Il 2025 è l’anno di molti anniversari “tondi”, uno di questi è il centenario della scomparsa di Anna Kuliscioff (Anja Rosenstejn), di origine ebraica, rivoluzionaria russa anarchica e poi socialista. Dopo un primo matrimonio con Petr Makarevic, arrestato dal regime zarista nel 1874, condannato ai lavori forzati in Siberia e mai più tornato, Anna lasciò la Russia nel 1877 per la Svizzera senza mai far ritorno in patria per il resto della sua vita. Prese il nome di battaglia Kuliscioff proprio in quell’anno quando conobbe Andrea Costa, anarchico e padre della sua unica figlia Andreina. Con Costa, primo deputato socialista eletto nel 1882, si creò un importante sodalizio politico-culturale che precedette quello con Filippo Turati, conosciuto a Napoli nel 1884, divenuto poi il suo compagno fino alla scomparsa, avvenuta a Milano il 29 dicembre 1925. Non è possibile, in poche righe, tracciare un sia pur breve profilo biografico di Anna Kuliscioff, vissuta 71 anni e passata attraverso esperienze varie, drammatiche e appassionanti. Si può però dire che il suo spessore umano e culturale è stato un esempio per tante donne e che, ancor oggi, si può considerare un riferimento per chiunque (uomini compresi) intenda capire cosa ha voluto dire collocarsi a sinistra in anni difficilissimi e incarnare una donna moderna, insieme raffinata e popolare, grintosa e indipendente. Anna Kuliscioff è stata una militante politica capace di sacrificarsi in prima persona per combattere l’ingiustizia sociale (non soltanto in Russia e in Italia), ma anche una donna costantemente impegnata per l’emancipazione femminile. Laureatasi in medicina, si specializzò in ginecologia ed esercitò la propria attività aiutando le donne delle classi proletarie, stimolando una disciplina nuova come la medicina sociale e riuscendo così a saldare le proprie idee politiche con l’attività professionale. A Milano dal 1887, divenne nota con l’appellativo di “dottora dei poveri” e, nel contempo, condusse battaglie politiche fondamentali per la modernizzazione dell’Italia attraverso l’ampliamento dei diritti civili, politici e sociali. Nel 1889 fondò, con Turati e Lazzari, la Lega socialista milanese. Nel 1892, l’anno dopo essersi trasferita con il compagno nell’abitazione di Galleria Portici 23 a due passi dal Duomo (diverrà il “salotto della Signora Anna”, nonché la redazione di «Critica Sociale»), fu tra i fondatori a Genova del Partito dei Lavoratori Italiani, dal 1893 Partito Socialista dei Lavoratori Italiani e, dal 1895, Partito Socialista Italiano (PSI). Anna conobbe il carcere dopo i moti del 1898, ma non ebbe cedimenti neppure negli anni successivi, continuando a scrivere, a lavorare, a dialogare per affermare una nuova visione della società nel nome del socialismo, non più rivoluzionario ma riformista. Un riformismo forte, lontano sì dal massimalismo e dal dogmatismo ideologico, ma alieno dall’idea di cedere sui principi e di “accontentarsi” delle concessioni dei potenti. Una delle battaglie a cui Anna si dedicò di più fu quella sul suffragio universale, a proposito del quale polemizzò anche con Turati dalle colonne de «l’Avanti!» e su «Critica Sociale». Nel 1912 riuscì a organizzare il I Congresso delle donne aderenti al partito ponendo le basi del Comitato Femminile Socialista. Nello stesso anno fondò «La Difesa delle Lavoratrici», organo ufficiale delle donne socialiste italiane con cui, tra le altre, collaborarono Argentina Altobelli e Angelica Balabanoff, che la sostituì nel 1914 non soltanto per la sua salute cagionevole ma anche per il nuovo clima che si respirava ai vertici del partito, ora retti dai massimalisti di Mussolini, divenuto direttore de «l’Avanti!» e ostile al riformismo. Se di fronte alla Guerra di Libia il suo atteggiamento critico verso la guerra imperialista era stato intransigente, davanti allo scoppio della Grande Guerra Anna si convinse, al contrario di Turati, che l’Italia dovesse parteciparvi. Il 1917 fu l’anno delle due rivoluzioni in Russia e di Caporetto, che portò Anna a chiedere che il PSI mutasse il proprio atteggiamento di fatto abbandonando lo slogan coniato da Lazzari «né aderire, né sabotare». Guardò con enorme interesse agli sviluppi politici della sua patria, fu entusiasta della rivoluzione di febbraio ma non di quella di ottobre. La crisi del primo dopoguerra la vide sempre più stanca e preoccupata, l’avvento del fascismo travolse ogni illusione di tenuta dell’Italia liberale e di realizzazione del sogno socialista. I suoi funerali, celebrati il 31 dicembre 1925, furono molto partecipati ma i fascisti, ormai vittoriosi e in procinto di realizzare il sogno totalitario di Mussolini, funestarono la cerimonia arrivando ad attaccare i presenti, tra cui Pietro Nenni e Paolo Treves, che con il fratello Piero aveva considerato Anna quasi come una nonna negli anni della strettissima collaborazione con Claudio Treves, interlocutore principale di Turati. La lezione di Anna non terminò con la sua vita e, a distanza di un secolo, una mostra documentaria intitolata Io, Anna Kuliscioff, organizzata al Museo del Risorgimento di Milano (Palazzo Moriggia, Sala Veltri, 9 gennaio-15 marzo) a cura di Marina Cattaneo, Vice-presidente della Fondazione Anna Kuliscioff, ne ricorda le scelte di vita e l’attività, tra militanza politica e medicina sociale.                 

di Andrea Ricciardi

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