È una suggestione provocatoria, ma l’8 settembre ’43, che segna il principio della fine della dittatura, quest’anno si collega al 28 ottobre 1922 in un clima molto particolare. Fratelli d’Italia, ex Alleanza Nazionale, ex Movimento sociale va vinto le elezioni e Giorgio Meloni, ex Fini, ex Almirante è Presidente del Consiglio. La democrazia vede anche dinamiche di questo genere, impreviste. E, forse, imprevedibili.

Infatti, facendo due conti: nel 1976, quando la Dc aveva il 38,71 % dei voti e il Pci il 34,37, il Msi deteneva una percentuale del 6,10. Nelle politiche 2018 il quoziente di Fratelli d’Italia fu del 4,25 (a cui va aggiunto lo 0,84 di Casa Pound). Oggi Giorgia Meloni è arrivata al 26, 24 %. Domanda apparentemente inquietante: gli italiani sono diventati fascisti?

Che i tempi siano strani si era visto poche settimane prima quando avevamo letto i risultati delle elezioni svedesi, dove non solo ha vinto la destra, ma con un partito determinante che, nonostante si chiami Partito Democratico, è neonazi: la Svezia, tempio della socialdemocrazia realizzata, ridotta così?

Senza dare troppo colpe alla sinistra italiana – ma anche senza la minima indulgenza – è evidente che dobbiamo porci domande che evitino di stigmatizzare senza indagare ogni volta la causa del crescente astensionismo e tentare di spiegare perché oggi “piace” Fratelli d’Italia senza essere fascisti. Dimenticata la pur recente aggressione alla Camera del Lavoro di Roma? Nemmeno io credo che in futuro ci saranno problemi di democrazia in Italia, anche se voglio vedere la reazione della base “fascio” il 28 ottobre. Comunque la tranquilla accettazione da parte di La Russa del 25 aprile e del 2 giugno o il mazzo di rose bianche alla meravigliosa senatrice a vita Liliana Segre non possono far dimenticare che al voto si andava un paio di settimane dopo l’8 settembre, data che segna la fine del lungo processo di un fascismo nato dalla crisi del primo dopoguerra.

Le guerre lasciano sempre conseguenze nefaste anche quando sono registrate come “vittorie” che si continuano a celebrare ogni 4 novembre: nel 1918 la gloria non risolveva la crisi economica, i reduci e i mutilati a cui provvedere, la paura degli scioperi dei lavoratori del nord che occupavano le fabbriche (vorranno mica fare con in Russia?) diede spazio e consenso alle camicie nere che “portavano ordine”. Nel 1921 a Bologna la violenza era entrata all’interno del Consiglio comunale uccidendo un consigliere, si sapeva che cosa succedeva alle Case del Popolo e ai socialisti: nemmeno i poteri forti sostenitori potevano immaginare che anche loro vent’anni dopo avrebbero pagato il conto di una dittatura pericolosa e duplicata nel nazismo alleato e feroce occupante. Nemmeno a mio padre, ragazzo già “contro” nel ’21 e convinto che i fascisti sarebbero andati a Roma per aggredire il Parlamento: diceva che bastava guardarsi attorno. Ma per quelli come mio padre incominciò la lunga marcia contro il regime: non bastarono l’impoverimento, la guerra coloniale (doveva essere un insuccesso, ma l’Etiopia e la Somalia divennero “l’impero”), le sanzioni della Società delle Nazioni per l’aggressione all’Etiopia e l’uso dei gas, rimaste per la stampa asservita iniqua reazione delle plutocrazie, la conquista dell’Albania in sfida a Hitler che nel 1938 aveva “annesso” l’Austria: il consenso popolare non si incrinava. Quando Mussolini il 10 giugno 1940 dichiarò la guerra a fianco del nazismo, il popolo se ne assunse coralmente la responsabilità, mentre mio padre sapeva che “Costerà milioni di morti, ma è la fine”: l’8 settembre segna la resa del duce, l’intensificarsi dei bombardamenti e l’attivismo dell’organizzazione partigiana “rossa” e “azionista” unita agli interventi degli alleati e ai comunicati speciali della radio clandestina. Fu davvero chiaro che cosa era stato il 28 ottobre 1922? Erano tutti fascisti gli italiani che votarono Mussolini?

Un secolo dopo sono dimenticate le responsabilità del 28 ottobre – il tradimento del re, gli interessi della rendita e dell’impresa, l’egoismo proprietario del ceto medio, le tensioni della classe lavoratrice rappresentata da un partito socialista forte in Parlamento e da entusiasmi rivoluzionari che avevano portato alla scissione socialista con la fondazione del Partito Comunista d’Italia; ma anche la guerra e i suoi disastri, la Resistenza, la Repubblica, la ricostruzione e tutti questi decenni di cittadini e cittadine italiani ormai anche europei e italiani sono diventati il settimo paese industrializzato? Non mancano libri e rievocazioni culturali e, parlando politicamente di una materia abbastanza sedimentata, potremmo dirci antifascisti come ci diciamo risorgimentali. Solo che gli affiliati alla destra che ha vinto le elezioni, ricordano bene il passato, hanno assalito la Camera del Lavoro, hanno vinto a Sant’Anna di Stazzema, a Sesto San Giovanni (!) Isabella Rauti, ha battuto Emanuele Fiano come a Cremona la Santanchè (!) Cottarelli, mentre “a Bologna” il Pd ha “vinto” perché presentava come “suo” rappresentante Casini contro Sgarbi.

Inutile prendersela con quell’onest’uomo che è Letta, anche perché il Pd non ha perso voti rispetto al 2018: è che la Meloni nel 2018 aveva il 4,35 %e oggi supera il 26. Negli ultimi vent’anni il Pd ha voluto solo partecipare al governo. Con chiunque, perfino con i grillini del vaffanculo, fotocopia sputata del “me ne frego” di Mussolini, concedendo al M5S perfino la riforma costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari e che si sapeva dannosa per la sinistra che non arriva mai alle elezioni coesa.

Oggi il Pd è visto dalla gente “come il partito dei ministeri e della poltrone”: un’identità non voluta e in parte non meritata, che rende ragione della morte nel 1994 dei cinque partiti dell’arco costituzionale, escluso il Pci che disgraziatamente aspettò l’89. Erano diventati “macchine di potere e di clientele” secondo il giudizio di Berlinguer nel 1981. Il Pci si era stancato di stare all’opposizione e si arrese non all’astensione concordata con Moro per una svolta inedita, ma alla spartizione del potere. Come l’astensione, in questa tornata elettorale si è delineata per la prima volta la scelta deliberata di non votare più i frantumi di una sinistra disunita e rissosa che non accettare la pluralità di sinistre, interne ed esterne, capaci di convivenza. Ma se il Pd farà il congresso solo per nominare il nuovo segretario senza ragionare di idee, avrà ragione l’eretico Renzi: in Parlamento ci saranno due partiti di opposizione.

Tuttavia, anche se lo scenario resta drammatico – tra i postumi della pandemia, la guerra, la crisi economica, la crisi ambientale, lo scarso livello di sentimento europeista – forse uno come mio padre, dopo tutto un secolo di esperienze direbbe alle generazioni nate dopo: “se avete un po’ di cervello e tenete ai vostri interessi, forse la Meloni vi aiuta a farla finita con fascismo”.

Rubrica 
di Giancarla Codrignani

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