamente portata avanti con la responsabilità ministeriale di alcuni dei suoi esponenti maggiori, mentre ha lasciato soprattutto ai sindacalisti, a partire da Zimmerwald, l’espressione delle ragioni di opposizione alla guerra (va segnalata comunque la trasformazione già nel maggio 1919 del Comité de Défense Syndicaliste, che si era opposto alla guerra, nel primo piccolo Parti Communiste in Francia[3]). Nel caso di Livorno siamo di fronte a un partito, il Partito socialista italiano, che è uscito dalla guerra ancora segnato dall’aura zimmerwaldiana e meno compromesso di altri partiti socialisti (non a caso l’appello a partecipare al congresso fondativo della Terza Internazionale si rivolge al PSI in quanto tale e non agli “elementi rivoluzionari” o “di sinistra”, secondo le formule usate per altri partiti socialisti[4]), anche se, di fonte al pericolo della catastrofe, si è impegnato per la difesa nazionale.

Meriggi ha sottolineato, nell’introduzione al volume da lei curato, le diverse personalità dei tre autori: contrariamente a Turati e a Martov, i cui interventi si situano in una fase conclusiva della loro attività, almeno nel loro Paese, per Blum il discorso di Tours è l’inizio di una grande carriera che accompagnerà la storia del socialismo francese e che culminerà nel ruolo svolto durante la stagione dei Fronti Popolari. La personalità di Blum, con gli amori e gli odii che ha suscitato, è un résumé delle vicende, delle mitologie, delle vittorie e delle sconfitte del socialismo francese.

  Un altro elemento distintivo è il diverso ambito del confronto sviluppatosi nei dibattiti congressuali, che riflettono comunque rapporti di forza già definitisi precedentemente. In tutti i congressi sono presenti rappresentanti dell’Internazionale comunista o dei partiti stranieri. Ma, mentre nel caso di Tours e di Livorno sono soprattutto in gioco i caratteri costitutivi e la tradizione dei rispettivi partiti di origine, ben documentati nei testi pubblicati da Biblion, nel caso di Halle, pur senza trascurare l’importanza degli interventi dei socialisti indipendenti tedeschi (e in particolare di Hilferding), la presenza e lo spazio riservato ai discorsi di Zinov’ev, presidente dell’Internazionale comunista, e di Martov, il capo dei menscevichi russi che ha da poco lasciato il suo Paese, sposta il dibattito sul piano internazionale e dà al congresso il carattere di una scelta che coinvolge tutto il movimento operaio europeo. Intervenendo dopo il lungo discorso di Zinov’ev al congresso, Martov esprime una piena consapevolezza del carattere di questo confronto: “Oggi è cominciata qui ad Halle, per la prima volta nell’ambito dell’Europa occidentale, la lotta politica tra queste due visioni del mondo, la prima nella serie delle lotte politiche che stanno di fronte al movimento operaio dell’Europa occidentale”[5]. Va aggiunto che l’intenzione di Martov non è la difesa della tradizione socialista, verso la quale esprime un giudizio molto critico, ma un confronto sul terreno del marxismo rivoluzionario in un’epoca che definisce di “rivoluzione sociale”.

