L’esperienza del Governo Parri rappresentò un momento di sperimentazione e discussione sulla struttura istituzionale da dare al futuro Stato italiano. Uno di questi esperimenti fu legato all’istituzione nel neonato Ministero della Pubblica Istruzione di un Sottosegretariato con delega a Belle Arti e Spettacolo. Si trattava di un incarico già brevemente esistito, istituito dal Governo Nitti del 1919 e successivamente eliminato nella riforma del 1923. La reintroduzione della figura del Sottosegretario rappresentava quindi una delle tante iniziative volte a riprodurre la situazione istituzionale precedente all’avvento del fascismo, ma rifletteva anche una discussione in corso tra i professionisti del settore su come affrontare gli effetti della guerra sul patrimonio artistico e su che forma dovesse assumere negli anni successivi l’Amministrazione delle Arti.

L’introduzione del Sottosegretariato fu interpretata in questo senso soprattutto perché a ricoprire l’incarico fu chiamato uno dei protagonisti di questa discussione: Carlo Ludovico Ragghianti. Naturalmente, una figura del calibro di Ragghianti era una scelta quasi naturale per il ruolo: si trattava di uno dei pochi studiosi in grado di vantare una competenza “tecnica” in entrambi i settori. Negli anni Trenta era stato uno dei primi critici d’arte a scrivere di spettacolo e di cinema come forme di arte figurativa, tema di cui avrebbe continuato ad occuparsi a lungo, oltre ad avere un curriculum antifascista di tutto rispetto, essendo stato tra i fondatori del Partito d’Azione e poi delle Brigate Rosselli, e successivamente presidente del CLN toscano e capo del governo provvisorio di Firenze.

Dato il suo ruolo dirigenziale e la sua competenza, Ragghianti era stato già prima della Liberazione il punto di riferimento naturale per tutti i funzionari toscani dei beni culturali che volevano comunicare con gli Alleati e per quanti premevano per l’epurazione dei funzionari che erano stati in qualche modo coinvolti con l’amministrazione fascista. Su questa questione egli si era infatti dimostrato piuttosto intransigente, cosa che avrebbe causato anche alcuni conflitti con i funzionari ministeriali durante il suo mandato da Sottosegretario.

È però indubbio che la scelta di Ragghianti rappresentava anche una risposta alla sopracitata discussione sulla riforma delle Arti, avendo egli reso nota pubblicamente la sua personale proposta in merito, che prevedeva nel breve termine proprio l’istituzione di un Sottosegretariato come quello che fu chiamato a dirigere. Nei mesi precedenti alla sua nomina, Ragghianti aveva infatti pubblicato due interventi in materia su “La Nuova Europa”. La rivista aveva ospitato, tra il dicembre 1944 e la primavera 1945, una vivace discussione sulla riforma delle Belle Arti, innescata dalla proposta del critico teatrale Silvio D’Amico di istituire un Ministero delle Belle Arti che si occupasse del patrimonio artistico italiano, di cinema e teatro. Questi ultimi, quindi, avrebbero dovuto essere sottratti alla competenza del Ministero della Cultura Popolare per restituirli all’Amministrazione delle Arti, che però da Direzione Generale avrebbe dovuto diventare un Ministero autonomo.

All’interno della discussione di questa proposta, Ragghianti intervenne con un articolo sul numero del 4 marzo 1945 de La Nuova Europa intitolato Riorganizzare le Belle Arti, avanzandone pubblicamente una propria, che diceva aver già presentato ad “alcune personalità del Governo” [1] nel settembre 1944. Lo studioso si diceva favorevole all’istituzione di un Ministero, che però riteneva avrebbe dovuto avere tra le proprie competenze, oltre ad arti e spettacolo, anche il turismo. Egli, infatti, individuava nel patrimonio artistico la principale attrattiva turistica del paese e riteneva che includere il turismo tra le competenze del nuovo ipotetico Ministero fosse funzionale a rendere evidente il valore economico che aveva per l’Italia dello stesso patrimonio artistico. Secondo Ragghianti, l’investimento nel patrimonio artistico sarebbe quindi stato da considerare alla stregua degli altri investimenti finalizzati allo sviluppo economico ed industriale, il che avrebbe a suo giudizio legittimato anche gli eventuali costi aggiuntivi legati alla creazione di un ministero dedicato.

