Lucia Tancredi, Ersilia e le altre. Storia straordinaria di donne e bambine all’alba del femminismo, Ponte alle Grazie, Milano 2025
Ricorre quest’anno il centesimo anniversario della morte di Anna Kuliscioff, un’occasione imperdibile per tornare a parlare di una figura così importante e singolare del socialismo italiano. Ma Anna non è stata solo una socialista. Il suo ruolo nella costruzione del pensiero e della pratica femminista è fondamentale, come testimonia il discorso da lei tenuto il 27 aprile 1890 al Circolo Filologico di Milano, Il monopolio dell’uomo:analisi perfetta e impietosa del patriarcato imperante. Se dunque Kuliscioff è spesso descritta quasi unicamente in relazione al socialismo e al suo sodalizio politico e affettivo con Andrea Costa prima e con Filippo Turati poi, non si sottolineerà mai abbastanza la sua militanza nell’ambito del movimento femminista, che la porta in alcune occasioni a scontrarsi direttamente con il partito il quale assume spesso posizioni ambigue, specie riguardo alla questione del diritto di voto per le donne. Kuliscioff, però, non intende rimandare a un futuro incerto e lontano la liberazione delle donne, e nel suo battersi per i diritti femminili, quale parte inscindibile della costruzione di un mondo nuovo, diventa ben presto uno snodo cruciale di quella rete di donne, associazioni, circoli, riviste cui le italiane danno vita sin dagli anni immediatamente post risorgimentali. Si creano così dei grandi e piccoli crocevia che, facendo a meno di una costruzione gerarchica dei rapporti politici e di militanza, caratterizzano la rete – un vero e proprio web fisico ante litteram – del femminismo emancipazionista e pratico del nostro paese. Una rete di donne straordinarie che troppo spesso sono state dimenticate, anche dallo stesso movimento femminista. Ecco quindi che, accanto e insieme ad Anna Kuliscioff, prendono forma altre figure. Quella, ad esempio, di un’altra grande protagonista di quella temperie culturale e politica: Alessandrina Ravizza. Alla sua morte, nel gennaio del 1915, la stampa cittadina la definisce «la donna più famosa di Milano» e innumerevoli sono gli appellativi che le vengono assegnati: la «filantropa di professione», la protettrice degli umili e dei diseredati, la «contessa del brodo», così chiamata per aver creato le mense per i poveri, una «santa laica», nonostante rifugga da ogni riferimento religioso e mistico. Alessandrina è stata una vera e indiscussa protagonista della filantropia non più intesa come elemosina, ma come strumento per mettere i più poveri, gli ultimi, gli esclusi, nella condizione di potersi guadagnare dignitosamente di che vivere, in sintonia con quanto va facendo, a partire dai primi anni del Novecento, la Società Umanitaria. Poiché le donne sono una parte consistente degli esclusi, la battaglia per la loro tutela – economica, sanitaria, legislativa – diventa fondamentale per Alessandrina, capace di trasformare radicalmente il concetto stesso di filantropia mutandolo in assistenza, precorritrice di ciò che nel Novecento sarà lo Stato sociale.
Ancora, un’altra protagonista di quella stagione così ricca del femminismo italiano e milanese di cui si parla troppo poco è Ersilia Bronzini Majno, a cui sia Anna che Alessandrina sono legate da una profondissima amicizia. Anche Ersilia è uno dei molti crocevia della rete femminile e femminista, intorno al quale si aggregano energie plurali da cui scaturiscono riflessioni, iniziative e istituzioni, alcune delle quali ancora oggi attive e vitali. A narrare la sua vita si è dedicata Lucia Tancredi, con il bel romanzo Ersilia e le altre, un titolo che restituisce con immediatezza la capacità e la necessità di procedere insieme: fare gruppo, essere forza politica in grado di esercitare pressioni e influenza, elaborare progetti di legge, proposte normative, relazioni, studi, azioni pratiche nell’immenso campo della battaglia per la conquista dei diritti per le donne. Ma il tono confidenziale, amicale, del titolo suggerisce anche come, insieme alla condivisione ideale e politica, vi siano tra Ersilia e le altre rapporti profondi di affetto, legami inscindibili di confidenza, amicizia, amore: legami che resistono alle divergenze, alle incomprensioni, alle differenze di sensibilità e caratteri. Per la maggior parte di loro, l’amore «laicamente inteso», è non solo un legame affettivo ma soprattutto il motore primo di ogni agire politico. È un concetto che ereditano dalle patriote risorgimentali e dai loro insegnamenti (Laura Solera Mantegazza, Adelaide Bono Cairoli, Gualberta Alaide Beccari), nel cui solco iniziano la loro militanza. Solera Mantegazza, di cui sia Alessandrina Ravizza che Ersilia Majno si considerano discepole ed eredi spirituali, è una mazziniana convinta, non esita ad aiutare gli