Nato a Palermo il 18 agosto 1889, storico del cristianesimo antico, del Risorgimento italiano, della Francia nell’età della Restaurazione, Adolfo Omodeo è stato una delle personalità più rilevanti della cultura italiana nella prima metà del secolo scorso.
Si era formato come storico dell’antichità e del cristianesimo nell’Università di Palermo, dove si era laureato con Giovanni Gentile, discutendo una tesi su Gesù e le origini del cristianesimo, che poi divenne il primo volume della sua trilogia sulle Origini cristiane. Il forte legame che lo unì in quegli anni e poi fin verso il 1926 a Gentile, e gli scritti di teoria della storia composti in quel periodo, dimostrano che in Omodeo la ricerca storica sulle origini cristiane, condotta con rigore filologico e con viva aderenza alle fonti, non si disgiungeva da un forte interesse filosofico. Il cristianesimo fu, per dirla in breve, interpretato come un momento di forte originalità creativa, che penetrava in profondità nel mondo antico rinnovandolo dall’interno: come una delle grandi primavere, per usare una sua tipica espressione, dello spirito umano la cui originalità che Omodeo interpretava come la rivelazione, non del divino, ma di una nuova etica, che avrebbe trovata la sua forma, nei tempi moderni, in quella di Kant. Questa interpretazione del cristianesimo nacque dunque a forte contatto con le passioni e i problemi suscitati dalla filosofia che, negli anni palermitani, Gentile andava definendo come una teoria del puro atto del pensiero.
Ma in Omodeo, che sentiva con forza i problemi della filosofia ma detestava il vuoto formalismo di molti filosofi di professione, l’attualismo ebbe sempre una forte una fortissima ispirazione, non solo storiografica, ma anche laica, confermata e ribadita nelle polemiche che egli condusse con gli esponenti della storiografia cattolica e confessionale, che sempre censurarono con asprezza le sue posizioni, ricevendone aspre repliche. Memorabile fu la polemica che, fra le altre, egli condusse anche con Ernesto Buonaiuti, ossia con il massimo esponente del modernismo italiano, nonché storico anche lui del cristianesimo antico. Una polemica che si attenuò negli anni del fascismo per ragioni di solidarietà politica e umana per essere stato quello studioso non solo scomunicato, come modernista, dalla Chiesa di Roma, ma anche, in ossequio al Concordato del 1929, privato della cattedra romana di Storia del Cristianesimo. Il che non implicò, per altro, che, a causa della solidarietà politica, le divergenze di metodo e di concezione si attenuassero; perché, al contrario, rimasero intatte, come indirettamente può vedersi dal diverso giudizio che egli dette di Alfred Loisy, il più grande dei modernisti francesi.
L’avvento del fascismo, al quale Gentile aveva dato fin dal 1923 il suo autorevole consenso, vide Omodeo ben presto schierato su posizioni ostili, che a partire grosso modo dal 1926 lo videro avvicinarsi sempre di più a Benedetto Croce. Le relazioni con Croce, subito emerso come il capo ideale dell’opposizione liberale al fascismo, furono senza dubbio rese più facili dall’essere Omodeo professore nell’Università di Napoli e residente in questa città. Ma non sarebbero diventate quali furono per tutta la durata del ventennio e, con Guido de Ruggiero, Omodeo non sarebbe stato il solo altro collaboratore della Critica, se la vicinanza non fosse stata innanzi tutto ideale, etica e politica e il fascismo non fosse stato l’oggetto di una comune detestazione. Si determinò in quegli anni il trapasso di Omodeo dagli studi sul cristianesimo, che egli tuttavia proseguiva e a cui dava seguito nella sua attività di professore, alla storia del Risorgimento, alla quale si aggiunse più tardi quella dell’età della Restaurazione in Francia.
Contro le varie agiografie nazionalistiche, e in polemica con il mito sabaudo, del Risorgimento italiano egli studiò, con accenti nuovi, sia la componente mazziniana sia quella che faceva capo al conte di Cavour, al quale dedicò un’opera imponente che, sebbene il fascismo gli impedisse di compiere determinate indagini archivistiche, è tuttora fondamentale. Del moto risorgimentale rivendicò l’ispirazione, liberale e democratica, e, soprattutto, lo vide nascere dal centro vivo della storia d’Europa, dalla cultura a cui gli uomini che gli dettero l’avvio avevano guardato e di cui si erano nutriti. Fu quella che egli combattè sul piano storiografico una battaglia che aveva a oggetto anche il fascismo, visto come la negazione di tutto ciò che di grande il Risorgimento aveva rappresentato. Ma lo storico del cristianesimo dava continuo segno di sé nelle pagine dedicate al Risorgimento, che ne ricevettero una vibrazione del tutto particolare, un’intensità che le rende indimenticabili. Da quella esperienza, che era stata innanzi tutto morale, trasse origine il suo ripensamento del grande tema della libertà, il cui concetto era per lui non diverso da quello che Croce aveva elaborato negli anni del fascismo, sebbene di quello egli valorizzasse l’aspetto dinamico e propulsivo e al sostantivo «libertà» aggiungesse l’aggettivo «liberatrice».
Per questo impulso liberatore e riformatore che animava il suo antifascismo, a Napoli dopo la liberazione, aderì, non al Partito liberale, ma a quello d’Azione. E sebbene seguitasse a sentirsi solidale nel profondo con Benedetto Croce, non poté evitare di formulare sul vecchio ceto liberale prefascista, divenuto conservatore e spesso reazionario, e rimasto fedele alla monarchia compromessa col fascismo, un giudizio assai aspro, che trovò in lui, studioso di Giovanni Calvino, accenti etici di particolare intensità.
Morì a Napoli il 28 aprile 1946 a soli cinquantasei anni. E, ripensata oggi, la sua morte improvvisa e prematura appare come una grave sciagura, perché privò l’Italia, che ne aveva gran bisogno, della lucidità del suo giudizio e dell’intransigenza morale che apparteneva alla sua indole e che egli aveva fortificata leggendo e interpretando Calvino, duro e inclemente riformatore, come lo definì, ma anche per questo, maestro di libertà.