I costi, nella visione del critico lucchese, sarebbero però stati limitati dal fatto che egli proponeva una radicale riorganizzazione dell’Amministrazione delle Arti che avrebbe quasi completamente svuotato gli uffici centrali per dislocare tutti i funzionari tecnici sul campo, aumentando così il troppo scarso personale degli uffici periferici. Oltre a questo trasferimento verso la provincia del personale tecnico degli uffici centrali, per affrontare il problema dei danni di guerra e della ricostruzione lo studioso suggeriva una mobilitazione straordinaria di tutte le figure competenti, anche all’esterno dell’Amministrazione delle Arti – dai professori universitari ai direttori dei musei – per la tutela e il recupero del patrimonio artistico italiano. Ragghianti probabilmente intendeva ispirarsi a quanto fatto a Firenze dove, data la sospensione dal servizio per motivi politici del Soprintendente ai monumenti, il CLN aveva nominato una commissione per vigilare sulla rimozione delle macerie dei lungarni, composta da architetti e storici dell’arte, in parte dipendenti dell’amministrazione delle arti – anche se non sempre facenti capo alla sede fiorentina –  in parte scelti tra i militanti azionisti esperti del settore. [2] Si trattava di un modello comprensibile in una situazione emergenziale, ma che non poteva risolvere la cronica carenza di personale per il funzionamento ordinario del settore. Per risolvere questo problema sarebbero invece stati necessari i maggiori investimenti che lo studioso proponeva di giustificare in nome del potenziale economico rappresentato dal turismo.

In attesa di poter realizzare la sua proposta di riforma, che avrebbe inevitabilmente richiesto tempi piuttosto lunghi, Ragghianti suggeriva di creare “se non un ministero, un sottosegretariato autonomo per le arti” [3] già nell’immediato, per coordinare la risposta ai drammatici problemi legati alla ricostruzione, che avesse anche l’autorità di decidere la mobilitazione straordinaria da lui auspicata. Ragghianti richiamava come esempio il già citato Sottosegretariato alle Arti e Spettacolo del 1919, ma suggeriva di aggiungere alle sue competenze anche l’urbanistica, proprio nell’ottica della ricostruzione.

La nomina di Ragghianti a quel preciso incarico appariva quindi come un primo passo nella direzione da lui indicata e un’implicita dimostrazione di sostegno alla sua proposta da parte del governo. Egli riuscì anche ad ottenere alcuni risultati importanti soprattutto per quanto riguardava il riconoscimento del contributo che l’urbanistica avrebbe potuto dare alla ricostruzione, istituendo anche un ufficio specializzato in materia.

Su altre questioni il suo ruolo non riuscì ad essere altrettanto incisivo. La sua proposta di riorganizzazione non ebbe però il successo sperato. Ragghianti non riuscì nemmeno a far approvare un decreto da lui presentato al Ministero per istituire in via sperimentale un Commissariato per la ricostruzione, che potesse avviare l’auspicata mobilitazione. L’autorità del suo ufficio rimase fortemente limitata anche per quanto riguardava un’altra questione fondamentale di quei mesi, ossia quella delle restituzioni delle opere sottratte dai tedeschi. Ragghianti entrò infatti rapidamente in conflitto con l’Ufficio Recuperi di Rodolfo Siviero, figura dal passato poco limpido che godeva però del sostegno degli Alleati. Questi contrasti si tradussero in uno scambio di accuse anche pesanti, soprattutto da parte di Siviero che arrivò addirittura ad insinuare che Ragghianti fosse stato coinvolto in una delle vicende di sottrazione illegittima di opere d’arte dall’Italia. Le accuse furono smentite da un’indagine promossa direttamente dal Presidente del Consiglio Parri e dal suo vice Manlio Brosio ma, nonostante il riconoscimento della sua innocenza, lo studioso non riuscì ad ottenere la revoca dell’incarico a Siviero. [4] L’amarezza per questa vicenda e la frustrazione per l’insuccesso del suo tentativo di riforma indussero Ragghianti a rientrare a Firenze dopo la fine dell’esperienza del Governo Parri.

La sua idea di riforma, e più in generale la discussione di quei mesi sulla riorganizzazione all’Amministrazione delle Arti, restano però una parte degna di nota di quella fase di progettazione della nuova forma da dare all’Italia. Alcuni aspetti della sua lettura della situazione – in particolare il legame tra beni culturali e turismo, l’inclusione dell’urbanistica tra i temi di competenza del sottosegretariato, che anticipava l’introduzione da parte della Costituente del paesaggio tra le materie di tutela del patrimonio culturale – anticipavano aspetti chiave della forma poi assunta dal ministero da lui immaginato.


[1] C. L. Ragghianti, Riorganizzare le Belle Arti, “La Nuova Europa” 4 marzo 1945.

[2] La delibera di nomina della commissione comparve anche sul “Corriere di Firenze” del 23 agosto 1944 in un articolo dal titolo Una commissione per la rimozione delle macerie.

[3] C. L. Ragghianti, Riorganizzare le Belle Arti, cit.

[4] Una ricostruzione abbastanza bilanciata della vicenda è quella di Federica Rovati, Italia 1945: il recupero delle opere d’arte trafugate dai tedeschi, in “ACME – Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano” 2005, pp. 265-292.

di Alice Leone 

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