Paola Signorino

Anna Tonelli, Nome di battaglia Estella. Teresa Noce, una donna comunista del Novecento, Le Monnier, Firenze, 2020

La biografia di Teresa Noce (1900-1980), scritta da Anna Tonelli e pubblicata nel 2020, contribuisce a colmare un vuoto e ad arricchire il filone volto a riscoprire finalmente le vite di innumerevoli donne protagoniste del Novecento italiano. Il ritorno di interesse per le figure femminili della nostra storia e in particolare per Teresa Noce è testimoniato anche dal recente volume di Valerio Varesi, Estella. La vita straordinaria e dimenticata di Teresa Noce, Neri Pozza, 2024, una intensa biografia romanzata della dirigente comunista.

Tonelli riporta invece su Teresa Noce l’attenzione storiografica: è una figura complessa, dirompente, capace di suscitare grande ammirazione e di essere al contempo conflittuale all’interno del suo stesso partito. La “rivoluzionaria professionale”, fondatrice del Partito Comunista d’Italia insieme a Gramsci, Togliatti, Bordiga; la compagna Estella, nome di battaglia assegnatole da Togliatti, che non esita a contraddire, a discutere, a non accettare imposizioni contravvenendo spesso alla disciplina di partito; una donna che attraversa la storia del Novecento e tutte le sue tragedie, ma anche le battaglie di civiltà vinte grazie alla sconfitta del fascismo e alla costruzione della democrazia. Teresa Noce che, all’interno della dirigenza comunista, rappresenta un’eccezione: lei sì di genuina estrazione proletaria, in mezzo ai molti di origine colta e borghese.

Il volume di Tonelli è dunque l’appassionata e rigorosa biografia della donna e della dirigente, della Teresa “pubblica” e di quella “privata”: questa la suddivisione del testo che a prima vista potrebbe suonare artificiosa, ma che si rivela invece assolutamente efficace nel mettere a fuoco di volta in volta nodi e tematiche fondamentali, guadagnandone in chiarezza. Teresa Noce è una vera proletaria: la definizione che ne dà la futura suocera è una sintesi perfetta ancorché impietosa del rapporto tra classi nella Torino degli anni Venti; dirà infatti di Teresa la madre di Luigi Longo: «è brutta, povera e comunista». Nasce nel 1900, in una famiglia composta dalla madre, fervente cattolica e monarchica, e dal fratello (aviatore nella Prima Guerra Mondiale) con il quale intesse le prime riflessioni e discussioni. Proprio la sua morte, nel 1918, sarà per Teresa – oltre che un grandissimo dolore – il momento in cui realizzerà di dover contare solo sulle proprie forze nella costruzione della sua autonomia. Costretta ad abbandonare la scuola al termine del primo ciclo di istruzione nonostante gli ottimi risultati, appena undicenne sente su di sé il dovere di contribuire al sostentamento della famiglia. Inizia quindi a lavorare come stiratrice in una sartoria, poi in un biscottificio e in seguito come addetta ai torni in FIAT. È di fatto un’autodidatta, diventa presto una lettrice onnivora e comprende che la fame di cultura e di sapere sono chiavi di volta fondamentali per l’accrescimento personale e politico. Partecipa alle lotte operaie della Torino degli anni di guerra e inizia a militare nel Partito socialista, occupandosi della federazione giovanile. Il “Biennio Rosso” e l’occupazione delle fabbriche la spingono verso gli ideali comunisti: partecipa attivamente alla fondazione del nuovo partito creando la sezione torinese di Porta Palazzo, divenendone segretaria. Sin dai primi anni di militanza ha un interesse particolare per le battaglie sindacali, ambito fondamentale per la tutela dei lavoratori. Intuisce, tra i primi, la pericolosità del fascismo nascente e sostiene la necessità di organizzare una opposizione forte, se necessario anche armata. Ma dopo la Marcia su Roma la repressione scompagina le fila degli oppositori e si fa strada l’ipotesi concreta della clandestinità, se non dell’esilio. E così, dopo l’arresto del 1923 (quando è incinta del primo figlio, che rischia di nascere a San Vittore), anche per lei inizia il lungo periodo fatto di espatrio, viaggi, rientri clandestini in patria per proseguire il lavoro organizzativo e politico. Tre le tappe fondamentali: l’Unione Sovietica, La Francia e la Spagna.