  Va infine fatto almeno un cenno al contesto entro il quale avviene la comparazione, fondamentale per un’analisi di tipo storico. I congressi della scissione sono parte di un processo che vede in una prima fase l’interesse del potere che si è affermato in Russia per ogni forza disponibile ad essere utilizzata per la rivoluzione in Europa, comprese quelle di matrice anarchica o sindacalistica, e in seguito sempre più l’affermazione di un’esigenza di omogeneità che trova espressione nella pubblicazione dell’Estremismo, malattia infantile del comunismo di Lenin (maggio – giugno 1920), nell’approvazione delle 21 condizioni, e che culmina in Russia nella fine della guerra civile, ma anche in Kronštadt e nella Nuova politica economica (NEP) nel marzo 1921. Il marzo 1921, che possiamo assumere come conclusione di questa fase, è anche il mese, da un lato, del fallimento della “teoria dell’offensiva” in Germania con la “azione di marzo” promossa dagli emissari dell’IC con a capo Béla Kun e della ratifica della pace di Riga con la Polonia dopo il ripiegamento russo dell’agosto-settembre 1920, che dà un quadro di stabilità permanente all’Europa orientale definendo i confini di uno Stato chiaramente delimitato; dall’altro dell’intervento militare nella Georgia menscevica che rappresenta il compimento nella Transcaucasia della restaurazione territoriale di gran parte dell’ex impero zarista nella Russia sovietica, del trattato commerciale anglo-sovietico concluso da Leonid Krasin, sostenitore da qui in poi dell’obiettivo di una “NEP in politica estera”.

  Sia Meriggi che Scirocco hanno messo bene in luce l’ispirazione dei discorsi di Blum e di Turati: l’eredità di Jaurès nel primo, il richiamo alla “vecchia casa” (“garder la vieille maison”) e la difesa di una concezione del partito non monolitico e rappresentativo di culture e interessi sociali variamente organizzati; l’apologia, anche attraverso il richiamo all’ultimo Engels, di un marxismo riformistico, basato sull’idea di evoluzione sociale e inteso soprattutto come alternativa all’anarchismo e al blanquismo, nel discorso del secondo, espressione di un’ala minoritaria ma giustamente considerato da Luigi Cortesi “fondamentalmente rappresentativo di tutto l’arco delle forze riformiste e centriste”[6], e che vede nei problemi della ricostruzione del Paese dopo la guerra la via per riprendere la maturazione delle condizioni del socialismo.

  Diverso è il caso dell’altro principale documento di quella che potremmo chiamare la resistenza socialista all’incorporazione nella Terza Internazionale: il discorso di Martov ad Halle. In questo caso credo che sia importante considerare due vicende di politica internazionale che precedono e accompagnano il periodo di svolgimento dei nostri congressi e che trovano in quel discorso non solo un’ampia eco ma anche un’interpretazione che ne fa due pietre miliari per l’irrompere di nuove questioni che coinvolgono il movimento operaio nel suo insieme: la guerra russo-polacca, appena conclusa nell’ottobre 1920 con un armistizio e l’avvio delle trattative che avrebbero portato alla pace di Riga, e il primo congresso dei popoli dell’Oriente a Baku del settembre 1920, vero e proprio punto d’incrocio simbolico, come ha scritto Carr, che dà “il senso del duplice destino della Russia, in Oriente come in Occidente, in Asia come in Europa”[7], e a suo modo proseguimento della discussione sul ruolo delle borghesie nazionali nei Paesi coloniali che al II congresso dell’Internazionale comunista aveva visto come protagonisti Lenin e il comunista indiano Manabrenda Roy[8].

