Altiero Spinelli volle farsi seppellire a Ventotene dove, con Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, aveva scritto il celebre manifest0 nel 1940-41. Quando lasciò il luogo di confino (successivo al carcere fascista), libero di dare corpo al sogno, scrisse:

guardavo sparire l’isola nella quale avevo raggiunto il fondo della solitudine, mi ero imbattuto nelle amicizie decisive della mia vita, avevo fatto la fame, avevo contemplato, come da un lontano loggione, la tragedia della seconda guerra mondiale, avevo tirato le somme finali di quel che ero andato meditando durante sedici anni, avevo scoperto l’abisso della rassegnazione, le virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l’ebbrezza della creazione politica, il fremito dell’apparire delle cose impossibili.

Frase per frase è la storia. La storia della resistenza morale di lungo periodo. Nessun reducismo. La libertà di coscienza non permette soluzioni di continuità: contiene un suo ambizioso rigore che patisce le delusioni del limite umano, ma non conosce cedimenti né indulgenze. Mio padre mise in tasca il distintivo del CLN il primo giorno in cui era autorizzato a portarlo e lo mise in tasca appena vide un fascista voltagabbana che lo portava, ma non si permise esasperazioni né vendette. Spinelli pensò subito a rimboccare le maniche al sogno:

Occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo che sarà la più grandiosa e più innovatrice [sic] sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazi decisamente le autarchie economiche….. In attesa di un più lontano avvenire in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo…..l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo.

Eletto deputato, 22 anni dopo i Trattati di Roma, al primo Parlamento europeo primo gradino necessario di una grande costruzione da tradurre in realtà. Il perenne conflitto con il Consiglio, l’organismo che rappresenta gli interessi dei governi, per Spinelli, che riteneva il Parlamento un’assemblea costituente permanente, significava sperimentare la prigionia di interventi praticamente solo consultivi, rispetto alle potenzialità politiche non velleitarie del progetto. Posso testimoniare l’impazienza rabbiosa con cui, quando scendeva a Montecitorio, tentava di smuovere la sinistra italiana a reagire e di combattere la sordità di un PCI in ritardo sull’impegno federalista. C’era bisogno di dare forza alla cultura dei cittadini poco aiutati a capire che essere europei era nel loro interesse, si trattava di loro importanti interessi. Spinelli premeva su Bruxelles, cercava con contatti e relazioni personali (il Club del Coccodrillo), con lettere ai parlamentari, con gli interventi d’aula di premere sull’istituzione. Riuscì a vedere approvato il “progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea”. Sintetizzò così un giudizio sull’istituzione:

l’esistenza dei problemi comuni è ammessa; la necessità di apportarvi delle risposte comuni è riconosciuta; la capacità di formulare queste risposte in una entità politica europea e un’entità amministrativa europea esiste, ma la procedura rende difficile se non impossibile l’elaborazione della concezione europea e la formazione del consenso europeo mentre tale procedura esalta le preparazioni nazionali e favorisce la formazione di consensi interni sui problemi.

Schematicamente, oggi la situazione è più o meno la stessa. Politicamente Spinelli l’avrebbe giudicata peggiore: la guerra, le difficoltà economico-finanziarie, il covid, ma anche la presenza in Europa di governi che mettono a rischio lo Stato di diritto o rappresentano un passato che non passa, nettamente fascista, per giunta in Italia dove è nato. Oggi Spinelli avrebbe già iniziato una campagna elettorale per il 9 giugno dell’anno prossimo e si sarebbe arrabbiato con la solita sinistra che non ha ancora iniziato a ricordare agli italiani che sono europei.

Il nuovo antifascismo è cultura federale, non solo perché il governo “deve” sottostare alle regole di Bruxelles, ma perché il nazionalismo, il sovranismo, l’etnicismo razzista dei paesi reazionari sono antitetici all’Europa federale pensata dagli antifascisti di Ventotene. Era una minoranza di oppositori: pochi individui che hanno anticipato il senso della guerra partigiana contro il regime che aveva addormentato le coscienze. Quella lezione rinnova oggi l’antifascismo per dare memoria al futuro, promotore di un’Europa federale per rafforzare la cultura della libertà, della giustizia, della dignità in tempi diversamente difficili.

di Giancarla Codrignani 

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