L’Unione Sovietica, Mosca, significa per Teresa la Scuola internazionale leninista dove vengono formati i quadri dei partiti comunisti, fornendo i riferimenti ideologici fondamentali del buon comunista e i rudimenti necessari per essere quei “rivoluzionari professionali” di cui si sente orgogliosamente parte. È una esperienza di grande importanza, dove non mancherà tuttavia di esprimere liberamente le proprie opinioni, di discutere e mostrare il proprio disaccordo con gli insegnanti, guadagnandosi con la sua nota vis polemica una serie di “note di biasimo”, compensate dal rendimento ottimo e dalla partecipazione entusiasta. La conoscenza della realtà sovietica e gli incontri fatti in quel periodo saranno molto importanti per Teresa, che stringerà legami politici ma anche di grande amicizia con altre donne del comunismo internazionale, Dolores Ibarruri e la romena Ana Pauker fra tutte.

In Francia, Parigi, dove si ritrova una nutrita comunità di espatriati e dove il lavoro organizzativo e di collegamento ha grande importanza, si occuperà soprattutto della redazione dei giornali antifascisti con Di Vittorio, potendo contare su una rete di affetti (tra cui quello fraterno di Togliatti) che le permettono di non abbandonare il lavoro. Grazie alla solidarietà tra le famiglie comuniste che accudiscono a turno i bambini (la famiglia Noce-Longo ha, a questo punto, due figli), Teresa riesce a rientrare clandestinamente in Italia: prima in Piemonte dove organizza lo sciopero delle mondine, e poi in Emilia, dove porta notizie e istruzioni del partito ai militanti e ai compagni che si sentono abbandonati. Su questo punto la sua analisi politica è limpida e inamovibile, nonostante si scontri con le direttive ufficiali e con i dirigenti che le rimproverano una eccessiva esposizione: organizzare le lotte e la presenza del partito in patria è fondamentale se l’obiettivo è abbattere il fascismo e costruire il mondo nuovo, un’Italia nuova.

Infine la Spagna della Guerra Civile, dove svolgerà un lavoro organizzativo e politico di grande importanza. Qui gli antifascisti italiani apprendono l’importanza dell’organizzazione politico-militare delle Brigate Internazionali (ripresa poi nella guerra partigiana in Italia) di cui il marito di Teresa, Luigi Longo, sarà Commissario politico.  Anche in Spagna Noce si occupa della redazione dei giornali, oltre al coordinamento politico e logistico delle Brigate Garibaldi di cui diventerà, con un’immagine sicuramente agiografica ma anche piena di affetto, la “Stella d’oro”. Qui inoltre approfondirà il legame con Dolores Ibarruri.

La sconfitta della Repubblica obbliga gli antifascisti ad abbandonare il paese e a rientrare in Francia; ma l’attacco nazista presto costringe di nuovo alla clandestinità che sfocia, nel caso di Teresa, nell’arresto, prima tappa verso il campo di concentramento di Ravensbrück – il “campo delle donne”, fucina di orrori senza fine. Nei ricordi di Teresa, che riesce ad organizzare alcune piccole ma importantissime attività tra le prigioniere, tra cui lezioni di lingua e storia, si sopravvive al campo della morte solo grazie alla solidarietà tra donne, alla fermezza data dalla coscienza politica, alla consapevolezza di non dover cedere all’umiliazione e alla perdita della dignità perseguita dagli aguzzini nazisti. É, in ogni caso, una prova durissima.