  Martov aveva appoggiato la conduzione della guerra contro la Polonia finché questa guerra aveva avuto il carattere di una risposta all’offensiva condotta dall’esercito polacco di Piłsudski in Ucraina e nella Russia meridionale. Ma si era opposto in seguito, fin dalla vigilia della battaglia decisiva di Varsavia dell’agosto 1920, all’immagine diffusa della guerra in Polonia come il “prologo della rivoluzione tedesca” e aveva rilevato le oscillazioni tra un’ideologia difensista della Russia sovietica e una scommessa sulla rivoluzione mondiale. Nel discorso di Halle, denuncia “il tentativo di scatenare artificiosamente una rivoluzione in Polonia, di accendere un incendio internazionale e chiamare i popoli della Germania e dell’Austria a sostenere un’aggressiva guerra rivoluzionaria della Russia sovietica contro l’Intesa”[9]. Analogamente nello stesso discorso viene rilevata, a proposito del congresso di Baku e con l’esempio in particolare del rapporto con Enver Pasha, responsabile del genocidio degli armeni, la spregiudicatezza con la quale gli appelli alla liberazione dei popoli delle colonie vengono adattati agli interessi geopolitici dello Stato sovietico nel quadro orientale e mediorientale. Gli indirizzi assunti dalla politica estera dello Stato sovietico (una Ostpolitik aperta al rapporto con quegli Stati che potevano opporsi alle potenze occidentali e in particolare alla Gran Bretagna e l’obiettivo dell’abbattimento dell’ordine di Versailles che già prefigurava in Germania l’accentuazione nazionalistica di Karl Radek nel 1923 con la “linea Schlageter”) non solo sono sottratti a ogni controllo internazionale, ma sono in grado di condizionare l’Internazionale stessa. Le priorità della politica estera del nuovo Stato divengono in tal modo una ragione dell’esistenza stessa di una nuova Internazionale e si riveleranno sempre più decisive nella storia dell’Internazionale comunista. Il rapporto tra la politica estera sovietica e l’Internazionale comunista e il carattere strumentale della seconda agli interessi della prima, già centrale in questo discorso di Martov, sarà di qui ad alcuni anni il tema ricorrente di un’opera come la Storia del bolscevismo di Arthur Rosenberg[10].

 Ho indicato altrove[11] come il Martov di questi anni, che sono gli ultimi della sua vita, sia impegnato – anche con la difesa delle ragioni di esistenza della USPD – nel progetto di costruzione di una nuova Internazionale, rivoluzionaria e indipendente, un’Internazionale che, secondo Martov, non poteva essere governata da uno Stato. Il discorso di Halle è un contributo a questo progetto, con la sua forte polemica contro ogni pretesa di sovranità sui movimenti di massa che si sviluppano in altri Paesi, contraria all’idea stessa di un’Internazionale rivoluzionaria e tanto più grave in quanto espressa da un partito che nella propria realtà ha il monopolio del potere.

di Andrea Panaccione


[1] Il discorso di Martov è stato letto dal suo compagno di partito, il menscevico Aleksandr Stein, per le già gravi condizioni di salute dell’autore, che sarebbe scomparso nel 1923.
[2] Aldo Agosti, Bandiere rosse. Un profilo storico dei comunismi europei, Roma, Editori Riuniti, 1999, in particolare pp. 27-33.
[3] Su di esso si veda Annie Kriegel, Comunismo ed estremismo nel primo dopoguerra francese. Il “Parti Communiste” del 1919, “Rivista Storica del Socialismo”, N. 18, Gennaio – Aprile 1963, pp. 1-26.
[4] Lettera di invito per il I Congresso dell’Internazionale comunista (24 gennaio 1919), in: A. Agosti, La Terza Internazionale. Storia documentaria, I, 1, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 18-22.
[5] USPD, Protokoll über die Verhandlungen des ausserordentlichen Parteitages in Halle. Von 12. bis 17. Oktober 1920, Berlin, 1920, p. 210.
[6] L. Cortesi, Le origini del PCI, Milano, FrancoAngeli, 1999, p. 265.
[7] Edward H.Carr, La rivoluzione bolscevica, Torino, Einaudi, 1964, p. 1049.
[8] Si veda A. Agosti, La Terza Internazionale, cit., I, 2. Martov nel suo discorso richiama queste discussioni, accennando alle “voci dei comunisti indiani e di altri Paesi orientali, che hanno assistito sgomenti al fatto che un governo comunista poteva allearsi con i loro diretti avversari di classe” (USPD, Protokoll, cit., p. 214).
[9] USPD, Protokoll, cit., p. 212.
[10] Per la traduzione italiana, si veda A. Rosenberg, Storia del bolscevismo, Firenze, Sansoni, 1933 (Nuova edizione, con Introduzione di Ernesto Ragionieri, 1969).
[11] Rinvio in particolare a: A. Panaccione, Socialisti europei. Tra guerre, fascismi e altre catastrofi (1912 – 1946), Milano, FrancoAngeli, 2000, pp. 20-21.

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