Brenna è, oggi, una tranquilla località turistica dell’Alta Slesia, in Polonia. Immersa tra i boschi, conta poco più di diecimila abitanti. A una settantina di chilometri, a nord est, c’è Auschwitz, uno tra i più orrendi campi di sterminio nazisti che racchiude la memoria di storie note e meno note di tribolazioni, di torture, di sofferenze, di morte. È ad Auschwitz che il cuore di Anna Frank cessò di battere, come quello di milioni di ebrei ma, anche, di zingari e polacchi, di russi e soldati italiani, di zingari e di omosessuali.
Negli anni del secondo conflitto mondiale, anche Brenna fu sede di un lager con le sue mostruosità e anche lì c’erano prigionieri italiani utilizzati dall’industria tedesca per i suoi scopi criminali. L’andamento della guerra delinea la ormai definitiva sconfitta della Germania nazista ma la serpe, avvertendo la sua inesorabile fine, si dibatte morente sferrando i suoi ultimi colpi di coda. Già a partire dall’inizio del 1945, la zona è sottoposta a bombardamenti da parte degli Alleati che si fanno sempre più intensi; l’Armata Rossa avanza, sbaragliando l’esercito germanico.
Convinti che attendere lo sviluppo degli eventi significasse essere uccisi da un momento all’altro – i nazisti non intendevano lasciare testimonianza delle bestialità e dei crimini commessi nei campi di sterminio disseminati in Germania, Polonia, Austria – il 13 febbraio di quell’anno quindici italiani, approfittando di un bombardamento in atto, tentano la fuga dal lager nella disperata speranza di sottrarsi a un tragico destino. I loro nomi: Vittorio Vigiana di Potenza, caporalmaggiore; Rosario Angione di Salerno; Antonio Bernabei di Rieti; Luigi Bideri di Trento; Gennaro Calabria di Taranto; Ausonio Fantini di Parma; Felice Farrari di Bergamo; Mario Giubbolini di Palai (Pi); Primo Grassi di Milano; Marcello Migliorini di Verona; Battista Pinetti di Bergamo, Remidò Reucci di Firenze e Guerrino Rossini di Verona.
Il gruppo dei fuggitivi guadagna il riparo dei boschi di cui è piena la vallata. S’imbatte nei partigiani russi e polacchi che perlustrano la zona. La scelta di unirsi a loro è immediata e unanime: la libertà, più che un miraggio, appare adesso una certezza. Ma, in uno dei tanti scontri armati con le SS, quando ormai la libertà sembrava a portata di mano, la banda di ribelli viene annientata e i quindici evasi vengono nuovamente catturati. Per due di essi la vita viene stroncata in quel momento, finiti con un colpo di pistola alla nuca, condividendo la sorte con i pochi partigiani russi e polacchi sopravvissuti al combattimento.
Ai tredici italiani, inorriditi per il cinismo dei tedeschi e per la consapevolezza della loro fine imminente, è riservata una morte più lenta, più barbara, secondo i rituali nazisti: i prigionieri vengono rinchiusi in una baracca di legno e, dopo averla cosparsa di benzina, le SS appiccicano il fuoco. Gli italiani, tra atroci spasimi, moriranno tutti carbonizzati.
di Mario Gianfrate