insorti durante le Cinque giornate di Milano, presta soccorso ai feriti, organizza collette per finanziare le campagne di Garibaldi, nasconde i ricercati dalla polizia austriaca ed è essa stessa costretta all’esilio. Nel 1859 stila il Proclama alle donne italiane, alle quali ricorda che se le donne non possono imbracciare i fucili contro gli austriaci, possono però comprarli «a costo di essere disapprovate dai familiari, di intaccare il patrimonio, di impoverire la nostra casa», e aggiunge: «facciamolo perché gli uomini la smettano di relegarci in cucina, casalinghe e modeste, e capiscano che possiamo essere loro compagne». Queste donne non sono affatto madri dolorose, pie e sante cui si deve solo un muto rispetto per aver “donato” i figli alla causa italiana: sono militanti determinate e agguerrite, capaci di tessere relazioni politiche, di aggirare le censure e di fronteggiare la repressione austrica. Né limitano la loro azione alla causa patriottica: Mantegazza fonda, con Ismenia Sormani Castelli, il primo Asilo per lattanti (1850) destinato ai figli delle operaie, l’Associazione generale di Mutuo soccorso delle operaie di Milano (1862) e la Scuola professionale femminile (1870). Sono istituzioni innovative, che individuano i bisogni pratici e impellenti a cui è imperativo dare una risposta. Qui Alessandrina, Ersilia e molte altre iniziano il loro “apprendistato” nell’assistenza alle donne, innovando continuamente per far fronte a nuovi bisogni. Nascono così, ad esempio, la Mensa per gli ammalati poveri con annesso l’Ambulatorio medico (1879), a cui si aggiunge in seguito la Guardia ostetrica. La collaborazione tra Ravizza, imbattibile nel trovare i fondi, Anna Kuliscioff (la “dottora”) ed Ersilia Bronzini Majno con la sua grande capacità organizzativa, insieme a decine di altre donne, muta in pochi anni il panorama assistenziale di Milano, città in rapidissima trasformazione in cui il conflitto di classe assume forme assai aspre. I “fatti del ’98” e la conseguente violenta repressione ne sono il simbolo più noto. È proprio in questa occasione che Ersilia riesce a dare forma compiuta ad una intuizione («se siamo da sole, isolate, ci mangiano in un boccone») che la spinge a cercare di unire, collaborare, rompere l’isolamento. Con un grande lavoro di convincimento e di mediazione, Ersilia, Jole Bersellini, Ada Negri, Antonietta Pisa, Silvia Pojaghi, Carolina Ponzio, Nina Sullam Rignano, Irma Scodnik, Nina Ottolenghi Levi, Adele Riva, Giuseppe Mentessi, Gaetano Meale e Alberto Vonwiller fondano nel 1899 l’Unione Femminile. Una casa per tutto l’associazionismo femminile, dove poter aiutare le donne a conoscere e far valere i propri diritti, studiare i modi per cambiare, migliorare, proporre nuove leggi e normative. L’Unione esiste ancora, nella sua bella sede di Corso di Porta Nuova, e continua a svolgere il ruolo fondamentale per cui è nata, aggregando sin dalla fondazione dentro e intorno a sé innumerevoli donne, spesso legate tra loro da vincoli amicali e politici. In quegli anni vi passano, tra le altre, Rosa Genoni (la vera inventrice della moda italiana), Sibilla Aleramo, Linda Malnati, Elisa Boschetti, Bambina Venegoni, Giacinta Pezzana (una grandissima attrice, contemporanea della Duse, ma sfortunatamente mai abbastanza ricordata): ognuna di loro meriterebbe un libro.
Ma la creatura più cara al cuore di Ersilia, che mai l’abbandonerà e che è tuttora esistente, è una istituzione che trasforma il concetto stesso di assistenza: l’Asilo Mariuccia, fondato nel 1902 dopo la morte improvvisa di sua figlia Maria. Un luogo pensato per accogliere bambine abusate sessualmente o avviate alla prostituzione, dove offrire rifugio, protezione, istruzione. Una sorta di casa famiglia ante litteram, un ambiente caldo, affettuoso e confortevole in grado di riportare serenità e speranza nella vita di moltissime «mariuccine».
Il romanzo di Ersilia e delle altre, di tutte le altre, così magistralmente narrato da Lucia Tancredi, ci permette di riprendere il filo di una storia di fondazione, sottraendoci allo stereotipo che vuole le donne incapaci di “fare rete”. La pratica della scrittura, così intensamente frequentata dalle femministe di quei tempi, che fondano riviste e giornali, scrivono relazioni, disegni di legge, proposte, petizioni, interventi per convegni e incontri, saggi che circolano in Italia e in Europa, ci lascia un notevole corpus teorico e pratico cui attingere a piene mani. L’abitudine a scambiarsi tra loro lettere, note, biglietti con una frequenza quasi quotidiana ha creato meravigliosi epistolari circolari, dove le analisi si fanno intime e profonde, rivelando al contempo il lato più vitale, allegro, caustico, ironico, sboccato e irriverente di queste donne, così intensamente vive ancora oggi.
di Paola Signorino