Con la Liberazione, inizia finalmente una nuova stagione. I partiti antifascisti si aprono ad una presenza femminile che, seppur numericamente irrisoria, conta donne di grande spessore e capacità. Teresa Noce, eletta nel Comitato Centrale e nella Direzione del Partito Comunista, viene designata tra i rappresentanti del PCI alla Consulta Nazionale, candidata ed eletta all’Assemblea Costituente (una delle 21 donne), membro della Commissione dei 75 incaricata di redigere il testo costituzionale e, in seguito, deputata nelle prime due legislature (1948-58). In merito alla difficoltà, per le donne, di riuscire a far parte degli organismi decisionali, le sue parole sono estremamente efficaci: «Ho chiesto di entrarci. Se no mica mi mettevano. Ho detto: voglio far parte della Commissione dei 75 e della Commissione Lavoro (…). Le cose bisogna prendersele di forza. Altrimenti magari ci mettevano qualcuno di quei soliti intellettuali che combinano poco» (p. 46). Durante le campagne elettorali non si risparmia e percorre in lungo e in largo il territorio, rinsaldando il forte legame con i militanti e in particolare con i lavoratori, ottenendo un altissimo numero di preferenze. Sia in Commissione dei 75, sia poi nella sua attività di parlamentare, il centro della sua azione politica sarà la tutela della maternità non in quanto “funzione naturale” della donna, ma come indispensabile funzione sociale, perno della costruzione del futuro democratico del paese. É dunque un dovere imprescindibile dello Stato, indipendentemente dalla condizione giuridica e lavorativa, garantire ad ogni donna la possibilità di una maternità tutelata sia economicamente, sia dal punto di vista sanitario e lavorativo. Già nel corso dell’elaborazione della Costituzione prende corpo il nucleo della proposta di legge sulla tutela della maternità, l’impegno fondamentale del suo lavoro parlamentare che ancora oggi protegge e garantisce le donne lavoratrici. I punti irrinunciabili per cui Teresa Noce si batte riguardano prima di tutto la tutela universale delle lavoratrici madri: non solo le operaie o le contadine ma anche le disoccupate, le lavoratrici a domicilio, le occupate nel commercio, sino alle casalinghe. Inoltre, poiché la maternità è una funzione sociale che riguarda tutti i lavoratori, donne e uomini, i costi relativi devono essere a carico della società tutta. Infine, la tutela deve essere estesa ai bambini: non solo per ovvie questioni igienico-sanitarie (predisponendo una specifica assistenza svolta da medici pediatri, data la mortalità infantile all’epoca ancora altissima), ma per permettere alle madri, grazie all’istituzione di asili nidi, di continuare a lavorare, ad essere autonome e contribuire alla pari al bilancio della famiglia. Secondo la più che attuale visione di Noce, la tutela della maternità non è dunque ascrivibile alla “questione femminile”, ma è piuttosto un atto di democrazia che riguarda tutti. A proposito della necessità degli asili nido esclama con rabbia: «Sono problemi generali perdio!» (p. 104).

La legge avrà un iter assai lungo, ma verrà approvata nell’agosto del 1950 grazie anche alla mediazione parlamentare della Democrazia Cristiana; le vere protagoniste sono però le centinaia di donne incinte che si mobilitano presidiando il Parlamento a sostegno del provvedimento. Sebbene non sia accolta con favore dalle associazioni padronali, i congedi retribuiti pre e post parto, i permessi per l’allattamento, le disposizioni per l’istituzione di asili nido aziendali e interaziendali rendono la legge italiana all’avanguardia delle nazioni democratiche, come sottolinea con orgoglio Teresa Noce, grazie a un provvedimento che è persino più progressivo delle normative dei paesi socialisti.

Negli stessi anni, dal 1946 al 1955, Noce è anche segreteria generale della FIOT, il sindacato dei lavoratori tessili: è un comparto dove prevale la manodopera femminile, con una classe padronale particolarmente retrograda e reazionaria. Tuttavia, grazie alla capacità di mobilitare in modo compatto le lavoratrici, riesce a strappare notevoli risultati, tra cui il primo contratto nazionale del settore. Tra le battaglie fondamentali, un tema sempre all’ordine del giorno: la parità salariale tra lavoratici e lavoratori. Ancora, continua l’attività di giornalista e scrittrice; partecipa alla fondazione dell’UDI e sin dagli anni francesi si occupa della redazione della rivista “Noi Donne” insieme a Xenia Silberberg (nota come Marina Sereni), a cui è legata da profondissimo affetto. Amicizia che legherà per tutta la vita anche i rispettivi figli Luigi e Lea: “i figli dell’Internazionale”, come si definiranno (p. 87). Non va dimenticata, infine, la Teresa scrittrice che sin dagli anni Trenta ama scrivere racconti e brevi romanzi in cui narra, attraverso i protagonisti, episodi della sua vita, riflessioni, insegnamenti sotto forma di intrecci semplici e accessibili, riscuotendo un buon successo. La scrittura diretta e appassionata rende la sua autobiografia, Rivoluzionaria professionale (pubblicata nel 1972), una lettura irrinunciabile, per l’accento veritiero e poco incline alle mistificazioni piccole e grandi rispetto agli avvenimenti narrati.

A metà degli anni Cinquanta, Teresa Noce abbandona la vita politica attiva: nel momento in cui pubblico e privato si sovrappongono brutalmente, la compagna Estella viene estromessa dal partito a cui ha dedicato tutta la sua vita. La vicenda è nota: al termine della guerra, la coppia Noce-Longo si è ormai divisa. Se Teresa si stabilisce a Milano, il marito vive a Roma e avvia una convivenza con una nuova compagna. Poiché il PCI invita a regolarizzare le “nuove” situazioni famigliari dei dirigenti procedendo ad annullamenti dei matrimoni precedenti presso stati esteri compiacenti, Longo avvia le pratiche di annullamento a San Marino, senza che Teresa ne sia informata. A pratiche concluse, apprende quanto accaduto da un trafiletto di giornale. Furiosa, e convinta che sia una falsa notizia per infangare le figure dei dirigenti comunisti, scrive al giornale chiedendo un’immediata smentita, rimarcando come i comunisti siano contrari ad annullamenti e pasticci poco limpidi di cui sono invece maestri i borghesi. La Direzione del Partito condanna l’iniziativa che “mette in piazza” faccende intime screditando i dirigenti, la richiama duramente alla disciplina comunista e al rispetto dovuto alla dirigenza comunista – come se non ne facesse parte anche lei. Ne censura le parole, il comportamento, le posizioni, contestandole il fatto di essersi rivolta alla stampa borghese per una questione privata, violando così l’etica del partito. Quello che in altri momenti è stato definito il suo “coraggio virile”, diventa indisciplina e pessimo carattere. Il Partito incarica la Commissione Centrale di Controllo di esaminare la sua posizione; al termine del procedimento, con un freddo comunicato Teresa Noce viene espulsa dalla Direzione del Partito Comunista Italiano, che – come un sol uomo – difende a spada tratta l’ipocrisia dei suoi massimi dirigenti maschi. Per Teresa questa “punizione” è un dolore amarissimo: la definirà «il più grave trauma politico e personale della mia vita, più grave e doloroso del carcere, più della deportazione». Teresa sconta, oltre all’ipocrisia e alla difesa corporativa del gruppo dirigente, la «troppa autonomia nella vita e nei giudizi», la capacità «di criticare senza remore anche i capi del partito». Come sottolinea Tonelli, è «un’autonomia di azione e di pensiero che nel PCI non è contemplata, a maggior ragione quando è espressa da una donna» (p. 100-101).

Nonostante l’allontanamento dalla politica attiva (si dimetterà anche da dirigente della FIOT), Teresa Noce non rinuncia a dire la sua e a ribadire i temi fondamentali del suo impegno che, nell’Italia in rapida trasformazione degli anni Sessanta e Settanta, dimostrano una rara modernità ed efficacia. Ma è la sua intera esistenza ad essere emblematica, anche nelle scelte private: il suo rapporto conflittuale con le convezioni è evidente sin dagli inizi del legame con l’ormai ex marito Longo, quando decidono di convivere e di avere un figlio “fuori dal matrimonio”. Così come esplicita il desiderio di una relazione di coppia paritaria, rifiutandosi di interrompere il suo lavoro politico nel momento in cui il marito scala i vertici del partito. Ma la parità è necessaria anche nella sfera intima, e Noce non ha remore nel rivendicare per le donne la pienezza di una sessualità soddisfacente: è un “privato” che assume valenze fortemente politiche.  La sua capacità di provare empatia, affetto, di entrare in sintonia con le altre donne è alla base della solidarietà femminile e della sorellanza che permette di sopravvivere al campo di concentramento, di condurre insieme battaglie fondamentali per la democrazia, di non essere annichilite dal dolore e dalla sopraffazione. Rifiuterà sempre, infine, di relegare la questione della parità tra uomo e donna nel “ghetto” della questione femminile (da qui un rapporto difficile con il femminismo degli anni Sessanta/Settanta), rivendicando sempre la necessità di farne una questione che riguarda tutta la società, una battaglia che riguarda tutti.

Imparare a dire di no è la lezione che Teresa Noce lascia alle donne: no al padrone, al marito, al maschio, al dirigente del partito, al soffocante predominio maschile. Affermare le proprie ragioni e opinioni senza soggezioni: ne avrebbe tratto vantaggio anche il Partito Comunista, sostiene Estella. Se questo significa avere un “caratteraccio”, il difetto sempre attribuitole, ebbene avremmo un immenso bisogno di donne dal pessimo carattere.

Questo articolo è dedicato a mia mamma Luigia (1933-2024), che per prima mi ha fatto leggere l’autobiografia di Estella, formidabile rivoluzionaria professionale

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